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Consigli per startup: gli “Aha Moments”, cambiamenti di approccio fondamentali per affrontare la fase di commercializzazione

Ryan Gum è uno startup marketer originario di Sidney, che attualmente vive e lavora a Stoccolma: esperto di growth e online marketing per startup, ha un sito in cui raccoglie consigli e spunti utili per aspiranti imprenditori (http://ryangum.com/).
L’ultimo post pubblicato da Ryan Gum raccoglie otto situazioni che l’autore definisce “Aha Moments”: si tratta di otto cambiamenti di paradigma, ossia cambiamenti nell’approccio o nelle convinzioni, che egli ritiene fondamentali per uno startupper prima di arrivare alla fase di commercializzazione del prodotto.

Nel suo articolo, elenca gli otto momenti individuando per ciascuno di essi l’assunto di partenza, quello su cui normalmente ci si concentra, e di seguito il cambiamento utile, che identifica ciò su cui invece occorre concentrarsi quando la startup si prepara a introdurre sul mercato il proprio prodotto.

1) Ho bisogno di un MVP > Ho bisogno di un MDP

Il MVP (Minimum Viable Product) è un concetto basilare nella metodologia Lean Startup di Eric Reis: si tratta di una prima versione del prodotto, in possesso delle caratteristiche appena sufficienti per risolvere un problema/soddisfare un bisogno di base che permette al team di ricevere i primi feedback dai clienti. In sintesi, serve alla startup ad avere un prodotto caratterizzato dal minimo indispensabile per capire se esiste un possibile business.

Secondo l’autore, per passare alla fase di commercializzazione vera e propria il MVP deve però cedere il passo a quello che Andrew Chen (imprenditore seriale ed esperto di startup) definisce MDP (Minimum Desirable Product), ossia un prodotto centrato sulla prospettiva del cliente che crea un valore tale da soddisfare il suo bisogno e convincerlo a tornare (indipendentemente dalla redditività di tale prodotto per l’azienda).

Il MDP va quindi oltre il MVP: si tratta di un leggero cambio di prospettiva che, però, fa la differenza. L’autore, inoltre, suggerisce di costruire il MDP “pubblicamente”, ossia coinvolgere il più possibile i potenziali, futuri clienti nella fase di creazione del prodotto, ad esempio curando la comunicazione sui social. In questo modo si otterranno preziosi feedback per eventuali iterazioni e miglioramenti.
2) I miei primi 100 clienti arriveranno dal processo di scaling up > I miei primi 100 clienti arriveranno da un “combattimento corpo-a-corpo” 

“Combattimento corpo-a-corpo” è l’espressione scelta da Gum per spiegare la necessità di spendere tempo in contatto diretto con i clienti (di persona, al telefono, via e-mail) per capire esattamente come il prodotto/servizio della startup deve risolvere il problema o soddisfare i bisogni delle persone.

Questi contatti diretti devono essere portati avanti dalla startup prima di pensare ad un eventuale processo di scala: anzi, per arrivare al punto in cui è possibile scalare, occorre prima di tutto entrare in contatto con i clienti per assicurarsi che l’offerta della startup sia effettivamente adatta alle esigenze dei clienti.

Si tratta di un processo che richiede tempi lunghi e un lavoro mirato, ma, come afferma l’autore, tutte le aziende di successo hanno iniziato così: con un cliente alla volta.
Una volta contattati e soddisfatti i primi 100 clienti e possibile pensare a scalare.

3) Occorre concentrarsi sul marketing già dal primo giorno > Occorre concentrarsi sul marketing una volta individuato il Product/Market Fit

Trovare il Product/Market Fit, come affermato anche da Marc Andreesen (imprenditore di successo nel web, co-founder di Netscape e Ning), significa trovare il punto in cui si può essere sicuri di avere un buon mercato ed un prodotto/servizio per servirlo adeguatamente.

