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Tag: statistiche

Affrontare il fallimento e ripartire verso il successo: i consigli alle startup di Neil Patel

Neil Patel è co-founder di Crazy Egg, Hello Bar e KISSmetrics e si occupa di consulenza in tema di revenue per grandi colossi quali Amazon, NBC, HP e Viacom. Inserito dal Wall Street Journal tra i top influencer del web, ha pubblicato un articolo molto interessante su Forbes relativo alle problematiche che possono portare una startup al fallimento, elencando una serie di spunti utili per evitarlo.

I consigli di Patel sono basati sulle sue esperienze come co-founder di startup di successo, e partono da un assunto fondamentale: le startup falliscono. I numeri citati da Patel parlano di 3 startup fallite su 4, e secondo il suo punto di vista alla base di questi dati negativi c’è la credenza diffusa dell’inevitabilità del fallimento per una startup. Secondo Patel, anche a causa delle statistiche negative, gli startupper lavorano inconsciamente in maniera tale da causare il fallimento, in un vero e proprio circolo vizioso basato su una sorta di “profezia che si auto-avvera”.

Ma in che modo è possibile difendersi? Il primo passo è , secondo l’autore, identificare bene quali, tra le startup considerate nelle statistiche, sono effettivamente da annoverare tra quelle fallite. Il termine stesso “fallimento” ha dei contorni decisamente sfocati: che cosa significa, esattamente, fallire? Dopo quanto tempo si può parlare di fallimento? Quanto deve essere grave la situazione? Come si fa a capire se la crisi è ormai a livelli irrecuperabili?

success-failure

Quello che bisogna fare, dice Patel, è identificare il più possibile i “fatti”, analizzare le attività e le situazioni nel dettaglio. Ad esempio, in un’accezione piuttosto ampia del termine, una startup potrebbe essere definita fallita quando scompare a causa di una fusione o di una acquisizione: ma in questi casi, il fatto che non ci sia più fatturato, non è definibile fallimento e pertanto non andrebbe calcolato all’interno delle statistiche.

Un’altro aspetto rilevante riguarda le tempistiche: secondo il Commerce Department degli Stati Uniti, il 50% delle startup sopravvive oltre i primi cinque anni. Un terzo delle nuove imprese arriva a superare i primi dieci. Ma se una statistica è basata sul calcolo delle startup chiuse senza considerare un lasso di tempo specifico, bisogna capire bene quante siano effettivamente le startup da considerare fallite tra quelle conteggiate.

Il secondo modo per difendersi dal fallimento è quello di cedere ad esso, per poi rimettersi in gioco e ricominciare. L’esperienza insegna che gli imprenditori che hanno fallito con la prima startup hanno molte più probabilità di successo con la seconda. In sostanza, è possibile affermare che il successo è spesso frutto del fallimento: se hai fallito, sei in grado di ripartire da capo tenendo conto degli errori commessi e di tutto quello che è stato possibile imparare sul business.

Purtroppo, la realtà è che la maggioranza degli startupper (secondo Bloomerang Business addirittura il 71%) si ferma al primo fallimento, senza provare a lanciarsi di nuovo sul mercato. Ma l’esperienza di chi ha avuto successo (Patel cita a proposito il caso di Nathan Blecharczyk, multimilionario co-founder di Airbnb) insegna invece che “ci vuole un gran numero di tentativi falliti per raggiungere il successo”.

Lo stesso Patel ha affrontato più volte l’esperienza del fallimento: sono stati proprio gli errori fatti a rendere possibile il successo dell’autore, che non si è mai arreso ed ha sempre riprovato, si è rimesso in gioco, startup dopo startup.

Ecco quindi, in sintesi, il consiglio di Patel per aspiranti startupper: non temere il fallimento, ma provare, provare, provare ancora.

Per leggere il post originale: http://www.forbes.com/sites/neilpatel/2015/06/25/heres-why-your-startup-will-fail-and-what-to-do-about-it/

Napoli, 16/07/2015

Come costruire il miglior pitch per la tua startup: consigli da un Angel Investor

Zeynep Ilgaz è un’imprenditrice seriale, co-founder di startup come Biosciences e TestCountry, che ha avuto un’esperienza come membro del gruppo di Angel Investor “Tech Coast Angels”: durante il suo anno da Business Angel ha ascoltato numerosi pitch da parte di startupper ed è riuscita ad individuare i cinque elementi comuni ai pitch di successo.

angelinvestor

1) Connettersi con il cuore

Quando si propone il pitch è fondamentale riuscire a capire a che cosa l’investitore che ascolta è davvero interessato, cercando di intavolare una conversazione in cui ci sia connessione a livello emotivo. Un pitch deve raccontare una storia, essere ispirato, affrontare un problema e risolverlo: nel raccontare la propria soluzione per il mercato, è fondamentale far passare all’ascoltare la passione che ci spinge.

