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Tag: fornitori

Processi di innovazione e metodologia Lean: analogie e differenze tra startup e impresa dal blog di Steve Blank

Henry Chesbrough è noto come il padre della Open Innovation, autore dell’omonimo libro e di altri testi come Open Business e Open Services Innovation. Chesbrough è direttore del Garwood Center for Corporate Innovation dell’Università di Berkeley, dove insegna Corporate Innovation assieme a Steve Blank.

E’ proprio il blog di Steve Blank ad ospitare un interessante contributo di Chesbrough, che offre una serie di spunti di riflessione al lettore partendo da alcuni concetti di base del pensiero di Blank sulle differenze tra startup e impresa e su come l’innovazione sia un processo diverso, a seconda che nasca in un startup o in un’impresa già avviata.

Il punto di partenza delle riflessioni di Chesbrough è proprio la definizione di startup data da Steve Blank: una startup è un’organizzazione temporanea in cerca di un modello di business scalabile e ripetibile. Un’impresa, al contrario, è un’organizzazione permanente, progettata per eseguire un modello di business scalabile e ripetibile. In queste definizioni, secondo Chesbrough, c’è un’intuizione molto importante che riguarda in particolare le imprese già esistenti, che decidono di innovare il proprio modello di business: i processi aziendali già ottimizzati ed in esecuzione interferiscono con i processi di ricerca necessari all’innovazione e alla scoperta di nuovi modelli di business.

Questo aspetto ha grosse implicazioni sulla decisione di intraprendere o meno un percorso di innovazione all’interno di un’impresa già esistente: il contesto dell’innovazione nel business model per un’impresa già esistente è totalmente diverso dal contesto dell’innovazione per una startup.
Le aziende già avviate possono comunque contare su un punto di forza importante quando decidono di innovare: hanno accesso a risorse e capacità che le startup non hanno a disposizione, in termini di cash flow, di brand, di rapporti con i fornitori, di distribuzione, ecc. La cattiva notizia, però, è che tutte queste attività sono regolate su misura per il modello di business esistente, e non aiutano nella ricerca di un modello di business nuovo: ecco che dei punti di forza dell’azienda si trasformano in un ostacolo ai processi innovativi, diminuendo la propensione al rischio.

Ma le differenze tra l’innovazione per una startup e quella per un’azienda già esistente, secondo Chesbrough, non finiscono qui: quando un’impresa avviata cerca di innovare trovando un nuovo modello di business ripetibile e scalabile deve condurre una lotta su due fronti. Una startup deve lavorare duro per ore ed ore, facendo molti pivot, per trovare il product-market fit e convalidare il MVP e, infine articolare tutto ciò in un business model ripetibile e scalabile. Un’azienda avviata che decide di innovare, oltre a fare tutto questo, deve tenersi pronta ad affrontare e sostenere i conflitti che il processo di ricerca ed innovazione potrà causare all’interno dell’organizzazione (richiesta di permessi e autorizzazioni, assegnazione di risorse, gestione della bassa propensione al rischio, ecc).

Quindi, un’azienda avviata che decide di innovare il proprio business model deve lavorare sia sul mercato esterno (come una startup) sia su eventuali conflitti interni: per fare un esempio, Chesbrough ricorre al caso Xerox.

Xerox ha lanciato nel 1989 il fondo XTV (Xerox Technology Ventures), che nel giro di sette anni è cresciuto dai 30 milioni di dollari iniziali ai 200 milioni di dollari e ha lanciato aziende di successo come Documentum e Document Sciences ottenendo ottimi rientri di capitale. Nonostante il successo ottenuto sul mercato, nel 1996 Xerox ha deciso di chiudere il fondo XTV: il successo ottenuto dalle aziende lanciate grazie al fondo infatti, aveva portato forti insoddisfazioni all’interno della Xerox.

Chesbrough sostiene che l’esempio Xerox serve a comprendere un altro punto fondamentale riguardo al processo di innovazione in un’impresa già avviata: c’è sempre bisogno di avere il supporto interno per innovare, e in alcuni casi per ottenere e mantenere tale supporto è possibile servirsi di un pivot.
Ad esempio, per affrontare la “guerra su due fronti”, i manager che si occupano del processo di innovazione possono decidere inizialmente di fare un pivot concentrandosi esclusivamente su nuovi clienti, e lasciano la clientela già consolidata al reparto vendite già esistente.

