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Il Bullseye Framework: un processo in cinque fasi per aiutare le startup a generare Traction

Gabriel Weinberg e Justin Mares sono gli autori di un interessante manuale dedicato alle startup dal titolo “Traction – A Startup Guide to Getting Customers”: il testo è incentrato sulla presentazione del “Bullseye Framework”, un processo in cinque fasi che viene utilizzato dalle aziende di successo per generare traction, ed è quindi utile ai founders di startup che sono in cerca dei canali di marketing più utili a portare l’azienda verso la fase di crescita successiva.

Il tema della Traction è di rilevanza centrale per una startup, ma in molti casi viene trascurato dai founders: spesso, i team sono concentrati per mesi a lavorare sul prodotto, per poi iniziare a pensare alla Traction solo quando si trovano ad affrontare il lancio sul mercato. La Traction andrebbe invece curata in tutte le fasi di vita dell’azienda: dovrebbe essere uno sforzo continuo, focalizzato sulla ricerca dei migliori canali di acquisizione dei clienti.

Nella maggioranza dei casi, invece, le startup si approcciano alla questione in maniera casuale e non strutturata: il Bullseye Framework è utile in questo caso perché permette di seguire un processo sistematico di approccio al marketing e, in particolare, alla strategia di distribuzione.

In un articolo pubblicato sul suo blog, Gabriel Weinberg ha offerto una panoramica del Bullseye Framework e di come un approccio di questo tipo possa essere di aiuto ai founders di una startup per generare Traction. Le premesse su cui nasce il Bullseye Framework sono essenzialmente tre:

1) In ogni fase di crescita, esiste solitamente un unico canale di acquisizione clienti (traction vertical) sul quale si basa l’intera strategia della startup. Questa è una conseguenza del fatto che generare Traction è generalmente un “power law problem” (un problema basato sulla legge di potenza, ossia una relazione funzionale tra due quantità nella quale una quantità varia in maniera esponenziale al variare dell’altra).

2) Esistono circa venti differenti traction verticals che le startup possono adoperare nella propria strategia di crescita. E’ difficile prevedere quale di questi venti possibili canali di acquisizione clienti sia maggiormente adatto ad una certa startup: è però possibile (e consigliato dall’autore del post) fare delle ipotesi plausibili in merito, fermo restando le difficoltà ad individuare con certezza il canale giusto quando la startup inizia la fase di execution.

3) La maggior parte dei founders di startup ha maggiore familiarità e propensione ad utilizzare alcuni canali di acquisizione clienti, e scelgono questi ultimi in favore di altre traction verticals. Una delle conseguenze più evidenti di questa situazione è che la maggior parte delle startup si concentra su alcuni canali, lasciandone molti altri sottoutilizzati e trascurati.

Entrando nello specifico del Bullseye Framework, l’autore spiega innanzitutto che il processo si compone di cinque fasi e si basa sulla metafora del bersaglio (bullseye): il cerchio interno rappresenta le traction verticals più promettenti, diventando via via meno promettenti man mano che i cerchi si allontanano dal centro.

Entriamo adesso in una spiegazione più articolata delle cinque fasi:

FASE 1 – BRAINSTORMING

Si tratta di passare in rassegna ciascuno dei possibili canali di acquisizione clienti ed effettuare un brainstorming per capire come ogni canale si potrebbe utilizzare in maniera efficace nel momento storico specifico che la startup sta attraversando.

Questo primo step serve a contrastare i pregiudizi e costringe ad analizzare seriamente e meticolosamente ogni possibile traction vertical. Si tratta quindi di una fase che richiede tempi adeguati, ed è inoltre necessario possedere una certa conoscenza di ciascun canale per poter procedere ad una valutazione utile e coerente.
Una volta analizzati pro e contro di tutti i canali, si passa a mappare il mercato cercando di capire quali traction verticals utilizzano i concorrenti, in che modo e con quali risultati.
Infine, bisogna analizzare singolarmente i possibili percorsi ed eventuali test a basso costo che è possibile effettuare per ciascun canale di acquisizione.

La prima fase del Bullseye Framework è quella che richiede tempi più lunghi: secondo Weinberg può impegnare alcuni giorni o settimane.

FASE 2 – RANKING

Si costruisce il vero e proprio “bersaglio” suddividendo i canali di acquisizione clienti in tre colonne:

Colonna A (Inner Circle / Centro del bersaglio): quali traction verticals sembrano più promettenti in questo momento?

Colonna B (Promising / Cerchi intermedi): quali traction verticals potrebbero funzionare?

Colonna C (Long-shot / Cerchi esterni): quali traction verticals sembrano avere minori possibilità di successo al momento?

FASE 3 – PRIORITIZING

In questa fase si stabiliscono le priorità: si torna ad osservare le tre colonne e si ripensa criticamente alle scelte effettuate. Il risultato di questa fase deve essere uno schema in cui si posizionano le prime tre traction verticals nella colonna A, sei canali nella colonna B e il resto nella colonna C.

FASE 4 – TESTING

I tre canali di acquisizione clienti posizionati nella colonna A rappresentano il centro del bersaglio: occorre iniziare una serie di test su queste tre traction verticals, avendo cura che le prove avvengano in parallelo.

FASE 5 – FOCUSING

Se una delle tre traction verticals del centro del bersaglio inizia a dare segni di early traction, significa che la startup ha trovato il canale giusto (per il momento): a questo punto, il consiglio dell’autore è quello di raddoppiare gli sforzi e le risorse su questo canale, cercando di ottenere i migliori risultati possibili in termini di Traction.