E’ solo da questo momento in poi che il prodotto inizia a “tirare” il mercato ed è quindi il momento a partire dal quale valga la pena investire in marketing: non avrebbe senso, afferma Gum, spingere un prodotto/servizio in assenza di un mercato adatto sul quale lanciarlo.

Prima di aver individuato il Product/Market Fit, infatti, le risorse investite in marketing non hanno prodotto da spingere, nè clienti da attrarre: è molto meglio investire in Customer Development, incontrando i clienti ed individuando il target di mercato per capire come definire un’adeguata value proposition.

4) Il successo deriva da una serie di vittorie > Il successo deriva dalla scoperta di ciò che non funziona, dopo una serie di tentativi falliti

L’idea generalmente valida secondo la quale il successo deriva dalla perseveranza è ancora più veritiera quando si parla di marketing: i migliori marketers, infatti, sono quelli che sanno essere umili.

Gum spiega, infatti, che 8 volte su 10 gli esperimenti e i tentativi di un marketer falliscono: ciò significa che bisogna continuare a provare, spingersi oltre, attraversare il fallimento per arrivare al successo.

Parafrasando Steve Jobs, l’autore del post afferma: Stay hungry, stay foolish, stay humble (umile).

5) Chi compone il mio target di mercato > Chi NON compone il mio target di mercato

Il consiglio è ben preciso: bisogna assicurarsi di capire bene chi NON è mio cliente e impegnare le proprie risorse per evitare di attrarlo.

Sicuramente è di importanza fondamentale, all’inizio di una startup, individuare il target di riferimento capendo qual è il cliente ideale. Ma altrettanto importante, una volta individuato il nostro target, è capire chi invece non è parte del target di riferimento.

Questo procedimento è infatti indispensabile per comunicare in maniera efficace: se si tenta di parlare a tutti, il messaggio non arriva a nessuno.

Avere come obbiettivo un target troppo ampio rende inefficace la comunicazione: ad esempio, è impensabile raggiungere con lo stesso messaggio tutte le donne di età compresa tra i 25 e i 60 anni. Se si tenta di parlare con tutte le componenti di questa fascia attraverso un unico messaggio, non sarà possibile comunicare efficacemente con tutte.

Per evitare spreco di risorse e impostare una campagna di comunicazione efficace, quindi, è fondamentale porsi, in fase di commercializzazione, la domanda: chi NON compone il mio target?
Inoltre, attrarre clienti che non sono parte del proprio target di riferimento può arrivare a danneggiare l’immagine dell’azienda, perchè non sarà facile soddisfare le richieste di coloro ai quali non è propriamente diretto il prodotto/servizio.

6) Il prodotto deve essere rivoluzionario > Prendi in prestito più possibile

Raggiungere il successo con una startup è già piuttosto difficoltoso: il consiglio dell’autore è quindi di non rendere tutto ancora più difficile pretendendo di partire da zero.

Un’innovazione deve essere disruptive, ma non necessariamente rivoluzionaria: sono molti i casi di successo di startup che hanno apportato delle modifiche e dei miglioramenti a prodotti/servizi già esistenti (Gum fa l’esempio di Uber).

L’innovazione deve essere incrementale, basata sull’iterazione e il continuo miglioramento: è molto più produttivo raccogliere ispirazione da fonti differenti e, in seguito, mettere insieme i vari aspetti di ciò che funziona per creare qualcosa di completamente nuovo.

Si tratta di ciò che Brian Harris definisce la “Formula Picasso”: trova tutti gli elementi che hanno avuto successo in altri casi, raccogli le parti migliori e applicali alle tue esigenze.

7) Ho bisogno di: strategia social, contenuti, pubblicità, PR, SEO, partnership, e-mail marketing, etc… > Scopri cosa funziona davvero e focalizzati su quello, scartando il resto

Oggi i canali di comunicazione sono così numerosi che si rischia di restare schiacciati, se si cerca di diversificare troppo profondamente la comunicazione: dall’e-mail marketing, a Facebook, a Twitter, a tutti i canali di comunicazione on-line è difficile riuscire ad essere presenti in maniera efficace su tutte le possibili piattaforme.