Le conclusioni cui giunge l’analisi di Chesbrough suggeriscono a quest’ultimo l’importanza di progettare e preparare l’organizzazione interna dell’azienda in modo tale da essere in grado di offrire e mantenere il supporto interno per le iniziative di innovazione che l’impresa deciderà di mettere in atto nel corso del tempo. In caso contrario, l’innovazione rischia di diventare davvero difficile da portare avanti, soprattutto una volta svanito l’entusiasmo iniziale.
Inoltre, un’azienda che non riesce a dotarsi di una struttura flessibile e adatta a sostenere i cambiamenti e le innovazioni rischia di andare incontro a grosse difficoltà.

Tutto ciò, secondo Chesbrough, porta ad un’ulteriore modifica ad uno dei concetti base della metodologia Lean Startup: Get Upstairs in the Building. Significa che è fondamentale per avviare processi di innovazione dotare l’impresa di una forte struttura di sostegno interno, per poter poi tentare la scalata al successo sul mercato esterno. Per avere una struttura interna di questo tipo, occorre che chi prende le decisioni abbia una buona propensione al rischio, occorre avere un’organizzazione dei processi aziendali tale da mettere al riparo le attività in esecuzione già esistenti quando ci si adopera per processi di ricerca e innovazione: quindi, occorre “salire al piano superiore dell’edificio”, per poter riuscire costruire questa struttura interna di sostegno.

Per leggere il post originale dal blog di Steve Blank: http://steveblank.com/2014/03/26/why-internal-ventures-are-different-from-external-startups/

Napoli, 08/04/2014

Consigli alle startup: come gestire le attività in Outsourcing?

In uno dei più recenti articoli apparsi su Tech in Asia, Terence Lee (giornalista di Singapore, esperto in startup e tecnologia) raccoglie i consigli fondamentali sulle possibilità e modalità di outsourcing per le startup raccolti in occasione di una recente tavola rotonda organizzata da Startup Jobs Asia, alla quale hanno partecipato come relatori: Michael Cheng (web developer e startupper), Jeffrey Paine (partner di Golden Gate Ventures), Brendan Goh (founder di Pirate3D, startup nel settore della stampa 3D) e Jaryl Sim (dell’agenzia di web development Tinkerbox).

Il tema dell’outsourcing rappresenta una delle prime decisioni fondamentali che una startup si trova a dover affrontare, non tanto per capire se esternalizzare o meno alcune attività, quanto per stabilire quali attività esternalizzare e in che modo farlo.
Il post di Terence Lee si propone di riassumere ed elencare i punti più interessanti del dibattito.

1) Sai cosa stai facendo?

Tutti i relatori si sono detti d’accordo sul fatto che una startup molto giovane, agli inizi del suo percorso, spesso non ha ben chiara la strada da percorrere per realizzare la propria idea imprenditoriale: in questi casi, affidare alcune attività all’esterno ricorrendo all’outsourcing potrebbe essere la strada più giusta da percorrere.

Assumere dei dipendenti quando non si è ancora sicuri dei futuri passi della propria startup è infatti un rischio, che si traduce in un possibile spreco di risorse qualora la persona assunta dovesse ritrovarsi in realtà a non poter far nulla. L’outsourcing è invece un’ottima modalità per capire se c’è bisogno di svolgere determinate attività e, di conseguenza, se è necessario assumere qualcuno che se ne occupi.

Le startup più mature, invece, potrebbero trovarsi in difficoltà con l’outsourcing: spesso, infatti, dopo le prime fasi l’infrastruttura aziendale diventa troppo grande ed intrecciata per affidare ad esterni lo svolgimento di determinate attività.

2) La startup è product-based o ad alto contenuto tecnologico?

La natura di una startup ha una rilevanza fondamentale per capire se e cosa esternalizzare: per una società di e-commerce, ad esempio, la tecnologia non è sicuramente un aspetto fondamentale. In questo caso, conviene esternalizzare la costruzione del sito web aziendale, riuscendo ad ottenere qualcosa di semplice e funzionale in maniera relativamente semplice e veloce.

Viceversa, una startup technology-based, nella quale è fondamentale la proprietà intellettuale, ha bisogno di assumere uno sviluppatore software in-house. Non è il caso, quindi, di affidarsi all’outsourcing, ma è preferibile sviluppare il codice da zero all’interno dell’azienda.

