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Tag: MVP

Security Startup Challenge 2015: fino a 50K per la cybersecurity da Kaspersky Lab

Security Startup Challenge 2015 (SSC 2015) è il programma di accelerazione dedicato alle startup da Kaspersky Lab, con la collaborazione di mentor della Kaspersky Academy, di Mangrove Capital Partners e di ABRT Venture Fund.
Si tratta di un’iniziativa di livello mondiale, nata con l’obiettivo di selezionare e supportare nuovi talenti e progetti nel settore della sicurezza informatica.

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Il percorso della SSC 2015 si è aperto a fine marzo con una fase preliminare che si snoda in cinque location a livello globale: Berlino, Gerusalemme, San Francisco, Singapore e Mosca.
In ciascuna città è stato un workshop della durata di due giorni ciascuno, i prossimi previsti sono quello di Mosca (23 e 24 aprile) e di Singapore (30 aprile).

Entro il 28 aprile 2015 sarà invece possibile presentare la propria application per il programma di accelerazione Security Startup Challenge 2015, riservato ai migliori progetti di startup che offrano soluzioni di cybersecurity, con focus particolare sui seguenti settori: healthcare, fintech, telecomunicazioni, mobile, Internet of Things, Cloud.

Tra tutte le candidature pervenute saranno selezionato i migliori 40 talenti che parteciperanno al Program Kick-Off dal 26 al 30 maggio a Lussemburgo. durante il Program Kick-Off i mentor creeranno 20 team che lavoreranno al market development delle migliori soluzioni di cybersecurity.

Tra il 31 maggio e il 6 luglio i 20 team lavoreranno insieme ai mentor per migliorare i progetti, che saranno presentati durante l’evento SSC Bootcamp (Lussemburgo): al termine dell’evento saranno selezionati i migliori 16 team per proseguire il lavoro sul product&market fit.

La fase successiva, dal 12 luglio al 16 agosto, è invece riservata ai 10 migliori team che lavoreranno allo sviluppo del proprio MVP. In questa fase i team lavoreranno con il supporto settimanale dei mentor.

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La finale di Security Startup Challenge 2015, dal 17 al 21 agosto al Massachusetts Institute of Technology, sarà infine riservata ai 7 team finalisti che si contenderanno i premi finali messi in palio attraverso una pitch session di fronte a Venture Capitalist e rappresentanti dei media. I premi finali sono:

1° classificato: 50.000$ + accesso al programma Launch Pack;
2° classificato: 20.000$;
3° classificato: 10.000$.

Per maggiori informazioni: http://www.securitystartupchallenge.com/#part-03

Napoli, 08/04/2015

Consigli per startup B2B: se volete avere successo, scegliete piccole aziende come primi clienti

Thomas Bartman è membro del Forum for Growth and Innovation della Harvard Business School, un think tank che si occupa di studiare le dinamiche dell’innovazione disruptive: il blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo articolo incentrato sui motivi per cui una startup dovrebbe concentrarsi sulla vendita dei propri servizi alle piccole imprese, anziché rivolgersi ai grandi colossi del mercato.

Secondo Bartman è infatti ormai risaputo che le startup B2B rappresentano un segmento fondamentale del panorama imprenditoriale, ma spesso i founder hanno la tendenza, nelle fasi iniziali dell’avvio, a concentrarsi sui clienti sbagliati. L’errore sta nel ritenere che le grandi imprese siano i clienti migliori cui rivolgersi, pensando che inserirle nel proprio portafogli clienti fosse una sorta di “legittimazione” per attirare in futuro nuova clientela.

In realtà questo approccio orientato alle grandi imprese può essere il percorso più difficile per una startup B2B e riduce drasticamente le sue probabilità di successo: Bartman afferma chiaramente che le startup B2B dovrebbero concentrarsi sul segmento di mercato delle piccole imprese.

Il pensiero più diffuso riguardo il target delle piccole imprese è che siano più costose da gestire: questo atteggiamento, secondo l’autore, è miope. Vendere alle piccole imprese è invece un ottimo modo per iniziare un business, che rappresenta una strategia utile per gettare le basi per il futuro di una startup. Una volta acquisite nel portafoglio clienti le imprese di piccole dimensioni, infatti, sarà più facile per la startup proseguire il percorso di crescita e rivolgersi alle imprese più grandi.