Una startup dovrebbe evitare di strafare: il consiglio dell’autore è infatti quello di individuare da dove provengono i segnali più forti, e di concentrare gli sforzi su quegli specifici canali (ne bastano uno o due per una startup alle prese con la fase di commercializzazione).

Una volta che i risultati iniziano ad arrivare, sarà poi possibile aumentare i canali di comunicazione spostando le risorse altrove.

8) Dobbiamo acquistare questo nuovo, incredibile STRUMENTO > Dobbiamo individuare e implementare un SISTEMA: gli strumenti consentono solo di eseguire ed automatizzare ciò che c’è già

Il team di una startup, di fronte ad un nuovo strumento (ad esempio un software gestionale), immaginano di trovare la soluzione a tutti i problemi: la tentazione di acquistarlo è forte. Ma Gum sostiene che questa scelta potrebbe rivelarsi un inutile spreco di risorse.

Gli strumenti sicuramente migliorano la vita e facilitano il lavoro, ma solo quando è già stato implementato un sistema di base: non ha senso acquistare, ad esempio, uno strumento per automatizzare il processo di marketing o di monitoraggio, se non c’è ancora un sistema/processo da automatizzare.

Il concetto è simile a quello secondo il quale i founders di una startup non dovrebbero assumere qualcuno per svolgere una certa mansione, prima che la mansione sia effettivamente reale all’interno dell’azienda.

In chiusura, Ryan Gum offre ai lettori un ultimo cambiamento di paradigma che è, a suo parere, il punto di partenza per chiunque voglia fondare una startup: bisogna passare da “Non è il momento giusto per iniziare” a “Non ci sarà mai un momento giusto: bisogna iniziare lo stesso”.

L’articolo originale da cui è tratto questo post è disponibile qui: http://ryangum.com/8-aha-moments-needed-before-marketing-your-startup/?utm_content=buffer51aa9&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer

Napoli, 18/06/2014

Consigli utili per startup e imprese: come costruire la fiducia del cliente in un rapporto basato sulla comunicazione digitale

Anna Danés ha avuto una serie di esperienze lavorative in startup di diversi Paesi del Mondo (Asia, Europa, USA) prima di fondare Ricaris, un’azienda specializzata in internet services. Inoltre, è specializzata in materia di gestione del personale e lavora affinché le aziende possano creare un ambiente lavorativo migliore per i propri team.

Di recente, ha pubblicato un articolo su WeWork dedicato al tema “Una relazione digitale: come lavorare con clienti che non hai mai incontrato di persona”. Si tratta di un argomento di interesse per startup e imprese, in particolare per quelle che lavorano sulla base della realizzazione di progetti costruiti sulle esigenze di singoli clienti, come nel B2B: spesso, infatti, si i clienti non si incontrano mai faccia a faccia e la comunicazione si basa su e-mail o altri strumenti “a distanza”. Da queste situazioni nasce l’esigenza di imparare a costruire la fiducia del cliente, nonostante non ci sia mai stato un reale incontro.

Per costruire la fiducia con il cliente in una situazione di questo tipo il primo consiglio di Anna Danés è quello di raccogliere quante più informazioni possibili: anche se questo processo richiede del tempo, è di fondamentale importanza per dare al cliente la possibilità di avere fiducia nei servizi e nelle capacità dell’azienda. Può essere utile, una volta raccolte le informazioni, inviare al cliente una sintesi scritta (summary): ciò mostrerà la vostra attenzione e il vostro interesse per le esigenze del cliente.