Se, invece, nessuna delle tre traction verticals testate sembra funzionare, occorre tornare alla fase 1 e ricominciare il processo, facendo tesoro delle informazioni e dell’esperienza.

In ogni caso, a prescindere che la startup scelga di utilizzare o meno il Bullseye Framework, è fondamentale approcciarsi alla Traction scegliendo un processo strutturato.

 

Per leggere il post originale di Gabriel Weinberg: http://www.gabrielweinberg.com/blog/2013/01/the-bullseye-framework.html

Napoli, 08/08/2014

Consigli alle startup: per raggiungere il successo, bisogna imparare a mantenere il focus e saper scegliere le occasioni giuste

Ty Morse è CEO di Songwhale, startup tecnologica nata nel 2007 che si occupa di soluzioni SMS aziendali e campagne Direct Response a livello nazionale ed internazionale. Di recente, il portale Serious Startup ha pubblicato un suo articolo in cui Morse spiega quanto è importante per una startup in fase early stage mantenere il focus.

La situazione di una startup nelle prime fasi di attività è spesso caotica e condizionata dalla necessità di raccogliere capitali per mettere in pratica l’idea imprenditoriale: in questa fase, il team è portato a “dire sempre di sì” perché ha bisogno di clienti, investimenti, risorse per trasformare l’idea in un business vero e proprio. La voglia di crescere in fretta fa comportare la startup come se chiunque offrisse soldi fosse un potenziale cliente, investitore, partner.

Purtroppo, quello che Morse definisce “l’utilizzo smodato della parola sì” diventa per la startup una vera e propria trappola: rapidamente, ci si rende conto di aver differenziato troppo, proponendo prodotti, opzioni e servizi diversi nel tentativo di compiacere chiunque accenni a un minimo interesse per l’azienda. In pochi anni, la startup rischia di diventare “discreta in troppe cose, piuttosto che ottima in poche”.

La verità, secondo l’autore, è che dire sempre di sì disperde troppo il focus: quando si inizia un’attività imprenditoriale, solitamente lo si fa sulla base di una buona idea. Una startup sa cosa vuole fare, e che Business Model dovrà seguire. C’era un prodotto/servizio principale, una particolare metodologia: insomma, c’era un focus ben preciso e il team era determinato a rispettarlo.

Per avere successo, il consiglio di Morse è quello di mantenere più possibile il focus iniziale, seguendo i seguenti spunti:

La prima cosa da fare è scegliere un modello di business: ovviamente, trattandosi di una startup, il modello iniziale subirà con il tempo delle modifiche. Ma la capacità di adattarsi al contesto è qualcosa che il team di una startup acquisisce rapidamente. Poi, una volta capito come è fatto il mercato e quali sono le opportunità, occorre stabilire un modello di business e perseguirlo.

Per definire il Business Model, la startup deve capire cosa vuole il mercato, perchè i clienti compreranno il prodotto, quanto pagheranno e come è possibile raggiungerli. Potrebbe essere necessario effettuare dei test, ma quando si trova qualcosa che funziona occorre seguire quella strada.

La scelta migliore, quindi, è trovare una o due cose in cui si è davvero bravi e focalizzarsi su queste: in questo modo si può fare esperienza, imparare e costruire il miglior prodotto possibile.
Se si continua a cambiare in base ai “capiricci” di clienti, investitori e partner non si riuscirà mai a raggiungere il massimo.

Infine, Morse consiglia di allontanare i cattivi clienti: probabilmente, questa è la sfida più difficile per una startup. Spesso la paura di perdere clienti e potenziali profitti fa sentire il team quasi obbligato a lavorare con tutti. Ma i cattivi clienti sono un problema: spesso approfittano del bisogno di denaro di una startup, e fanno richieste che possono snaturare il core business.

Il team dovrebbe imparare, quindi, a osservare il ROI: ciò significa considerare i vantaggi e i benefici del lavorare con un potenziale cliente, ed essere pronti a sbarazzarsi di lui qualora non si riescano ad intravedere ritorni significativi.

Ciò che conta per una startup è mantenere il focus sul prodotto, imparando a distinguere le buone occasioni e a lasciar andare le occasioni di distrazione.

Per leggere il post originale: http://seriousstartups.com/2014/08/06/key-to-success/

Napoli, 06/08/2014

Design Thinking e Lean Startup: due approcci differenti con ampie possibilità di integrazione

Alcuni giorni fa Matias Honorato, startupper cileno founder di SlidePick, ha pubblicato nel suo blog un resoconto del recente incontro tra Eric Reis, autore di “The Lean Startup”, Tim Brown, CEO di IDEO e autore di “Change by Design” e Jake Knapp, partner di Google Ventures: la loro conversazione era incentrata sui concetti di Lean Startup e Design Thinking, ed era finalizzata a scoprire quanto i due processi possono convergere nella gestione di una startup consentendo di ottenere ottimi risultati.

Prima di tutto, Honorato riassume brevemente i due concetti in questione, servendosi delle parole dei due autori:

– Il Design Thinking è la capacità di pensiero integrato, finalizzato a fornire un’esperienza soddisfacente attraverso la partecipazione di tutti. In questo senso, è possibile affermare che il Design è un processo che attraversa le seguenti fasi: Understand – Observe – Point of view – Ideate – Prototype – Test.
Si tratta, quindi, di un processo basato sulla comprensione e l’osservazione dei fatti e dei punti di vista di ognuno, per poi procedere con l’ideazione e la costruzione di un prototipo da testare sul mercato.