La passione di uno startupper è uno degli aspetti che resterà impresso nella mente dell’investitore: il messaggio che deve passare è che con la nostra startup stiamo provando a realizzare il nostro sogno, e che riusciremo a farlo con o senza l’aiuto di un investitore esterno. Sarà proprio questo messaggio ad invogliare l’investitore ad essere parte della vostra storia di successo.

2) Connettersi con la testa

Naturalmente, raccontare una storia di sogni e passione totalmente campata in aria non è una buona idea: il pitch deve dimostrare che il progetto ha delle solide fondamenta sulle quali potrà crescere.
Ciò che bisogna mostrare all’investitore è che abbiamo un sogno da realizzare, un prodotto cui siamo appassionati, ma che allo stesso tempo sappiamo esattamente come costruire un’azienda per realizzarlo.

Gli investitori sono interessati ad aspetti ben precisi: prima di tutto, capire che tipo di problema risolve il vostro prodotto, quanto è grande il mercato, chi sono i concorrenti, perchè il vostro prodotto è migliore degli altri, come affronteremo la fase di acquisizione di nuovi clienti, qual è il vantaggio competitivo, etc.

3) Non utilizzare troppi fogli di calcolo

Uno dei più grandi errori che l’autrice ha riscontrato nella sua esperienza da Business Angel è riempire il pitch con troppi dati e statistiche. Va bene inserire delle metriche e dei numeri, ad esempio relativi alla dimensione del mercato, ma non bisogna spendere troppo tempo su questi aspetti.

Per un Angel Investor è più importante ascoltare un messaggio convincente, preciso, semplice, orientato al valore: allo stesso modo, non bisogna esagerare con il numero di slides.
Un’idea semplice, espressa in maniera efficace, è un’idea sulla quale si è più propensi ad investire.

4) Avere un grande team

Gli investitori puntano sul team: sanno bene che una squadra male assortita può rovinare anche il migliore dei business. Tra team ed investitore, inoltre, è fondamentale costruire fin da subito la fiducia.

A questo proposito è importante che il team sia coeso e che non ci siano attriti tra i membri che lo compongono: un investitore è scoraggiato all’idea di investire in una squadra che non funziona.

Spesso, confida Zeynep Ilgaz, il team è l’aspetto prioritario, la molla che riesce a convincerla ad effettuare un investimento.

5) Attenzione alla strategia di exit

I Business Angel investono non solo se c’è una buona idea, e se quest’idea è realizzata da un team forte e dinamico: i Business Angel investono quando sanno come faranno a rientrare del proprio investimento.

Ecco quindi che diventa fondamentale avere una chiara strategia di exit da presentare all’interno del pitch: un investor può anche apprezzare l’idea, ma se non riesce a capire come rientreranno i capitali sceglierà di investire altrove.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/244115

Napoli, 01/04/2015

Startup e ricerche di mercato: i consigli per capire fin da subito se il business avrà successo sul mercato

Entrepreneur ha pubblicato pochi giorni fa un estratto modificato dal libro “Start Your Own Business” (Entrepreneur Media Inc.), su come affrontare i primi tre anni da imprenditore alla guida di una startup e, in particolare, sul tema dell’importanza della ricerca di mercato: quest’ultima è infatti indispensabile per ottenere informazioni utili in tre aree critiche da studiare prima di lanciare il businessIndustry informationConsumer close-upCompetition close-up.

Anche quando si ha una grande idea per un prodotto/servizio innovativo, occorre infatti fermarsi e cercare di determinare se davvero esiste un mercato per tale prodotto/servizio:è necessario, quindi, condurre una ricerca di mercato.
Spesso, purtroppo, i neo-imprenditori pensano di poter bypassare questo passaggio cruciale per il product development perché pensano che il loro prodotto/servizio sia perfetto così com’è, e non vogliono sentire pareri negativi dai potenziali clienti. Altre volte, invece, sono spaventati dai costi che la ricerca di mercato può comportare.

Questo approccio, però, è decisamente sbagliato e pericoloso per la startup: non fare la ricerca di mercato può equivalere ad una condanna a morte per l’azienda. La ricerca di mercato va invece considerata come un investimento per il futuro: fare le eventuali necessarie modifiche al prodotto/servizio fin da subito consente alla startup di risparmiare denaro nel lungo periodo.