In secondo luogo, è fondamentale definire chiaramente le aspettative e le fasi del progetto: occorre impostare e condividere con il cliente una vera e propria timeline nella quale siano ben focalizzate le aspettative di entrambe le parti.
Avere una chiara definizione delle aspettative delle parti coinvolte è la chiave per il successo di una relazione.
Inoltre, se ci si rende conto dopo i primi incontri di non poter soddisfare tutte le aspettative del cliente, è fondamentale proporre delle soluzioni alternative per consentire comunque il raggiungimento dei risultati desiderati su una distanza temporale realistica.

Ancora, è fondamentale alimentare il più possibile il rapporto con il cliente: non avendo mai avuto la possibilità di un contatto visivo e di una stretta di mano, occorre compensare tale mancanza concentrandosi il più possibile sulla comunicazione. E’ importante mantenere sempre un certo stile nelle comunicazioni, non spazientirsi di fronte a molte domande, ma anzi assicurarsi di aver risposto correttamente e chiedere al cliente un feedback.
Altri piccoli suggerimenti elencati nell’articolo a questo proposito sono:

– cercare di personalizzare il rapporto, senza sconfinare troppo nel privato, ma mostrandosi amichevoli;
rompere la “barriera digitale” con l’invio di un omaggio, con il logo dell’azienda, per inviare un messaggio positivo e che ricordi i valori aziendali;
– anche se la comunicazione è prevalentemente digitale, preparare un documento cartaceo sul lavoro svolto dall’azienda (come ad esempio un opuscolo) da inviare per posta al cliente;
coinvolgere il cliente chiedendogli feedback e pareri su come vorrebbero migliorare il servizio offerto.

Inoltre, secondo Anna Danés è opportuno impostare la comunicazione più adatta alle esigenze del cliente: in termini di mezzo di comunicazione (e-mail, telefono) e di frequenza dei contatti. Per raggiungere questo obiettivo è importante essere flessibili e riuscire ad adattarsi alle esigenze di ciascun cliente.

Infine, un suggerimento per i casi in cui qualcosa va storto: occorre giocare di anticipo, non aspettare che sia il cliente a scoprire che c’è stato un errore o che c’è un problema. Bisogna comunicarlo subito e con chiarezza, spiegando qual è il problema e che soluzione si propone, agendo in maniera proattiva: mai inviare semplicemente un messaggio in cui si informa dell’esistenza di un problema, occorre segnalare sempre la relativa soluzione.

Con grande probabilità, conclude Anna Danés, se la relazione con il cliente è stata costruita seguendo tutti i passaggi descritti ogni eventuale incidente potrà essere superato senza intaccare il buon rapporto con il cliente.

Per leggere l’articolo originale da cui è tratto questo post: http://www.wework.com/magazine/knowledge/digital-relationship-work-clients-youve-never-met-person/

Napoli, 04/06/2014

Consigli per startup e imprese da un VC: mai fermarsi di fronte ad un “NO”

Mark Suster è un ex-imprenditore seriale e attualmente è un venture capitalist: dal 2007 è General Partner di Upfront Ventures, dopo aver venduto la sua azienda a Salesforce.com.
Di recente ha pubblicato un post nel suo sito (http://www.bothsidesofthetable.com/) un contributo interessante per imprenditori ed aspiranti tali, nel quale spiega l’importanza di essere “Politely Persistent”, ossia “educatamente persistenti”.

Secondo Suster, infatti, una delle cose più difficili per un imprenditore è continuare ad insistere in situazioni nelle quali le persone dicono “No”: un buon imprenditore sa che non deve accettare un “No” come risposta, e allo stesso tempo ha ben chiaro che esiste un confine quasi impercettibile tra essere persistente ed essere fastidioso.

Per avere successo come imprenditore, occorre invece riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra “faccia tosta” e maleducazione, senza mai oltrepassare le sottile linea di accettabilità quando si insiste per ottenere qualcosa.
Proprio in questo sento Suster ha iniziato a servirsi dell’espressione “Politely Persistent”: ritiene infatti che sia questa la qualità più importante che un imprenditore deve possedere (fermo restando, naturalmente, il possesso delle altre skills fondamentali).