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– L’approccio Lean Startup, invece, può essere rappresentato come un modello circolare, nel quale le tre fasi fondamentali sono: Build – Measure – Learn. Nel modello di Reis, infatti, lo startupper deve imparare ciò che i clienti vogliono realmente dal prodotto, basandosi su fatti reali, e non ciò che dicono di volere o che l’imprenditore pensa possano volere.
Il processo circolare di Lean Startup, quindi, passa dall’idea alla costruzione di un prodotto, prosegue con la misurazione dei risultati ottenuti sul mercato (raccolta dati) e infine con la fase di comprensione (Learn), per poi ripartire da una nuova concezione dell’idea basata sulla conoscenza dei dati.

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Basandosi sulle definizioni, a prima vista i due approcci sembrano totalmente differenti: sia per il modo in cui rappresentano il processo produttivo, sia per le attività che compongono tale processo.
Mentre il Design Thinking può essere visto come un processo per trovare soluzioni creative a problemi complessi e specifici per le esigenze dei clienti, l’approccio Lean Startup è una sorta di framework da utilizzare per startup che abbiano intenzione di sviluppare un’idea o una vision già esistente, per la quale sia già stata identificata una nicchia di mercato.

In ogni caso, seppure con queste differenze, gli approcci in questione si intrecciano su una base comune: entrambi possono essere definiti, come fa lo stesso Honorato, “Customer Centric Innovations”, ossia innovazioni incentrate sul cliente.
In tal senso, bisogna pensare ad ogni processo innovativo (che sia la costruzione di un’automobile da parte di una grande multinazionale, o una startup “low budget” nata in un garage) come ad una serie continua di test ed esperimenti, finalizzati a comprendere ed imparare dal mercato per modificare i nostri presupposti iniziali, modellando il prodotto per risolvere il problema di una specifica nicchia di clienti.

Inoltre, entrambi i processi servono ad evitare di proporre al mercato prodotti non desiderabili, di cui nessuno ha bisogno: si può dire che il motto alla base del Design Thinking e dell’Approccio Lean sia “Fail fast, succeed faster”, un continuo provare e sbagliare, per convalidare al meglio la soluzione, l’idea, il prodotto di una startup.

Una volta identificate le similitudini tra i due concetti, è possibile capire in che modo integrarli per ottenere i migliori risultati da entrambi: per farlo, occorre prendere la parte migliore di ciascun approccio e collegare gli elementi.
Secondo Jake Knapp (il quale ha spiegato che l’approccio integrato è quello utilizzato da Google Ventures, che prende il nome di Design Sprint), dall’approccio Lean Startup occorre prendere il processo di iterazione veloce e gli anelli di retroazione, legando il tutto alle valutazioni metric-based. Tutto ciò va poi collegato ai metodi di ricerca qualitativa utilizzati nel Design Thinking, per comprendere meglio come personalizzare il prodotto sulla base delle esigenze dei clienti.

Si ottiene così un nuovo approccio, che Honorato definisce nel modo seguente: Design Thinking + Lean Startup = “Thinking Startup”.
Naturalmente, l’autore del post avverte che questa non è una sorta di formula magica che assicura il successo di una startup: un approccio del genere va visto non come un processo di step consecutivi da seguire, bensì come un framework, un quadro di riferimento, all’interno del quale ogni startup deve compiere i propri passi e rischiare il successo o il fallimento.

In conclusione, l’integrazione tra Lean Startup e Design Thinking offre nuovi, importantissimi strumenti ad una startup che voglia sviluppare la propria idea e le proprie potenzialità di business: ma non assicura in alcun modo il successo, che in ogni caso dipende in larga misura dal team e dalle caratteristiche del mercato.

Il post originale di Honorato è disponibile qui: http://www.mhonorato.com/desing-lean-thinking-startup/

Napoli, 30/07/2014

Il test di prodotto: come ottenere i feedback più utili per una startup fin dalla fase di prototipazione?

Trovare la strada migliore per raggiungere il successo con la propria startup non è sicuramente prevedibile, ma ci sono alcune attività che i founder dovrebbero mettere in pratica per contribuire ad aumentare le possibilità di crescita della propria azienda, anziché quelle di incorrere in un fallimento. Tra queste, una delle principali attività utili alle startup è quella dei test di prodotto.

Recentemente su Entrepreneur è stato pubblicato un contributo di JD Albert (Director of Engineering presso Bresslergroup, società di Philadelphia specializzata in innovazione e accelerazione di imprese) dedicata proprio al tema dei test di prodotto, e a quanto una buona strategia informale basata sul testing possa essere utile per risparmiare tempo e denaro rispetto a ricerche che possono costare anche decine di migliaia di dollari.

Una ricerca informale basata sul testing può infatti essere effettuata prima di una ricerca formale, in quanto risulta essere meno impegnativa e più snella. Albert offre quindi alcuni consigli e spunti interessanti per le startup alle prese con i test di prodotto:

1. Il prototipo deve essere pronto prima possibile.

Aspettare fino ad avere un prototipo di prodotto perfetto da testare è un errore piuttosto comune per le startup, dettato probabilmente dal timore di essere giudicati: in realtà, bisogna fare un vero e proprio “scatto” mentale e capire che testare un prototipo prima possibile consente di risparmiarsi parecchie critiche in seguito, quando tra l’altro sarà molto più costoso apportare delle modifiche.

La cosa migliore da fare è mettere il prototipo tra le mani delle persone, osservare le reazioni ed imparare dai feedback dei clienti, che spesso possono fornire informazioni inaspettate e a maggior ragione utili.