Alcuni esempi del successo di questo tipo di strategia sono: Salesforce, che con le sue soluzioni cloud-based è riuscita a ridurre i costi dei database per le imprese; Vistaprint, che ha offerto un servizio disruptive nel mondo delle tipografie, con un servizio web-based di grafica e design caratterizzato da economie di scala e conseguente drastica riduzione dei costi; Stamps.com, che sostituisce costose attrezzature per il mail-processing con applicazioni on-line ad abbonamento mensile.

Un esempio più recente è offerto da HourlyNerd, che si propone di innovare radicalmente il settore delle società di consulenza offrendo agli imprenditori la possibilità di mettersi in contatto con consulenti indipendenti: è proprio analizzando il caso di HourlyNerd che Bartman cerca di spiegare alle startup la migliore strategia per creare aziende B2B disruptive partendo da una clientela di piccole imprese.

Il punto di partenza è che le piccole imprese hanno esigenze simili alle grandi imprese, per cui un modello di business pensato per piccole imprese può essere scalato ed applicato in modo relativamente semplice alle esigenze di medie e grandi imprese.
A ciò si aggiunge il fatto che le piccole imprese hanno un livello di rischio sostanzialmente basso, in quanto sono molto più numerose delle aziende di grandi dimensioni. Per questo motivo, un insuccesso con una piccola impresa non porterebbe a grossi danni reputazionali per una startup.

Inoltre, spesso le piccole imprese non hanno facilmente accesso a prodotti B2B rispetto alle aziende più grandi: per questo motivo, sono alla ricerca di soluzioni offerte da startup anche se con funzionalità ridotte rispetto a quelle pensate per le imprese di maggiori dimensioni. In questo scenario, le startup hanno facile accesso al mercato anche con un minimum viable product, un prototipo da testare e migliorare nel tempo.
Una startup che si rivolge alle piccole imprese può evitare i lunghi cicli di sviluppo pre-lancio per target di mercato più esigenti e iniziare a testare il prodotto con le piccole imprese, anche con disponibilità ridotte di capitale.

Il primo step per questo tipo di strategia aziendale è individuare le opportunità che gli operatori storici del mercato stanno ignorando: bisogna capire quali sono i prodotti troppo costosi o complessi per le piccole imprese, e individuare le possibili soluzioni tecnologiche innovative e a costi relativamente bassi che potrebbero soddisfare il target delle piccole imprese.

Una volta pronto il MVP, la startup può proporla a costi bassi e senza impegno alle piccole imprese: in questa fase è fondamentale lavorare a stretto contatto con i clienti, per accogliere tempestivamente i feedback e capire quali eventuali miglioramenti apportare al prodotto. Uno strumento utile in questa fase sono, ad esempio, le interviste da sottoporre al cliente prima e dopo l’utilizzo del prodotto.

I prodotti offerti devono essere standardizzati in maniera tale da poter incontrare il favore del maggior numero di piccole imprese possibile, lo scopo è quello di avere un offerta che riduca al minimo i costi di modifiche e personalizzazioni. In quest’ottica è utile segmentare la clientela basandosi su criteri relativi alla dimensione, e non alla posizione geografica.
I questo modo sarà possibile studiare soluzioni ad hoc, più semplici o più complesse a seconda delle esigenze dei clienti: la segmentazione va quindi effettuata in termini di benefici offerti, non sulla base di aspetti demografici.

Questo tipo di targeting dei clienti iniziali, inoltre, spesso consente alla startup di non ritrovarsi a competere direttamente con gli operatori che sono già da tempo sul mercato: il segmento di clientela servito, infatti, si discosta da quello di riferimento per i concorrenti “tradizionali”.

Un ultimo aspetto che l’autore considera riguarda infine il continuo miglioramento del prodotto: una startup B2B, attraverso le varie modifiche migliorative apportate al prodotto offerto a imprese di piccole dimensioni, si ritrova ad un certo punto con un prodotto abbastanza evoluto da essere adatto a risolvere le esigenze di grandi aziende. Inoltre, evitando la competizione diretta, i grandi operatori già presenti sul mercato si accorgeranno della nuova startup solo quando quest’ultima sarà abbastanza cresciuta da potersi confrontare con loro.