3) Che tipo di attività si vuole affidare in outsourcing?

Può essere molto difficile trovare delle persone in possesso di determinate tipologie di competenze da assumere. Pirate3D, ad esempio, ha avuto grosse difficoltà per il mechanical development, attività di importanza basilare per un’azienda che costruisce stampanti 3D.

In casi come questi l’outsourcing rappresenta una soluzione molto efficace per una startup agli inizi: con il tempo, dopo una certa crescita e dopo aver eventualmente raccolto i primi capitali, si può provare a portare le funzioni inizialmente esternalizzate in-house.

Un altro aspetto fondamentale di cui tener conto è la natura delle attività che si intende affidare in outsourcing: ad esempio, Goh afferma che è possibile esternalizzare le attività sensibili solo fin quando i fornitori non sanno come le parti da loro sviluppate si inseriscono nel processo complessivo.

In generale, il consiglio è che le attività che possono essere esternalizzate non devono essere critiche nè sensibili, il rischio deve essere sempre ridotto ai minimi termini.

4) Il fornitore prescelto è startup-oriented?

Si tratta di una discriminante fondamentale: Tinkerbox, ad esempio, è una società fortemente orientata alle startup e i suoi lavori di sviluppo software per startup rappresentano alcune delle best practices del settore.

L’atteggiamento di un fornitore startup-oriented è quello di insegnare ed educare le startup all’importanza della qualità e della produttività aziendale.

5) Nel tuo team vuoi dei generali o dei fanti?

Tutti i relatori della tavola rotonda sono stati d’accordo su un punto: i dipendenti sono solitamente disposti a lavorare di più rispetto ai fornitori.

Un fornitore in outsourcing ha sicuramente interesse a svolgere al meglio il compito che gli è stato affidato, a portare a termine il proprio lavoro nel migliore dei modi, ad aiutare la startup ad avere successo: ma c’è un confine che i fornitori non attraversano.

I dipendenti, invece, sono disposti ad andare oltre le semplici attività “di routine” per le quali sono stati assunti, perché fanno propria la vision e la mission della startup.

6) Può essere utile esternalizzare attività a società estere?

Anche se ci sono alcuni Paesi in cui determinate attività costano meno, coinvolgere persone troppo lontane ha dei costi nascosti molto ingenti. Spesso, un team costruito in questo modo è più lento e rallenta il progresso dell’intera startup.

7) Sai essere un buon cliente per i tuoi fornitori?

Un buon cliente è colui che sa esattamente ciò che vuole e sa spiegarlo al proprio fornitore: quando sceglie di ricorrere all’outsourcing, la startup deve avere un atteggiamento altamente collaborativo con i fornitori.

Inoltre, spesso una mancata corrispondenza tra i risultati finali e le aspettative del cliente dipendono da una cattiva comunicazione: bisogna saper spiegare fin dall’inizio cosa si vuole ed effettuare il più spesso possibile dei check-in per seguire i progressi del fornitore.

Nel caso in cui la startup abbia dei problemi a comunicare ogni giorno con l’agenzia fornitrice, è utile chiedere fin dall’inizio a quest’ultima di inviare dei report quotidiani.

8) Stai cercando di assumere qualcuno attraverso l’outsourcing?

Anche se può sembrare rischioso, in realtà la pratica di assumere qualcuno con delle particolari skills mentre sta lavorando per l’agenzia fornitrice è molto diffusa.

Tra i relatori, il founder di Tinkerbox spiega che il modello della sua agenzia è basato esattamente sull’attrarre persone di talento, per poi rilasciarli nuovamente sulla scena startup.

Inoltre, vedere come lavora una persona affidandogli delle attività in outsourcing per brevi periodi può essere un modo efficace ed economico per testare le sue capacità e competenze prima di assumerla.

9) Ti interessa la reputazione del tuo fornitore?

Le startup si affidano molto spesso alla reputazione dell’agenzia per prendere le proprie decisioni sull’outsourcing: si tratta di un approccio che può essere sicuramente valido. Tuttavia, Cheng mette in guardia sul fatto che le società si evolvono, e chi in passato ha lavorato male non è detto che continui a farlo.