2. Iniziare con un network di contatti già esistenti.

I primi tester per il prodotto di una startup vanno reclutati tra le persone più vicine e facilmente raggiungibili: amici, parenti, contatti on-line. In quest’ottica, i social media rappresentano una grande opportunità per entrare in contatto e ottenere la collaborazione di un gruppo di potenziali clienti fin dalla fase early stage (ad esempio, i social media consentono piuttosto facilmente di effettuare un primo test su un campione di 100 persone).

Anche le piattaforme on-line come Kickstarter e Indiegogo possono rappresentare uno strumento utilissimo per testare un prototipo di prodotto e trovare supporto per il proprio progetto.
Queste piattaforme mettono la startup in comunicazione con un vasto pubblico di early adopter che non vedono l’ora di poter dare il proprio feedback.
L’autore cita a tale proposito il libro di Hardi Maybaum “The Art of Product Design: Changing How Things Get Made”, secondo cui l’idea di open engineering è la strada migliore per abbattere le barriere ed entrare in contatto con la community on-line, avvicinandosi alle conoscenze e agli strumenti più utili per accelerare il processo di product design.

3. Utilizza la critica costruttiva come nutrimento per il processo di sviluppo.

Le iniziali reazioni negativa dei consumatori aiutano molto a plasmare il prodotto. Per ottenere le critiche più preziose per una startup, occorre predisporre la fase di test in modo tale che le persone abbiano la possibilità di scegliere tra differenti opzioni (stili, colori, caratteristiche…).
Inoltre, i founder dovrebbero mantenere un atteggiamento aperto nei confronti dei feedback, per riuscire ad ottenere il meglio dalla fase di testing. Assumere una mentalità chiusa in questa fase trasforma il test di prodotto in una totale perdita di tempo.

Bisogna sempre tenere ben presente il principio di base: qualsiasi modifica e aggiustamento scoperta in fase di test consente di correre ai ripari in fretta e a costi contenuti. Effettuare le modifiche e gli aggiustamenti su un prodotto finale già lanciato sul mercato comporta invece dei costi elevati.

4. Destinare un budget specifico al test di prodotto.

Anche se testare un prototipo in maniera informale è sicuramente meno costoso di una ricerca di mercato formale, bisogna comunque considerare che si tratta di un’attività che comporta dei costi. Il consiglio dell’autore è quello di non sottovalutare mai i costi della fase di testing: si tratta di costi di gestione a livello logistico, costi di raccolta dati, costi per lavorare con i clienti.
Si tratta di attività costose in termini di tempo e di denaro, e di attività piuttosto difficili da non prendere mai sottogamba: per questo è opportuno che la startup metta a disposizione un budget adeguato.

5. Prepararsi in tempo utile.

Se gli utenti di riferimento sono parte di una nicchia di mercato molto specifica, è buona regola iniziare a stabilire i collegamenti con i tester prima possibile. Costruire un network utile richiede infatti parecchio tempo, soprattutto per un prodotto innovativo in cui la rete va costruita da zero.
Inoltre, è consigliabile approcciarsi i propri tester in maniera metodica, non affidandosi alla casualità: questo significa porre a tutti le stesse domande, in modo da avere dei dati e dei risultati davvero utili da analizzare.

In conclusione, Albert ricorda ai propri lettori il principio di base secondo il quale non sarà mai facile modificare un prodotto che è già sul mercato. La fase di test non solo aiuta ad evitare piccoli e grandi intoppi, ma approfondisce la connessione tra una potenziale grande idea e i futuri clienti che un giorno investiranno in essa.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/235201

Napoli, 10/07/2014

Startup innovative e disciplina sulle società non operative: alcuni chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate

Abbiamo già parlato in questo post di pochi giorni fa della Circolare n. 16/E dell’11 giugno 2014, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito una serie di chiarimenti importanti sul tema delle startup innovative.

Torniamo oggi ad approfondire un altro aspetto del documento in questione, e in particolare le precisazioni riguardanti il rapporto tra la disciplina delle startup innovative e quella delle società non operative.

Il D.L. 179/2012, che ha introdotto la normativa relativa a startup e incubatori certificati, prevede infatti, all’articolo 26, comma 4, che alle startup innovative non si applichi la disciplina delle società non operative.

Di conseguenza, le nuove società non saranno tenute a effettuare né il test di operatività, né quello delle perdite triennali, fin quando mantengono lo status di startup innovativa.

A tale proposito, nel modello della dichiarazione dedicato al test di operatività è stata prevista una casella dedicata alle startup innovative, che dovranno limitarsi a indicare la loro situazione senza obbligo compilare il prospetto.

Restavano tuttavia dei dubbi riguardanti il periodo d’imposta nel quale veniva meno la qualifica di startup innovativa, che, com’è noto, non può durare per più di 48 mesi ed è soggetta a decadimento qualora non vengano rispettate le previsioni di legge in materia: in tal senso, la Circolare n. 16/E chiarisce che il test di operatività va effettuato a partire dal periodo di imposta successivo a quello di perdita della qualifica.

La Circolare contiene inoltre un esempio pratico per facilitare la determinazione del cosiddetto “triennio di osservazione”, durante il quale il test di operatività diventa obbligatorio: l’ipotesi è quella di una startup fondata il 16 aprile 2013, che resta quindi in possesso della qualifica di start-up innovativa fino al 15 aprile 2017.

In questo caso la società sarà tenuta ad effettuare il test di operatività a decorrere dall’esercizio 2018. In assenza di cause di esclusione o di disapplicazione automatica della disciplina per le startup innovative, nel caso in cui la società non supera il test, sarà da considerarsi “di comodo” già nel 2018.