Riuscire ad essere “educatamente persistenti” diventa fondamentale soprattutto quando si cerca di creare contatti utili all’impresa, e ancora di più quando si cerca di convincere un potenziale investitore a finanziare una startup. Non è possibile arrendersi alla prima mail senza risposta: come sarebbe possibile diventare imprenditori con questo atteggiamento?

Suster ne è convinto: essere persistenti è il vero lavoro di un imprenditore. Bisogna essere persistenti chiamando periodicamente le persone, trovando il modo di essere presentati ai contatti giusti, presentandosi agli eventi per incontrare qualcuno, trovando il modo di dire a quella persona qualcosa di veramente unico per incuriosirla.

Ecco quindi alcuni consigli utili che Suster offre ad imprenditori e startuppers che vogliono imparare ad essere “Politely Persistent” e a non accettare un semplice “No” come risposta:

1. Il primo passo è imparare a fare networking: ciò vale sia se si incontrano VC, che altri stakeholders e contatti utili per l’azienda.

2. Busogna saper scrivere bene le e-mail, in maniera che siano “action oriented”.

3. Allo stesso modo, occorre imparare a gestire bene le comunicazioni telefoniche: non bisogna aver paura di prendere in mano il telefono.

4. Capirsi in maniera reciproca e sforzarsi di aiutare gli altri fa guadagnare punti in termini di karma e di favori.

5. A nessuno piace l’arroganza: è importante essere umili, ma…

6. … nello stesso tempo, occorre anche essere un po’ sfacciati. Ci se deve assumere qualche rischio: anche se non si può avere successo con tutti, è importante saper usare nel modo giusto il senso dell’umorismo quando si entra in contatto con le persone.

7. Dimostrate di avere fiducia e rispetto per voi stessi, pur rimanendo educati. Suster racconta un episodio su questo punto: una mail ricevuta dal CEO di una startup che diceva “Cordialmente, le comunico che smetterò di tenere in considerazione il suo fondo di VC per un eventuale finanziamento in caso di mancata risposta a questa mail”. Dopo un’iniziale reazione di sorpresa, Suster ha verificato che quella era la terza mail inviata alla sua attenzione: Suster ha immediatamente richiamato il CEO, che aveva fatto centro con il suo messaggio contemporaneamente rispettoso di sè e del destinatario.

8. Serviti di mezzi di comunicazione poco utilizzati: nella sua esperienza, Suster ha ricevuto messaggi privati s Facebook alle 23:00, quando il mittente sapeva che il destinatario sarebbe stato in linea senza distrazioni. O ancora, racconta di una persona che gli invia sms divertenti: il risultato è che lo stesso Suster aspetta questi sms perchè lo fanno ridere, e presta attenzione alla persona che li invia.

9. La persona che cerchi di contattare ha un blog? Anche se può sembrare un suggerimento ovvio, il modo migliore per contattarla è attraverso la sezione “Commenti”. Bisogna impegnarsi a scrivere dei commenti interessanti, e ad essere presenti senza diventare “molesti”. Si tratta del metodo migliore per entrare in contatto con chi pubblica regolarmente post nel proprio blog.

Inoltre, Suster invita gli imprenditori e aspiranti tali a guardare al “No” come ad un suggerimento, un invito a persistere e ritentare. Sono proprio le transazioni che si interrompono con un “No” a fornire i feedback migliori, a dare lo spunto per ragionare e migliorare.

La chiave, quindi, resta quella di essere persistenti: spesso la vittoria arriva proprio perchè non ci si è mai arresi.