In ogni caso, un approccio utile per testare l’efficacia dei fornitori è quello di “tenergli il guinzaglio corto”: significa affidargli dei piccoli compiti e, se svolti bene, affidargli mansioni più importanti. Si tratta di un approccio che consente di costruire la fiducia ed, eventualmente, affidare un progetto completo al fornitore.

Un altro approccio utile consiste nell’affidare un lavoro di breve durata a due o tre agenzie contemporaneamente, per stabilire i loro standard e poi scegliere il migliore.

10) Cosa pensano i vostri investitori del outsourcing?

I founders di una startup che ha raccolto capitali da investitori devono sicuramente tenere in considerazione la loro opinione quando si trovano a dover scegliere se ricorrere o meno all’outsourcing.

Paine, relatore della tavola rotonda ed investitore, ha una risposta piuttosto semplice per la questione: “Il vostro obiettivo è quello di fare quello che dovete. Che lo facciate da soli, o che paghiate qualcuno per farlo, non ha importanza”.

Inoltre, Paine spiega che spesso per le startup più mature è preferibile avere i propri team in-house, mentre le giovani startup dovrebbero affidarsi all’outsourcing almeno fino a quando non saranno pronte a gestire un team di dipendenti.

L’articolo originale è disponibile al link: http://www.techinasia.com/10-questions-outsourcing-work-startup/?utm_source=feedly&utm_reader=feedly&utm_medium=rss&utm_campaign=10-questions-outsourcing-work-startup

Napoli, 04/04/2014

Consigli alle startup: come affrontare le trattative con i fornitori

In una delle sue guide per startup, IoD.com elenca alcuni consigli importanti per founders alle prese con le prime trattative.
Agli inizi del proprio business, infatti, i founders hanno spesso pochi capitali disponibili e, di conseguenza, l’esigenza di risparmiare più denaro possibile: questo si traduce nella necessità di stabilire dei rapporti con i fornitori il più possibile snelli ed efficienti, risultato che è possibile ottenere attraverso trattative e negoziazioni.

Allo stesso tempo, il team di una startup può essere quasi intimorito dal dover affrontare una trattativa: Alex Mitchell, presidente della G20 Young Entrepreneurs Alliance, mette subito in guardia i founders da questa situazione, spiegando che non bisogna avere paura di negoziare con i fornitori su prezzi e tempi di consegna.

I consigli elencati nel post su come affrontare al meglio le trattative sono essenzialmente cinque:

1. Stabilite prima i vostri obiettivi: è importante avere ben chiari prima di procedere alle trattative alcuni elementi chiave, come ad esempio il prezzo a cui puntare (che, naturalmente, deve essere più basso possibile), i tempi ideali di consegna e i termini di pagamento. Riguardo a questi ultimi, è importante tenere presente che i clienti potrebbero voler provare la merce prima di acquistarla, per cui è fondamentale cercare di ritardare i pagamenti più a lungo possibile.

2. Tenere per sè le informazioni finchè non si conosce la posizione dell’altro: ciò significa che bisogna sapere quali sono le condizioni accordate con i fornitori prima di poter dare informazioni ai clienti. Se, ad esempio, un potenziale cliente chiede il prezzo di un prodotto, bisogna prendere tempo e rispondere che dipende da fattori quali il volume dell’ordine e la tempistica.

3. Sottolineare i benefici che la controparte otterrà dal contratto: è fondamentale, per costruire un rapporto proficuo e duraturo sia con i fornitori che con i clienti, riuscire a stabilire una situazione win-win dalla quale tutti i soggetti coinvolti possono ottenere beneficio.

4. Non accettare mai la prima offerta: il consiglio è quello di fare sempre una contro-offerta al fornitore, per capire quali sono le sue aspettative e quanto è disposto a muoversi rispetto al prezzo iniziale di offerta.

5. Mettere tutto su carta: una volta concluso l’affare, è fondamentale scrivere un contratto. Ciò permette ad entrambe le parti di avere ben chiaro i termini dell’accordo. Anche se non si prevede la stipula di un vero e proprio contratto, è consigliabile inviare sempre al fornitore una lettera che riassume tutte le concessioni ottenute durante un incontro, anche prima che si raggiunga un accordo finale.

 

Per leggere il post originale dal sito IoD.com il link di riferimento è: http://www.iod.com/connect/start-ups/articles/five-negotiating-tips-for-start-ups

Napoli, 03/12/2013

 

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