Inoltre, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate chiarisce anche eventuali dubbi riguardanti il tema della determinazione dei ricavi presunti ed effettivi: bisogna considerare i valori relativi ai due periodi d’imposta precedenti a quello di osservazione, anche se interessati da cause di non applicazione della disciplina.

 

Per ulteriori chiarimenti e approfondimenti, il testo integrale della Circolare n. 16/E dell’11 giugno 2014 è disponibile al seguente link: http://www.governo.it/backoffice/allegati/75964-9488.pdf

Napoli, 07/07/2014

Consigli per startup: cinque elementi fondamentali per costruire un business di successo

John Orcutt è CEO di Pie Digital ed esperto di startup tecnologiche in Silicon Valley, con oltre 25 anni di esperienza in grandi aziende americane. Recentemente ha pubblicato un articolo per il magazine on-line WeWork, incentrato sul tema dei segnali che lasciano trasparire che una startup è sulla buona strada per raggiungere il successo sul mercato.

Naturalmente esistono alcuni indicatori per misurare il successo di un business, come il dimensionamento del mercato o il rispetto della tempistica prevista nel business plan: ma oltre a questi indicatori, l’autore indica altri cinque elementi comuni che nella sua esperienza ha riscontrato nelle startup di successo.

1) Il talento giusto

In qualsiasi settore, per qualsiasi tipo di attività, il punto di partenza migliore è avere il talento giusto nel team. Ecco perchè è importante controllare attentamente il “track record of success” del candidato (valutando il CV prestando particolare attenzione ai risultati tangibili e misurabili ottenuti dal candidato), e valutando aspetti come l’energia, la passione e “la chimica”: bisogna tener conto anche della prima impressione, dell’intuito che ci consiglia se il rapporto lavorativo può avere successo.

Alcune domande utili da porre al candidato prima dell’eventuale assunzione possono riguardare, inoltre, la motivazione e la gestione del tempo (il suo impegno si ferma all’orario lavorativo, o utilizza il tempo libero per aggiornarsi e migliorare le sue competenze?). Infine, bisogna sempre valutare come la persona potrebbe integrarsi nel team e se sarà possibile avere un buon rapporto lavorativo a livello di squadra nel lungo periodo.

2) Un problema ben definito

Un’altro aspetto fondamentale per una startup è la ricerca necessaria a comprendere in maniera efficace il problema che si propone di risolvere. Bisogna raccogliere tutto ciò che gli utenti hanno da dire su come hanno provato ad affrontare e risolvere il problema, reclutare dei clienti per effettuare i test avendo cura di costruire un campione rappresentativo da un punto di vista geografico e demografico ed intervistare tutti.

In alcuni casi è utile incontrare di persona alcuni test users: l’esperienza “nel mondo reale”, quella che Steve Blank definisce con l’espressione “get out of the building”, è di cruciale importanza per una startup impegnata a creare una soluzione innovativa. Una volta effettuati i test è poi necessario effettuare un’accurata business analysis per assicurarsi che il problema sia abbastanza diffuso ed importante per i potenziali clienti, tanto da valere un investimento di tempo, denaro, risorse per risolverlo.

Ancora, bisogna occuparsi di definire le dimensioni del mercato: quante persone hanno quel problema da risolvere o obiettivo da raggiungere? E quanti sarebbero disponibili ad adottare il vostro prodotto o servizio come soluzione? Il mercato è grande abbastanza da sostenere il vostro sforzo? Una startup deve riuscire ad individuare un target ben definito di persone da raggiungere con il primo tentativo di release, per poi occuparsi in seguito di aumentare la dimensione del target di riferimento in fase di crescita.

3) Metriche chiare

Come si fa a capire se si è sulla strada giusta? Come è possibile misurare, confrontare, valutare i risultati? Per rispondere a queste domande, Orcutt fa riferimento alle metriche. Scrivere le metriche fin dall’inizio, già in fase di ricerca e poi di analisi, rappresenta il metodo migliore per una startup che ha bisogno di definire il problema e di identificare le migliori soluzioni oggi e in futuro.

Le metriche vanno quindi impostate fin da subito in maniera tale da assicurare alla startup che si stanno affrontando i problemi nel modo migliore per avere successo con il proprio business. Le metriche vanno utilizzate fin dall’inizio e per tutta la durata del processo, dalla ricerca alla produzione. Per le startup tecnologiche, inoltre, è facile costruire degli indicatori e degli strumenti di misurazione a basso costo o gratis, attraverso delle applicazioni ad hoc: una ragione in più per inserirle fin dall’inizio della vita di una startup.

4) Prototipazione rapida

Il consiglio è quello di procedere prima possibile a lanciare un prototipo sul mercato: per pivot, modifiche e aggiustamenti c’è sempre tempo. Utilizzare prima possibile i prototipi in fase di test consente alla startup di ottenere ottimi risultati in tempi rapidi.

I prototipi possono essere di vario tipo, più o meno realistici: semplici schizzi, immagini, mockup, simulazioni interattive. Il consiglio dell’autore è quello di investire un po’ di tempo per selezionare gli strumenti di prototipazione più adatti al proprio prodotto/servizio e alle proprie esigenze.

5) “Iteration is a way of life”

Per le grandi società già consolidate sul mercato, ciò che conta è seguire un piano di business ben collaudato raggiungendo i migliori risultati possibili a livello di execution. Per una startup, al contrario, il focus è sulla ricerca del miglior modello di business su cui basare la produzione e, in seguito, impegnarsi per scalare.
In una situazione di questo genere, quindi, la strada da seguire è quella basata su ciò che Orcutt definisce un “ciclo virtuoso” di iterazione rapida e miglioramento del prodotto. Il team deve muoversi continuamento in un processo fatto di testing, controllo delle metriche, ridefinizione e poi di nuovo testing.