Una ricerca di mercato è essenzialmente un modo per raccogliere informazioni da utilizzare per risolvere o evitare problemi di marketing: una buona ricerca di mercato, quindi, consente di avere a disposizione i dati necessari per sviluppare un piano di marketing adatto alle esigenze della startup.
Grazie alla ricerca di mercato, la startup può identificare i segmenti specifici del mercato che desidera raggiungere e creare un’identità di prodotto/servizio che la differenzi dai concorrenti. Inoltre, la ricerca di mercato può aiutare i founder a scegliere la migliore area geografica per il lancio del nuovo business.

Come accennato, una buona ricerca di mercato dovrebbe fornire informazioni su tre aree critiche:

1) Industry information

Si tratta di informazioni sui trend più recenti nel settore di riferimento: in quest’area, una ricerca di mercato ha lo scopo di confrontare le statistiche e i dati sulla crescita del settore; identificare quali aree sembrano essere in espansione e quali in declino; capire se ci sono nuove tipologie di clienti; verificare se ci sono sviluppi tecnologici che stanno interessando il settore e capire se è possibile utilizzarli a proprio vantaggio. L’aspetto più importante da tenere in considerazione è verificare l’esistenza di una fiorente industria nel settore: non bisogna mai rischiare di avviare una startup in un settore del mercato che è in declino.

2) Consumer close-up

Per quanto riguarda i clienti, la ricerca dovrebbe iniziare con un’accurata indagine di mercato, che sia in grado di offrire i dati necessari per fare delle previsioni di vendita ragionevoli. Per un’indagine di mercato di questo tipo, il primo passo è quello di determinare i limiti (o confini fisici) dell’area di mercato in cui il business esiste. A questo punto sarà possibile studiare le caratteristiche di spesa della popolazione afferente quell’area.
La ricerca di mercato per le informazioni sui clienti dovrà fornire dati utili a stimare il potere d’acquisto della popolazione (in base ad elementi quali il reddito pro-capite, il livello medio di reddito, il tasso di disoccupazione e altri fattori demografici) e l’attuale volume di vendita per quella specifica tipologia di prodotto/servizio.
Sarà quindi possibile, sulla base di tali informazioni, stimare in maniera ragionevole il volume di vendita che la startup può ottenere.

3) Competition close-up

Grazie ai dati ottenuti dalle due precedenti aree critiche, la startup può a questo punto proseguire la ricerca di mercato avendo a disposizione un quadro più chiaro della concorrenza: non bisogna mai sottovalutare il numero di concorrenti, né tantomeno dimenticare di tenere in considerazione sia la concorrenza attuale che eventuali potenziali futuri concorrenti.
In questa parte della ricerca occorre esaminare i concorrenti in scala locale e, se necessario, nazionale, studiando le loro strategie e attività. L’analisi deve fornire alla startup un quadro completo delle potenziali minacce, debolezze, punti di forza e di debolezza del nuovo business.
Inoltre, è fondamentale cercare di capire quali sono i trend del settore per identificare vantaggi ed opportunità del business, per capire se la startup potrà avere in futuro un percorso di successo.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/240164

Napoli, 18/12/2014

Inattention Blindness e Data Analysis: riesci a vedere le opportunità di business quando bussano alla tua porta?

Chris Briggs è il vice presidente per il marketing e il business development di Buxton, società texana che si occupa di Customer Analytics: ha pubblicato un interessante intervento su Harvard Business Review sul tema della “Inattention Blindness” nelle aziende, un fenomeno per il quale ci si concentra così intensamente su un particolare obbiettivo tanto da non riuscire a vedere particolari, opportunità e stranezze che potrebbero rappresentare un punto di svolta.

In particolare, per le aziende il problema della “Inattention Blindness” può far perdere di vista dei dettagli che potrebbero essere degli importanti fattori di differenziazione nel business, causando la perdita di opportunità che possono invece rappresentare occasioni di vantaggio competitivo.

L’esempio da cui parte Briggs è quello di un’azienda di vendita al dettaglio che, come alcuni concorrenti, si trova costretta a chiudere alcuni punti vendita perché un numero crescente di clienti stava spostando i propri acquisti (on-line o attraverso il catalogo). A differenza dei concorrenti, però, l’azienda in questione riesce ad intuire che chiudere un punto vendita poteva avere effetto negativo.

Come ha fatto a capirlo? Basandosi sull’analisi dei dati relativi ai clienti, e nello specifico sui numeri riguardanti gli acquisti di coloro che vivono in zone vicine ai negozi. L’azienda ha potuto capire da questi dati che i clienti visitano il punto vendita per vedere da vicino i prodotti in vendita, per poi andare a casa, confrontare altre opzioni e infine effettuare l’acquisto. Chiudere un punto vendita significa quindi privare i potenziali clienti del loro showroom: la conferma di questa intuizione è venuta ancora una volta dai dati, questa volta relativi al calo di vendite on-line e tramite catalogo riscontrato nelle aree in cui era stato chiuso un negozio.