Per leggere il post originale: http://www.bothsidesofthetable.com/2014/03/29/one-of-my-most-frequent-pieces-of-advice-be-politely-persistent/

Napoli, 11/04/2014

Il branding e la relazione con il cliente: i consigli a startup e imprese per ottenere dei “Die-Hard Followers”

Luke Summerfield è responsabile dell’Inbound Marketing a Savvy Panda, agenzia specializzata in consulenza aziendale che lavora ogni giorno per costruire casi di successo di imprese non profit, e-commerce e tecnologiche.
Un suo interessante post, pubblicato qualche giorno fa da Entrepreneur, è dedicato al tema del Branding e a come sia possibile costruire un marchio che riesca ad attrarre i cosiddetti “Die-Hard Followers”, ossia delle community di seguaci “irriducibili” che diffondono la cultura del marchio.

Nel suo post, Luke Summerfield cerca proprio di spiegare come è possibile per un brand strategist costruire una community in cui siano presenti e numerosi i Die-Hard Followers: punto di partenza dell’autore è spiegare esattamente cosa si intende con la parola “Branding”.

Il Branding è il processo attraverso il quale si formano ricordi, emozioni e una vera e propria relazione tra il marchio e il cervello del consumatore. Obiettivo di una strategia dedicata al brand è quello di costruire tale relazione in modo tale che il legame sia talmente forte da far assumere al consumatore l’identità del marchio come se fosse la sua. Il brand deve diventare lo strumento del quale il cliente si serve per aiutare se stesso a definirsi come individuo.

Un esempio di grande successo nel branding è Harley Davidson: sono stati capaci di costruire una relazione così forte con i clienti che molti di loro si fanno chiamare “Harley Rider”, si vestono con abbigliamento e accessori del marchio e sono addirittura disposti a tatuarlo in maniera permanente sulla pelle.

Creare relazioni di questo tipo non è assolutamente semplice ed è un processo che richiede molto tempo: tuttavia, Summerfield suggerisce alcune strategie utili per iniziare a sviluppare con i propri clienti delle relazioni tali da trasformare questi ultimi in veri e propri sostenitori del brand.

1) “Brandizzare” i propri clienti: una delle azioni più potenti per creare un brand “potente” è partire da tutti i dipendenti e i clienti, promuovendo il proprio marchio come un simbolo di appartenenza ad una “tribù” molto esclusiva. In questo processo è fondamentale creare nel cliente la sensazione di essere coinvolti in qualcosa di grande, di importante che li rende migliori per il solo fatto di farvi parte.

Savvy Panda, ad esempio, invia ad ogni nuovo cliente un dono di benvenuto con adesivi, gadget, e un panda di peluche.

2) Praticare atti casuali di gentilezza: si tratta di impostare dei veri e propri programmi di “random acts of kindness”, offrendo ai clienti qualcosa di inaspettato: si tratta di un modo per scatenare una profonda emozione nel cliente. Ad esempio, è possibile individuare i clienti più attivi ed inviare loro un omaggio, specificando che lo ricevono proprio perchè sono tra i clienti migliori dell’azienda.

Un’altra possibilità è quella di individuare gli influencers nella community dei clieni e offrirgli la possibilità di visitare l’azienda per conoscere chi c’è dietro il brand.

3) Andare oltre il digitale: è facile mantenere la comunicazione con i clienti attraverso mezzi esclusivamente digitali, come le e-mail o i canali social. TUttavia, le comunicazioni digitali non sono in grado di attivare la produzione di ossitocina, una componente chiave nel processo di brand building. L’ossitocina è una sostanza chimica che il cervello umano rilascia soltanto quando interagiamo personalmente con gli altri, ed è alla base della creazione di emozioni e ricordi.

Ecco perché diventa fondamentale fare uno sforzo supplementare (in termini di costi e di tempo) per comunicare con i clienti anche attraverso canali telefonici o di persona.

4) Personalizzare: come ha detto Dale Canergie, “Il suono più dolce in qualsiasi lingua è il proprio nome”. Utilizzare il nome del cliente all’interno delle comunicazioni rende il messaggio molto più potente: occorre tenerne conto, ad esempio nella gestione della customer service e nei messaggi inviati alla clientela attraverso il web.