Collegandosi a ciò che scrive Eric Reis in The Lean Startup, la strada giusta è quella di iniziare con un prototipo semplice per iniziare ad affrontare i dubbi sul se e come il prodotto deve essere costruito, se sarà sostenibile e quali sono i cambiamenti necessari da apportare per raggiungere tale sostenibilità.
Insomma, bisogna costruire prototipi sempre più dettagliati fino a giungere a un minimum viable product da lanciare.

In conclusione, Orcutt si dice convinto che sicuramente per una startup conta molto anche una buona dose di fortuna: ma le probabilità di successo possono sicuramente crescere grazie al lavoro del team e all’attenzione per i cinque elementi di successo presi in considerazione.

Il post originale è disponibile qui: http://www.wework.com/magazine/knowledge/5-signs-startup-right/

Napoli, 10/06/2014

IBM Global Entrepreneur Program, l’iniziativa per startup e imprese innovative di IBM: entro il 09/06 è possibile partecipare alle selezioni per l’evento IBM SmartCamp

IBM Global Entrepreneur Program è l’iniziativa di IBM per incentivare e sostenere la crescita delle startup e dell’imprenditoria innovativa in Italia: le aziende partecipanti possono usufruire in maniera totalmente gratuita di una serie di servizi messi a disposizione da IBM, tra cui ricordiamo mentoring, networking, supporto tecnico, utilizzo di software per test e demo, fruizione del Cloud IBM per infrastruttura e per sviluppo applicazioni.

Possono iscriversi al Programma le startup e imprese che siano in attività da non più di 5 anni, e che abbiano in corso un progetto di sviluppo software per un prodotto o servizio. Tra gli ambiti segnalati da IBM, ritroviamo: Mobile, Social, Cloud, Commerce, Internet of Things, etc.

La partecipazione è completamente gratuita, e tra le aziende che si iscriveranno a IBM Global Entrepreneur Program entro il 9 giugno 2014 saranno selezionate 4 startup che parteciperanno all’evento IBM SmartCamp.

IBM SmartCamp è l’appuntamento che si terrà a Milano (IBM Client Center) il 3 luglio 2014: durante l’evento le startup potranno incontrare un comitato di valutazione composto da imprenditori, venture capitalist, accademici ed executive di IBM dai quali ricevere feedback e consigli sul proprio progetto imprenditoriale.
Al termine dell’evento il comitato sceglierà la startup vincitrice, che avrà l’opportunità di accedere alla finale europea del Programma. I vincitori della finale europea saranno infine invitati a partecipare all’evento finale mondiale di IBM Global Entrepreneur Program.

La procedura per iscriversi alle selezioni di IBM Global Entrepreneur Program segue tre step:

1) Compilare il modulo di partecipazione on line a questo link: https://www-304.ibm.com/partnerworld/wps/servlet/ContentHandler/isv_frm_smp_startup_public

2) Registrare il proprio profilo alla piattaforma IBM a questo link: https://www.ibm.com/account/profile/it

3) Registrarsi per entrare a far parte di IBM PartnerWorld, a questo link: https://www-304.ibm.com/usrsrvc/account/userservices/jsp/login.jsp?persistPage=true&page=/partnerworld/partnertools/index.html&PD-REFERER=https://www-304.ibm.com/partnerworld/wps/servlet/ContentHandler/isv_com_smp_startup_start&error=

Si ricorda che per partecipare alle selezioni dell’evento IBM SmartCamp è necessario completare la procedura entro il 9 giugno 2014.

Per maggiori informazioni su IBM Global Entrepreneur Program: https://www-304.ibm.com/partnerworld/wps/servlet/ContentHandler/isv_com_smp_startup_start

Napoli, 23/05/2014

Continuous Customer Discovery, MVP e complessità: i consigli alle startup dal blog di Steve Blank

L’ultimo post del blog di Steve Blank è dedicato al tema della Continuous Customer Discovery: il contatto continuo con i clienti è fondamentale per una startup, e consente al team di diventare più “smart” anche dei potenziali investitori.

Per spiegare l’importanza della Continuous Customer Discovery Blank si serve dell’esempio di Ashwin, un suo ex-studente, che qualche tempo fa cercava di mettere a segno un seed round piuttosto ingente per finanziare il suo progetto di startup, Ceres Imaging. Il progetto prevedeva la costruzione di droni (Unmanned Aerial Vehicles) dotati di una speciale fotocamera (Hyper-spectral Camera), da far volare sui campi coltivati per raccogliere immagini delle coltivazioni. Partendo dalle immagini catturate dai droni, e grazie a dei particolari algoritmi sviluppati ad hoc, Ashwin e il suo team avrebbero potuto raccogliere dati e informazioni utili sulle piante: gli agricoltori avrebbero potuto sapere in tempi rapidi se le piante erano in buono stato di salute, se c’erano insetti, se c’era abbastanza fertilizzante e se avevano bisogno d’acqua.

Quando Ashwin cercava finanziamenti seed per costruire i droni, Blank gli aveva fatto notare che il loro minimum viable product in realtà non erano i droni, bensì i dati fruibili per gli agricoltori. Il suggerimento di Blank era quindi quello di convalidare il minimum viable product in un modo più semplice ed economico, affittando un elicottero o un aereo per sorvolare i campi. Una volta in possesso delle immagini, Ashwin e il suo team avrebbero potuto estrarre manualmente i dati e vedere se i contadini erano disposti a pagare per ottenerli. In questo modo, i capitali che Ashwin aveva bisogno di reperire attraverso un seed round sarebbero stati molto meno ingenti, e anche i tempi per effettuare il test erano drasticamente ridotti.