Naturalmente, conclude Bartman, una strategia di questo tipo non è priva di problematiche e difficoltà (tra cui, ad esempio, la percezione del marchio): ma i risultati ottenuti da startup di successo globale come Salesforce sono la prova che può essere davvero la più consigliata per una startup.

Per leggere l’articolo originale dal sito di HBR: https://hbr.org/2015/01/start-ups-should-sell-to-small-businesses-not-big-enterprises

Napoli, 29/01/2015

Innovazione di prodotto/servizio e “live prototyping”: consigli utili a startup e imprese per proteggere il brand negli esperimenti di mercato

David Aycan, dopo aver co-fondato e gestito due startup di successo, è attualmente Design Director a IDEO, dove collabora con startup e grandi aziende per le attività di progettazione di nuove offerte e business model.
Paolo Lorenzoni lavora al Product Development di Food Genius, azienda che fornisce big data all’industria alimentare ed esperto nella guida di team multidisciplinari per nuove iniziative e progetti nei settori food, tecnologie e retail.

Insieme hanno pubblicato di recente un contributo per il Blog Network di Harvard Business Review, dedicato al tema “Prototype Your Product, Protect Your Brand”: lo spunto nasce dalla crescente diffusione, tra startup e imprese già consolidate, delle attività di “live prototyping”.
Si tratta di lanciare sul mercato reale prodotti non finiti per testarli in reali situazioni di contatto con i clienti, per evitare di investire ingenti risorse su idee di prodotto sbagliate, o comunque che non incontreranno il favore del mercato. Un concetto molto diffuso nel mondo delle startup, assimilabile al MVP di Steve Blank e della metodologia Lean Startup.

La domanda che si pongono Aycan e Lorenzoni è se un’attività del genere possa avere ripercussioni negative: sull’immagine dell’azienda, sul brand, o in termini di “svelamento” delle strategie alla concorrenza. Si tratta, secondo gli autori, di dubbi sicuramente leciti, ma allo stesso tempo assicurano gli imprenditori e aspiranti tali della possibilità di gestire la live prototyping e gli esperimenti di mercato in modo tale da non mettere a rischio i rapporti con i clienti.

Quando si decide di mettere in pratica un esperimento di mercato che coinvolga i clienti per valutare il prototipo di un nuovo prodotto, è importante valutare una serie di aspetti. Nel loro post, Aycan e Lorenzoni elencano i seguenti:

Valutare la Brand History: l’azienda ha già fatto esperimenti di mercato in passato? Come hanno reagito i clienti? I vostri clienti più affezionati hanno apprezzato la vostra inventiva? Bisogna sempre domandarsi se è il caso o meno di innovare il prodotto: un marchio “storico” come Levi’s, ad esempio, ha dei clienti strettamente legati al “classico” e potrebbero non apprezzare eventuali modifiche.

Valutare i Benchmarks competitivi: bisogna fissare il livello minimo di qualità del prodotto (floor). La domanda da porsi è: la qualità rappresenta un aspetto essenziale e imprescindibile oppure no? Tale valutazione è strettamente connessa al settore di attività: ad esempio, un’azienda automobilistica non può mantenere standard qualitativi bassi.

Valutare i concorrenti: Aycan e Lorenzoni mettono in evidenza un punto fondamentale a riguardo. Guardare esclusivamente i concorrenti diretti potrebbe essere fuorviante, bisogna osservare i settori simili e i prodotti sostitutivi: se si lavora in un settore strettamente regolamentato, ad esempio, occorre guardare anche al settore sanitario o della finanza, dove la prototipazione deve seguire normative ben precise.

“Prototype prototyping”: più semplicemente, gli autori si riferiscono alla possibilità di parlare ai clienti della prototipazione prima di lanciare un prototipo. Anzichè limitarsi a lanciare il prototipo sul mercato, si può chiedere ai clienti di immaginare come reagirebbero di fronte a tali prototipi senza sapere che non si tratta di prodotti finiti. Può essere utile domandare se sarebbero entusiasti di provare cose nuove, ed identificare un gruppo di clienti cui sottoporre il test di prodotto per valutare eventuali modifiche e miglioramenti.

