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Tag: concorrenti

Consigli per startup early stage: come presentare il pitch ad un business angel o a un venture capitalist?

L’incontro con potenziali investitori rappresenta un momento chiave per una startup in fase early stage: Inc.com ha pubblicato qualche tempo fa un’interessante vademecum utile per capire quali sono gli step essenziali per sfruttare al meglio l’occasione e presentare il proprio pitch in maniera efficace per convincere un business angel o un venture capitalist.

La guida si apre con il punto di vista sull’argomento di Mike Levinson, co-founder di DreamIt Ventures, programma di accelerazione per startup di Philadelphia: “Non andare oltre la prima base se non sei in grado di affrontare le quattro aree“. Secondo Levinson, infatti, un potenziale investitore focalizza la propria attenzione su quattro punti essenziali:

1) La business idea è abbastanza semplice perché io possa comprenderla e decidere di investire in essa?
2) La business idea risolve un problema o soddisfa un bisogno?
3) Esiste un mercato o una base di clientela abbastanza grande per la business idea?
4) L’imprenditore che propone l’idea ha le persone giuste nel team per realizzarla?

In sostanza, quando un founder incontra un business angel o un venture capitalist cerca di vendere la propria vision e il proprio team. Occorre però tener presente una differenza: gli angel tendono ad essere più interessati ad ascoltare una storia dietro all’idea, alle emozioni che essa può suscitare, mentre il venture capitalist solitamente presta maggiore attenzione ai numeri, le prestazioni e la traction.

Riguardo ai contenuti essenziali da inserire nel pitch agli investitori, bisogna innanzitutto avere un business plan con una strategia di marketing ben definita e solidi dati di bilancio. Ma ciò che può davvero fare la differenza quando si tratta di ottenere un finanziamento, è il modo di presentarsi, di parlare, e quali sono le informazioni aggiuntive che il pitch contiene.

Vediamo quindi alcuni consigli fondamentali che la guida di Inc.com offre ad aspiranti imprenditori per preparare e presentare il proprio pitch agli investitori:

– Alcuni investor sono molto attenti a cercare l’entusiasmo che gli startupper mettono nel proprio lavoro: la passione è quindi un aspetto fondamentale e che “non si può fingere”, come afferma Barbara Corcoran (investor e magnate nel settore immobiliare).

– Uno degli errori più frequenti dei founder che presentano il proprio pitch è quello di spendere troppo tempo a spiegare la tecnologia o il prodotto anziché focalizzarsi sulle motivazioni per cui un investitore dovrebbe finanziare la startup. Quando incontrano una startup, i potenziali investor partono dal presupposto che la tecnologia funzioni: meglio concentrare la presentazione sui dati, sui numeri, sul patrimonio netto. Qualora l’investitore abbia dei dubbi sulla tecnologia o sul prodotto sarà egli stesso a fare delle domande.

– Un aspetto spesso trascurato è il modo in cui ci si presenta agli investitori: la prima impressione, il primo sguardo, contano molto per costruire la fiducia. Occorre quindi fare attenzione a presentarsi ben curati, mantenere il contatto visivo diretto con l’interlocutore, controllare alcuni aspetti della comunicazione non verbale. Ad esempio, alcuni gesti da evitare sono mettere le mani in tasca o torcersi le dita: si tratta di gesti che tradiscono l’ansia e il nervosismo, mentre è importante dimostrare una certa sicurezza.

– La chiarezza è fondamentale: occorre esprimersi in maniera concisa ma efficace, trasmettendo la passione e l’entusiasmo del team. Occorre comunicare chiaramente l’idea, il mercato, i fattori distintivi, le basi del successo finanziario e perchè si dovrebbe investire nell’idea.

– Presentare il pitch con una presentazione PowerPoint di 12 slide è piuttosto standard, soprattutto per una startup nel settore tecnologico. Se c’è un prototipo funzionante è una buona idea quella di mostrarlo agli investor durante l’incontro, in modo da mostrare effettivamente come è fatto il prodotto e come dovrebbe funzionare. Ancora, un punto in più potrebbe essere presentare dati sulle vendite e gli ordini previsti, e risultati di ricerche di mercato, sondaggi, focus group e test di prodotto.