Qualche tempo dopo, Blank ha incontrato nuovamente Ashwin per scoprire a che punto era il progetto e quale fosse attualmente il minimum viable product: con grande sorpresa di Blank, la situazione era totalmente cambiata.

I founders di Ceres Imaging, parlando con i potenziali clienti (gli agricoltori) della loro idea dei droni, avevano scoperto che esistono i cosiddetti “Crop Dusters“: si tratta di veicoli aerei utilizzati in agricoltura per spruzzare pesticidi sulle coltivazioni. Negli USA sono circa 1.400 le aziende agricole che utilizzano i Crop Dusters, con circa 2.800 aerei in 44 stati.

Parlando con i potenziali clienti, Ashwin e gli altri founders di Ceres Imaging avevano ottenuto un’informazione preziosa: non era affatto necessario costruire dei droni per convalidare il minimum viable product, bastava semplicemente montare le Hyper-spectral Camera su questi veicoli già in possesso dei coltivatori. Quello che sembrava essere un grosso sforzo in termini di tempo, risorse e capitali si era immediatamente trasformato in un piccolo costo variabile e, allo stesso tempo, ben 1.400 aziende erano diventati potenziali clienti di Ceres Imaging.

Il minimum viable product era diventato un sistema di imaging montato sui Crop Dusters, per ottenere dati e informazioni utili ai coltivatori. La value proposition di Ceres Imaging non era l’aereo, nè tantomeno la macchina fotografica, bensì gli algoritmi specializzati nel monitoraggio dei livelli di acqua e fertilizzanti: un’idea brillante per una startup.

L’esperienza di Ashwin e del team di Ceres Imaging dimostra ancora una volta quanto sia importante “uscire dall’edificio” e andare a parlare con i potenziali clienti: secondo Blank, la continuous customer discovery deve entrare a far parte del DNA dell’azienda.

Inoltre, Blank sottolinea l’importanza per una startup di scegliere bene il minimum viable product: il giusto MVP consente infatti alla startup di eliminare le complessità dal business model e facilitare la fase di test.
La scelta deve essere effettuata focalizzandosi su ciò che fornisce valore immediato agli earlyvangelists, i primi potenziali partner e clienti della startup.

Ultimo consiglio di Blank: le complessità e il valore aggiunto vanno presi in considerazione soltanto in seguito, quando il minimum viable product è convalidato.

Per leggere il post originale dal blog di Steve Blank: http://steveblank.com/2014/02/19/how-to-be-smarter-than-your-investors-continuous-customer-discovery/

Napoli, 20/02/2014

Consigli per startup: le sfide da affrontare quando si lancia sul mercato un prodotto innovativo

Scott Finfer è dal 2011 CEO della startup Emerge Clinical Solutions, ed è un esperto imprenditore ed investitore, che ha lavorato con questa startup riuscendo a trasformarla da un’azienda innovativa alle prime armi a leader consolidato nel settore medico e sanitario. Di recente ha firmato un articolo per Entrepreuner sulle sfide più difficili per una startup che, con un prodotto/servizio innovativo, crea un mercato del tutto nuovo.

Mentre un’azienda che offre un prodotto/servizio già esistente sul mercato deve fare i conti con i competitors per guadagnare quote di mercato, un’idea innovativa si trova ad affrontare spesso problemi molto più grandi: bisogna far comprendere il proprio prodotto ai potenziali clienti, far nascere in questi ultimi la consapevolezza di averne bisogno e convincerli ad assumersi il rischio di acquistarlo. Tutto ciò, riuscendo a mantenere l’azienda a galla da un punto di vista finanziario.

Finfer parte proprio dalla sua esperienza presso la startup Emerge Clinical Solutions, che commercializza un software nel settore medico (il cosiddetto EMR): si trattava di un prodotto totalmente nuovo, che aveva necessità di un forte sostegno finanziario e di una buona attività di marketing. Vediamo quali sono le sfide che una startup con un prodotto innovativo, che ha creato un nuovo mercato, ha dovuto affrontare.

1. Sopravvivere al passaggio da “unproven” a “proven”.

Durante le prime fasi di sviluppo, gli investitori originari di Emerge avevano finito i capitali a propria disposizione e si sono rivolti ad investitori esterni. Ma con un’idea “unproven”, non ancora testata, non è facile convincere degli investitori a rischiare i propri capitali per finanziare il progetto: è stato quindi fondamentale prestare la massima attenzione alla gestione finanziaria nelle fasi iniziali, cercando allo stesso tempo di guardare al futuro e di stringere relazioni efficaci con partner strategici.

2. Come si fa a vendere un prodotto che ancora non esiste, e del quale non si sa quali potrebbero essere le caratteristiche e i problemi?

Come accennato, Emerge commercializza cartelle cliniche elettroniche (EMR), ma durante le prime fasi di vita della startup solo il 25% dei medici utilizzavano questa tecnologia: una situazione difficile, che Finfer paragona a quello che poteva essere vendere la tecnologia e-mail prima che esistesse internet. Il mercato era molto limitato, ma Emerge aveva una vision ben precisa, e presto i medici hanno iniziato a comprendere l’utilità e l’efficienza della tecnologia EMR. Il prodotto di Emerge consentiva di migliorare qualcosa che i medici stavano già utilizzando, e questo ha aiutato la diffusione del prodotto.