Una volta comprese quali siano le aspettative iniziali del cliente, è possibile passare alla pianificazione dell’esperimento: naturalmente, il modo più efficace per ridurre il rischio è quello di investire soltanto quando si sarà raggiunto un livello di qualità sufficientemente alto. Ma anche in questo caso, è fondamentale investire risorse in ciò che va incontro alle necessità ed aspettative del cliente, per assicurarsi di migliorare il livello di qualità mantenendosi in linea con le richieste e i bisogni della clientela.

Un altro approccio utile per ridurre il rischio è quello di contenere l’esperimento ad alcuni momenti specifici della customer experience: è utile concentrarsi inizialmente solo sugli aspetti che mettono in risalto i rischi aziendali più elevati, riducendo il tempo di interazione dei clienti con il prototipo. Ad esempio, per testare il nuovo packaging non è necessario sottoporre il prodotto al cliente: basta mostrargli la nuova confezione esterna senza offrire la possibilità dell’intera esperienza di acquisto e consumo del prodotto.

Un’ulteriore strategia utile per contenere il rischio dell’esperimento è quella di calibrare l’esposizione del prototipo, sperimentandolo con una piccola fetta di potenziali clienti. In questo modo, è possibile osare un po’ di più nelle proposte innovative, senza rischiare nei confronti dell’intero bacino di clienti e misurando l’impatto del cambiamento su un gruppo limitato.

Infine, se nonostante questi accorgimenti l’esperimento di lancio di un prototipo dovesse incontrare ancora difficoltà, Aycan e Lorenzoni suggeriscono una strategia basata sulla trasparenza: si tratta di far sapere ai clienti coinvolti nel test che stanno sperimentando un prototipo non ancora lanciato sul mercato. Per farlo, è opportuno creare un sub-brand con lo scopo di introdurre nuovi prodotti, idee e prototipi ancora incompiuti per testarli.
Si tratta dell’approccio utilizzato da Google con Google Labs, il sub-brand che il colosso americano dedica alla creazione di nuovi prodotti rivoluzionari tra cui i Google Glass.

In quest’ultimo caso è utile offrire al cliente la possibilità di tornare al prodotto/servizio originale in caso di problemi con il prototipo: in questo modo è possibile ottenere dai clienti informazioni e feedback utili per i miglioramenti da apportare al prototipo.

In ogni caso, concludono Aycan e Lorenzoni, anche se le attività di “live prototyping” sembrano difficili da implementare sono sicuramente meno rischiose rispetto a lanciare un prodotto o un servizio difettoso: soprattutto in un mercato come quello attuale, che si muove veloce e in cui tutte le aziende cercano di innovare più rapidamente possibile per non ritrovarsi con un business obsoleto.

Il post originale è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/04/prototype-your-product-protect-your-brand/

Napoli, 16/04/2014

La Call per partecipare al Seed Program – Summer 2014 di Mind The Bridge: deadline il 28/02/2014

Sono ufficialmente aperte le Applications per il Seed Program – Summer 2014 di Mind The Bridge, programma nato dalla collaborazione con il Fondo MTS della Silicon Valley destinato a percorsi di accelerazione ad hoc (della durata di 3/6 mesi) per 5/7 startup selezionate che vogliano localizzare le proprie attività in Silicon Valley.

La partecipazione alle selezioni è aperta esclusivamente a team di founders internazionali con progetti focalizzati sul mercato statunitense. I progetti dovranno essere focalizzati su tecnologie disruptive nei seguenti settori: mobile, big data, digital publishing, educational platforms, design, fashion e payments. E’ inoltre necessario essere in possesso di un MVP e di un business scalabile.

Il Programma Summer 2014 di Mind The Bridge garantisce un percorso di mentorship con esperti altamente qualificati ed offre la possibilità di accedere ad un finanziamento seed attraverso il Fondo MTS: le candidature on-line resteranno aperte fino al 28 febbraio 2014.

Nel mese di maggio 2014 Mind The Bridge terrà un bootcamp di due giorni a Napoli, per valutare con interviste one-to-one i migliori progetti, e a giugno 2014 saranno selezionati i 5/7 progetti che parteciperanno alla Startup School di MTB a San Francisco (della durata di tre settimane).

Al termine della Startup School, saranno selezionate le startup che parteciperanno al percorso di accelerazione e che verranno valutate dal Fondo MTS per un eventuale finanziamento seed.