Oltre al nome, è fondamentale cercare di conoscere gli interessi e gli hobby del cliente per provare a personalizzare sempre di più i messaggi: può sembrare una procedura difficilmente scalabile, ma in realtà la raccolta dati oggi è molto più semplice di quanto di pensi.

In conclusione, il branding è sicuramente un’attività impegnativa e onerosa, di lungo termine, che richiede un’accurata pianificazione ed una fiducia incrollabile nel proprio marchio: ma i benefici per l’azienda che riesce ad ottenere dei Die-Hard Followers altamente fidelizzati al brand sono alti, ed è per questo motivo che i Die-Hard Followers sono l’obiettivo cui ogni marketer aspira.

Per leggere il post originale di Luke Summerfield: http://www.entrepreneur.com/article/232805

Napoli, 07/04/2014

Tecniche di marketing per le startup: il Growth Hacking

The Next Web ha pubblicato di recente un post di Gagan Biyani incentrato sulle specificità del marketing per le startup, il cosiddetto Growth hacking. Biyani è un imprenditore e growth hacker che ha organizzato insieme a Erin Turner la Growth Hackers Conference.

L’espressione “growth haking” è stata coniata per differenziare il marketing “tradizionale”, adatto alle esigenze di aziende già affermate, dal marketing specifico per le startup: queste ultime, infatti, hanno delle esigenze e delle sfide da affrontare molto diverse dalle altre aziende e, pertanto, devono utilizzare strumenti di marketing specifici.

Ma quali sono le differenze principali tra il marketing di un’azienda già avviata e una startup? Biyani ne elenca tre:

1. L’incertezza è un aspetto caratterizzante le startup: non sanno da chi sarà composta la clientela, quali sono le motivazioni d’acquisto dei clienti, quali sono i canali di marketing più adatti. Le società già avviate, al contrario, hanno già tutte queste informazioni e sulla base di queste cercano di migliorare le performance aziendali.
2. La crescita cui una startup aspira è molto impegnativa: si parla del 20% al mese, mentre un’azienda già avviata può dirsi soddisfatta di una crescita pari al 5% all’anno. Una startup deve essere in grado di crescere in maniera molto significativa partendo da una base molto più piccola rispetto a quella di un’azienda già esistente sul mercato.
3. Le startup non possono vantare certezze in termini di capitale e di brand equity: hanno meno soldi di un’azienda avviata e, di conseguenza, un budget differente da dedicare all’acquisizione e al mantenimento del cliente.

Da queste differenze si comprende quanto sia importante per una startup improntare la propria strategia di marketing in maniera differente rispetto alle aziende avviate, e il growth hacking è la strategia che meglio si adatta alle esigenze tipiche di una società in fase di avvio: è importante quindi capire cos’è e come funziona.

Il termine growth tenere una crescita virale della startup e del suo prodotto; dall’altro lato va inteso in senso più figurativo come uno stile di vita proprio di una persona in grado di pensare fuori dagli schemi, che scopre nuovi modi per risolvere i problemi.

La crescita “haking è una strategia di marketing particolarmente adatta alle startup per diversi motivi:

– si basa su strumenti propri delle tecnologie digitali, web e mobile;
– ha costi molto contenuti, fattore fondamentale per una startup in cui spesso scarseggiano i capitali;
– se ben utilizzata, è una strategia con grosse potenzialità in termini di ROI (Return on Investment);
– è utilizzabile con un prodotto in fase di progettazione, prestandosi quindi all’approccio basato su pivot e iterazione (vedi approccio “Lean Startup“);
– consente di ottenere consistenti ritorni in termini di feedback da parte di clienti e/o potenziali clienti;
– aiuta il processo di conversione da visitatori a utenti/clienti.