3. Come si fa a dimostrare che un prodotto è valido, quando non c’è nulla con cui paragonarlo?

Proprio come nel caso di Emerge, è difficile ottenere dei confronti e dei dati specifici riguardanti l’impatto positivo di un prodotto quando non c’è nulla di simile cui paragonarlo: senza statistiche precedenti, è difficile dimostrare che le performance del nostro prodotto sono migliori. Una possibile soluzione è quella di costruire una statistica di dati con i primi clienti, che possono condividere i risultati, i benefici ed i pareri con gli altri potenziali clienti interessati al prodotto. I primi clienti diventano// dei “tester” che partecipano al work in progress della startup e suggeriscono modifiche e miglioramenti.

4. Individuare un valore di mercato equo è essenziale.

Un’altra questione che si pone quando una startup lancia un prodotto innovativo è capire come decidere quanto vale tale prodotto. Se il prodotto è troppo costoso, infatti, diventa molto difficile venderlo e, viceversa, se il prezzo fissato è troppo basso, si corre il rischio di svalutarlo agli occhi dei potenziali clienti. Anche in questo caso, diventa fondamentale trovare dei clienti che facciano da “tester”, che siano disponibili a rischiare acquistando un prodotto che si affaccia per la prima volta sul mercato: anche questa può essere una sfida davvero impegnativa per una startup.

5. Il vostro successo è la nascita di un concorrente prima che il vostro business abbia iniziato a scalare.

Quando la startup ha superato le prime quattro sfide, solitamente si ritrova a dover affrontare un ulteriore problema: nascono i primi concorrenti, che cercano di copiare il prodotto. Ecco che un prodotto di nicchia, improvvisamente, si avvia a diventare mainstream. Spesso saranno proprio le grandi aziende a cercare di capire cosa rende così speciale il vostro prodotto, a provare a duplicarlo e scalarlo più velocemente di voi. Un’azienda pionieristica, secondo Finfer, può sopravvivere a quest’ultima sfida soltanto se riesce a mantenere stretta la propria posizione e la propria nicchia di mercato, lottando per la crescita del proprio business.

Il post originale di Scott Finfer è disponibile a questo link: http://www.entrepreneur.com/article/231570

Napoli, 19/02/2014

Consigli a startup e imprese – Semplicità e cambio di prospettiva: i segreti per l’innovazione di successo

Serve davvero un’idea rivoluzionaria per avere successo nel mondo imprenditoriale? A questa domanda prova a rispondere Stephen Key, inventor e co-founder di InventRight, società americana specializzata nel sostenere gli imprenditori nel lancio di nuove idee sul mercato, con un recente post pubblicato da Entrepreuner nella sezione dedicata alle startup.

Secondo l’autore, la maggior parte degli imprenditori è convinta che sia necessario avere una grande idea rivoluzionaria per avere davvero successo sul mercato: in realtà, Key sostiene che questa concezione è molto lontana dalla verità, e motiva la sua convinzione basandosi sulla naturale tendenza umana ad evitare il cambiamento, soprattutto quando si tratta di un cambiamento comportamentale.

Inoltre, le idee davvero disruptive, che portano a cambiamenti epocali (Key utilizza come esempio l’I-Phone) sono davvero poche e rare: ecco perché il motto cui Key si è sempre affidato, nei suoi 20 anni di esperienza come imprenditore ed innovatore, è “keep it simple”. Le idee semplici sono sempre le più facili da lanciare sul mercato, anche perché le idee rivoluzionarie sono particolarmente costose in termini di risorse e tempi richiesti per la realizzazione. Ecco quindi che, nella maggior parte dei casi, può essere molto più semplice e remunerativo per un imprenditore concentrarsi sul miglioramento di un’idea già esistente.

Il vantaggio del concentrare la propria attività sul miglioramento di un prodotto già esistente sta nel fatto che si può contare sulla presenza del prodotto sul mercato: un vantaggio che Key definisce enorme. Questo perché, anche se si può contare su un’idea creativa ed innovativa, l’unico vero modo per sapere se ci sono potenziali clienti disposti a pagare per il vostro prodotto è testarlo ampiamente sul mercato. Testare un’idea può essere un lavoro costoso, che richiede inoltre molto tempo: ecco perché è vantaggioso concentrarsi sull’innovazione di un prodotto già esistente. Come afferma l’autore del post, “in poche parole, c’è un rischio minore”.

Spesso si sente dire che, per essere creativi, è necessario “think outside the box”. Il “guru” americano del marketing Seth Godin afferma invece che bisogna “think next the box”. Stephen Key è convinto che a volte basta semplicemente “girare la scatola”, guardare le cose da una diversa prospettiva, per farsi venire in mente un’idea brillante e innovativa.

Il post prosegue con un esempio di idea semplice di successo: nel 1991, Paul Brown ebbe un’idea molto smart che verrà poi utilizzata dal colosso americano Heinz. Il problema da risolvere era quello di modificare le bottiglie di ketchup in modo da far fuoriuscire il prodotto senza gocciolare. L’idea vincente fu quella di adattare alle bottiglie di ketchup il sistema utilizzato per le bottiglie di shampoo, con una valvola in silicone con fessure che si aprono quando si schiaccia la bottiglia e si chiudono quando si smette di fare pressione, evitando la fuoriuscita del prodotto. Nel 1995, l’idea fruttò a Brown circa 13 milioni di dollari.

L’idea è nata traendo ispirazione dall’osservazione di ciò che è intorno a ciascuno di noi: è proprio questo, secondo Key, uno dei modi più semplici ed affidabili per ottenere un’innovazione di successo.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/231466

Napoli, 13/02/2014

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