Da queste analisi l’azienda ha potuto ottenere un duplice risultato positivo: prima di tutto, chiudere un numero di punti vendita minore rispetto a quello che sembrava originariamente necessario. Inoltre, aveva ottenuto un nuovo metodo di valutazione degli impatti positivi che il mantenimento dei punti vendita avrebbe fatto ricadere sulle vendite on-line.

Ecco che Briggs giunge ad un’importante conclusione sulla “Inattention Blindness”: concentrarsi su dati convenzionali riguardanti il comportamento d’acquisto dei clienti non consente di vedere le opportunità offerte dal mantenimento della rete di punti vendita. L’autore del post afferma che, a suo parere, meno dell’1% dei dati a disposizione di un’azienda sono realmente utili.

A questo punto la sfida diventa capire quali sono i dati che rientrano in quell’1%: e oggi, secondo Briggs, questa sfida è resa ancora più impegnativa a causa della disponibilità sempre maggiore di dati, numeri e statistiche. Elementi quali il continuo sviluppo dei Big Data, la crescente complessità dei dati, la disponibilità di accesso a nuovi dati sui clienti attraverso i dispositivi mobile rendono la differenziazione sempre più difficile per le aziende: per questo diventa fondamentale, secondo Briggs, imparare a comprendere e gestire i dati in maniera ottimale.

Aspetto interessante messo in luce da Briggs è che una corretta gestione dei dati sulla clientela porta vantaggio sia alle imprese che ai clienti: le prime possono prendere decisioni più efficaci ed efficienti, mentre i secondi possono beneficiare dell’offerta di prodotti e servizi sempre più vicini alle loro reali esigenze.

L’ultimo consiglio che Briggs offre ai lettori riguarda quindi il modo migliore per assicurarsi una corretta gestione dei dati: è fondamentale avere nel proprio team una persona con le skills giuste per analizzare i dati in maniera corretta. Ciò può essere semplice per una azienda già avviata, con un budget adeguato per il personale: per una startup o una piccola azienda con problemi di cassa, invece, la soluzione proposta da Briggs è quella di impegnarsi al massimo per conoscere bene i propri potenziali clienti, e lavorare in modo tale da sfruttare tali conoscenze per ottenere risultati ottimali in termini di redditività.

Briggs conclude dicendo che forse questo approccio non eliminerà del tutto il fenomeno della “Inattention Blindness” dall’azienda, ma sicuramente aiuterà a distinguere e cogliere più facilmente le opportunità quando si presentano alla porta, senza rischiare di non riuscire a vederle.

Napoli, 28/11/2013

Dal team di Pushapp nasce App Rank Genius: una nuova risorsa per sviluppatori, App Factory e Indie Devs

PushApp, una delle sette startup attualmente inserite nel percorso di incubazione del CSI – Centro Servizi Incubatore d’Impresa Napoli Est, ha appena lanciato la sua nuova creazione: si tratta di App Rank Genius, un sistema in grado di stimare i downloads di numerose applicazioni disponibili su App Store.

App Rank Genius nasce da un’esigenza vissuta in prima persona dal team dell’App Factory insediata al CSI: spesso, infatti, come tanti altri sviluppatori IOS, i founders di Pushapp si sono ritrovati ad aver bisogno di conoscere il numero di downloads generati dalle app, analizzando la classifica su App Store e i dati degli utenti.

Un servizio di Intelligence del genere è attualmente fornito a pagamento da piattaforme come App Annie e Distimo, ma si tratta di costi spesso troppo elevati per delle giovani startup: da qui, l’idea di Pushapp di condividere insieme ad altri amici sviluppatori le statistiche relative a tutte le applicazioni da loro pubblicate su App Store, per creare un tool in grado di stimare i downloads giornalieri di qualsiasi app.

App Rank Genius utilizza un modello statistico avanzato, basato sulla distribuzione di Pareto, i cui parametri di forma e scala sono stimati analizzando i risultati delle app che hanno condiviso i propri dati con il sistema. Naturalmente, le stime possono diventare sempre più precise al crescere del numero di sviluppatori, app factory e indie devs coinvolti: il team di Pushapp è infatti interessato ad entrare in contatto con chi voglia condividere le proprie statistiche, per migliorare il servizio (il sistema è totalmente gratuito e i dati condivisi non verranno resi pubblici).

App Rank Genius è attualmente disponibile on line al seguente link: http://www.apprankgenius.com/
Inoltre è già disponibile su Google Play l’app per Android (https://play.google.com/store/apps/details?id=me.pushapp.apprankgenius&hl=en), mentre il team di Pushapp è a lavoro per sviluppare la versione per iPhone.

Per maggiori informazioni è possibile scrivere a: info@apprankgenius.com

Napoli, 24/10/2013