– Un altro aspetto importante è prepararsi ad anticipare le domande che gli investitori potrebbero porre. Alcuni esempi sono: Quanto è grande il vostro mercato? Chi sono i vostri concorrenti? Perchè il vostro prodotto è migliore di quello che è già sul mercato? Qual è la vostra strategia di acquisizione di nuovi clienti? Allo stesso tempo, è importante essere pronti a fornire strategie alternative, una sorta di “piano B” qualora la strategia ufficiale non dovesse permettere il raggiungimento degli obiettivi. Inoltre, quando un investor pone una domanda, è importante mostrarsi calmi e sicuri di sè, prendendosi il tempo per riflettere prima di rispondere. In questo modo si dimostra anche la propria capacità di reagire in maniera efficace e costruttiva quando di è sotto pressione.

– E’ inoltre fondamentale avere già pronta una exit strategy. L’investitore deve sapere come guadagnerà in futuro i propri soldi, forndendo proiezioni a uno e a tre anni. Occorre inoltre tener presente che la maggior parte degli investimenti di business angel restano nel capitale sociale per circa 7/8 anni, prima di procedere con l’exit e vendere ad un’altra compagnia.

– Tenere sempre presente che alcune delle motivazioni più comuni per respingere un accordo tra investor e startup sono: valuation troppo alta, team con poca esperienza, mancanza di vantaggio competitivo, potenziale di crescita insufficiente, indebitamento troppo alto.

– Infine, non pensare che perché il pitch è andato bene, e l’investitore sembra disposto a finanziare il business, l’affare sia ormai concluso: la parte difficile inizia proprio nella fase di follow-up. E’ fondamentale in questa fare mantenere i contatti per ottenere prima possibile un secondo incontro e, al momento di rivedersi, chiedere un accordo scritto. Naturalmente è necessario presentarsi al secondo incontro con la risposta a tutti i dubbi, le domande e le preoccupazioni che l’investor aveva sollevato e avere a disposizione il business plan e i documenti necessari a sottoscrivere l’accordo.

Per leggere l’articolo originale da cui è tratto questo post: http://www.inc.com/guides/2010/10/how-to-pitch-to-angel-investors.html

Napoli, 29/05/2014

Quali sono gli errori più frequenti per una startup alle prese con il fundraising?

Sam Altman è un imprenditore, attualmente presidente di Y Combinator e precedentemente co-founder e CEO della startup Loopt, applicazione mobile per il social networking, acquisita nel 2012 dalla Green Dot Corporation.

In un post pubblicato qualche tempo fa sul suo blog, Altman ha analizzato una fase fondamentale per una startup in crescita: la fase del fundraising. L’obiettivo del suo post è quello di individuare alcuni degli errori più frequenti che i founder di una startup possono fare quando si affacciano alla fase di fundraising.

1) Rendere il processo “iper-ottimizzato”

Moltissimi founder cercano strade difficili per la raccolta di capitali, mettendo spesso in pratica dei “trucchi” che pensano siano utili ma in realtà non fanno che complicare le cose. In realtà, scrive Altman, è tutto piuttosto semplice: se l’azienda funziona bene, otterrà dei buoni risultati in termini di fundraising. L’unica strada da percorrere, quindi, è quella di lavorare per migliorare il più possibile l’azienda, il suo funzionamento e i suoi risultati.

Il processo di fundraising, infatti, è molto semplice: innanzitutto bisogna trovare il modo di ottenere un incontro con i potenziali investitori. Dopodichè, occore spiegare loro in che modo la startup può riuscire a fargli ottenere guadagni elevati. Ciò significa spiegare agli investitori la mission aziendale, il prodotto, la traction, la visione futura, il mercato, la concorrenza, quale sarà il vantaggio competitivo nel lungo periodo, come hai intenzione di ottenere dei ricavi e come si compone il team.

Occorre riuscire a implementare un vero e proprio ambiente competitivo: le migliori condizioni in termini di raccolta capitali si ottengono quando più investitori sono in concorrenza tra loro per finanziare una startup. Secondo Altman, è questa l’unica “regola del gioco” valida.

Non bisogna, quindi, ricorrere a piccoli e grandi trucchi: l’unica strada percorribile è quella di lavorare sodo per far funzionare il business nel migliore dei modi, gli investitori decidono di finanziare una startup solo se sentono di poterlo fare con fiducia.