Tra le tecniche e gli strumenti di marketing più adatti alla crescita “hacking” ritroviamo prima di tutto la Viral Acquisition: in questa tecnica, si sfruttano le caratteristiche di un prodotto in fase di costruzione per incoraggiare gli utenti a condividere il prodotto con nuovi utenti.
E’ una tecnica particolarmente adatta alle esigenze di una start up perchè attraverso pochi contatti iniziali si propaga il messaggio in maniera esponenziale ad un numero crescente di potenziali clienti. Ciò a cui bisogna fare attenzione è proprio la necessità di controllare il messaggio, vista la velocità con cui esso si diffonde.

Una startup può, in misura spesso minore, utilizzare anche strategie di Acquisizione a pagamento: parliamo di strumenti come Google AdWords, gli annunci di Facebook, i display ads, gli annunci per cellulari, radio, TV, etc. Sono tutti strumenti molto validi, ma spesso un’azienda in fase di start up non ha a disposizione ingenti capitali da destinare a questo tipo di costi.

Anche l’outsourcing attraverso l’istituzione di call center o la creazione di un Team di vendita può essere visto come uno strumento di growth hacking: spesso le startup utilizzano questi mezzi affidandosi a personale a basso costo (esternalizzando in paesi dove il costo del lavoro è più accessibile o affidandosi a stagisti universitari), i quali si occupano di inviare e-mail ai potenziali clienti o di creare centinaia di pagine SEO-friendly: da questo punto di vista, call center e team di vendita diventano uno strumento di growth hacking perchè finalizzate all’acquisizione di potenziali clienti.

Un altro importante strumento a disposizione delle start up è il Content marketing: con questa tecnica si sceglie un detertecnica molto utile alle esigenze di una start up che deve costruire il proprio bacino di clienti ed utenti. Per attuarla, bisogna sfruttare i post sul blog, le infografiche e i video virali per aumentare la notorietà del brand e il traffico del proprio sito. In questo modo, si cerca di trasformare i visitatori in utenti.

Anche l’E-Mail marketing è particolarmente utile in fase di start up: l’obiettivo di crescita infatti non sempre è quello di aumentare il bacino di clienti/utenti, ma può essere anche quello di coinvolgerli o incoraggiarli a spendere di più. In questi casi, l’e-mail marketing è uno strumento molto utile e significativo, essendo poco costoso e altamente personalizzabile, con un grande potenziale in termini di ROI.

Anche le tecniche SEO per startup sono diverse da quelle delle aziende già avviate: le start up hanno infatti la necessità di costruire un’infrastruttura scalabile che sia applicabile a decine di migliaia o milioni di pagine, mentre la maggior parte della teoria SEO di cui si parla sul web e nei libri è focalizzata sulla graduatoria di sole 5-10 parole chiave. Ne consegue che il SEO deve essere adattato alle esigenze di una start up per poter essere utilizzato in maniera proficua: è importante valutare accuratamente l’indicizzazione del proprio sito, focalizzarsi sulle parole chiave più adatte al proprio settore, lavorare su un numero elevato di backlink per accrescere le visite al sito e scegliere i contenuti in maniera tale da incuriosire i visitatori al punto tale da iscriversi alla landing page (fonte: pmiservizi.it).

Un ultimo accenno va fatto sugli A/B Test e l’analisi multivariata: pur non trattandosi di un metodo di acquisizione vero e proprio, non vi è dubbio che l’analisi dei dati sensibili e i test A/B aiutano una growth hacking a migliorare l’acquisizione e le conversioni visitatore/utente. La tecnica consiste nel presentare due versioni (A e B) della pagina o del prodotto o, nel caso dell’analisi multivariata, diverse combinazioni da valutare: ciò consente di ottenere una serie di feedback dai potenziali clienti, utilissimi alla start up per lavorare ad eventuali modifiche da apportare al prodotto (fonte: aboutuser.com).

Napoli, 06/05/2013