Per presentare il proprio progetto, il link delle Applications è il seguente: http://www.f6s.com/mtsseedprogram#/apply

Napoli, 13/02/2014

Il Minimum Viable Product spiegato da Eric Ries, autore del libro The Lean Startup

Il Minimum Viable Product (MVP) è uno dei concetti introdotti dall’approccio “The Lean Startup” di cui abbiamo parlato in un recente articolo del blog.
Per capire meglio di cosa si tratta, prendiamo spunto dalle slides pubblicate da Eric Ries nel suo blog “Startup Lessons Learned“, nelle quali Ries descrive i due possibili approcci di una startup alla costruzione di un nuovo prodotto:

  • “Massimizzare le possibilità di successo” significa costruire da subito un prodotto di alto livello, con un numero di caratteristiche abbastanza elevato da incuriosire i clienti per indurli all’acquisto. Questo tipo di approccio presenta l’inconveniente di non poter contare su nessun feedback fino alla fine del ciclo, quando sarebbe ormai troppo tardi per apportare modifiche al prodotto.
  • “Release early, release often” significa iniziare fin da subito con ripetuti lanci sul mercato di versioni rivedute e corrette del prodotto. In questo modo si inizia fin da subito ad ottenere feedback dai clienti, ma c’è il rischio di ritrovarsi in un circolo vizioso dove la startup continua a rincorrere ciò che pensa vogliano i clienti.

Il Minimum Viable Product rappresenta la via d’uscita ai problemi di entrambi gli approcci: si tratta di una versione iniziale del prodotto costruita in modo tale da ricomprendere il set minimo di caratteristiche indispensabili al team per capire cosa desiderano i clienti. Il Minimum Viable Product consente di ottenere il maggior numero possibile di informazioni con il minimo sforzo in termini di capitale, di tempo e di energie: grazie ad esso, la startup evita di mettere sul mercato un prodotto che nessuno vuole comprare.
La funzione del Minimum Viable Product è quindi quella di ottenere i feedback dai primi clienti in maniera da colmare il gap delle caratteristiche carenti nel prodotto, il suo utilizzo permette al team di avere una visione più ampia del mercato attraverso un percorso fatto di iterazioni e piccoli passi avanti, evitando il circolo vizioso cui si è fatto accenno prima.

Ries chiarisce però che il Minimum Viable Product non è, a dispetto del nome, un prodotto minimale: si tratta anzi di un prodotto che richiede alla startup uno sforzo supplementare (anche qui, in termini di capitale, tempo ed energie) perchè per essere davvero utile deve essere costruito in maniera tale da consentire al team di imparare qualcosa, per capire come agire al momento della prima iterazione.
Gli sforzi dovranno essere indirizzati all’ottenimento di feedback dai clienti, ma anche in un accurato lavoro di analisi e misurazione dei risultati.

Infine, Ries mette in guardia le aspiranti startup su alcune possibili situazioni in cui potrebbero ritrovarsi quando decideranno di approcciarsi allo strumento del Minimum Viable Product :

  • Falsi negativi: il team potrebbe ritrovarsi a pensare che ai clienti sarebbe piaciuto il prodotto completo, nella sua versione definitiva, mentre il Minimum Viable Product non è abbastanza “appetibile“. Pensando in questi termini, la startup potrebbe decidere di abbandonare il Minimum Viable Product.
  • Il complesso del visionario: si tratta della situazione in cui il team crede di conoscere quali siano i bisogni, i desideri e le esigenze del cliente, meglio del cliente stesso (“Ma il cliente non sa quello che vuole!“).
  • Troppo occupati per imparare: è il terzo caso delineato da Ries, quello in cui la startup pensa che il Minimum Viable Product sia “una perdita di tempo” e che sarebbe meglio costruire direttamente il prodotto finale da lanciare sul mercato.

In conclusione, il Minimum Viable Product è uno strumento di fondamentale importanza nel processo di crescita di una startup, che andrebbe utilizzato nonostante i costi aggiuntivi che comporta: tali costi, infatti, saranno ampiamente ricompensati dai vantaggi derivanti dal lanciare sul mercato un prodotto costruito sulla base delle esigenze dei clienti.

La presentazione di Eric RIes è consultabile al seguente link: http://www.slideshare.net/startuplessonslearned/minimum-viable-product

Napoli, 25/04/2013

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