2) Numeri, richieste e valutazioni troppo alti

Quando si cerca di ottenere dei finanziamenti, è importante mantenere quelli che Altman definisce “clean terms”: spesso le startup alla ricerca di capitali tendono infatti a valutare per eccesso i numeri, facendo richieste più elevate di quanto sia realmente necessario.

Alla base di questo errore c’è la convinzione dei founder di “impressionare” i potenziali investitori: in realtà questo atteggiamento allontana gli investors, mentre chiedere semplicemente ciò di cui si ha effettivamente bisogno è l’atteggiamento vincente nel fundraising.

3) Non riuscire a creare un ambiente competitivo

Si tratta di una fase critica del “gioco” del fundraising. Come accennato più sopra, secondo Altman è fondamentale mettere “in competizione” più potenziali investitori.

La parte più difficile da gestire è sicuramente quando arriva la prima offerta: una volta ottenuta un’offerta, infatti, se non ne arrivano altre in tempi stretti si corre il rischio di voler aspettare troppo ad accettare (in attesa che altri investitori facciano una proposta) e di perdere quella che potenzialmente potrebbe essere una buona opportunità.

La cosa migliore, sarebbe trovare un investitore che ama davvero ciò che la startup sta facendo e che sia totalmente disposto a finanziarla: quando c’è una prima offerta di questo tipo, la startup può aspettare più tranquillamente e cercare di ottenere altre offerte.
Naturalmente occorre ricompensare il primo investitore, assicurandogli priorità o quanto meno la sicurezza di rientrare nel round di investimento.

Quando si riesce a creare un buon ambiente competitivo tra potenziali investitori, il processo di fundraising diventa davvero in discesa e spesso anche chi in precendenza non aveva mostrato interesse a finanziare il progetto inizia a considerare un possibile investimento.

4) Presentarsi agli investitori in maniera arrogante, irrispettosa, ecc.

Presentarsi ai potenziali investitori con un’aura da “nerdy founder” è un vezzo inutile e controproducente: occorre essere sempre rispettosi quando si incontrano gli investors. Questo significa, avverte Altman, che non bisogna mai pretendere una decisione dopo il primo incontro (a meno che non si stia davvero per chiudere il round di finanziamento).

Altman consiglia di ricordare sempre che gli investitori sono persone che vogliono essere amate, bisogna fargli sapere che si desidera davvero lavorare insieme a loro per renderli più inclini ad investire nella vostra startup.

5) Non ascoltare

Gli investitori sono preoccupati di non rischiare di perdere i propri capitali, mentre i founder sono persone ottimiste per eccellenza. Questo significa che, molto spesso, quella che per un investor è una versione “carina” di un no viene recepita dal founder come un “con un paio di ulteriori incontri, possiamo arrivare ad un sì”.

Bisogna imparare ad ascoltare con molta attenzione, e capire se è il caso di insistere ulteriormente o è più saggio e fruttuoso andare avanti e incontrare altri potenziali finanziatori.

6) Non avere un “lead investor”

Altman spiega che spesso i founder che raccolgono capitali da più investitori si compiacciono del fatto che nessuno di questi ha un particolare “potere” rispetto agli altri. La realtà, però, è che un investitore con poco potere nelle aziende che finanzia non si sente veramente coinvolto e non si adopera per il successo della startup.

Sarebbe invece davvero utile avere un “lead investor”, con il quale organizzare regolari incontri mensili per metterlo al corrente dei progressi: questi incontri fissi creano infatti una tensione positiva nella startup, soprattutto a livello operativo e di raggiungimento dei risultati prefissati.

7) Avere un pitch scarno

Spesso i founder si fanno prendere dalla voglia di seguire alla perfezione un template, spiegando tutto ciò che sanno sui concorrenti, sull’evoluzione del mercato, ecc. Ma altrettanto spesso, sono i primi ad annoiarsi e questa noia è palese anche all’esterno.

Il consiglio di Altman per un pitch vincente da presentare agli investitori è quello di concentrarsi sulle parti del business che davvero ti entusiasmano: ciò renderà entusiasti anche gli investitori. Trasmettere la passione per il proprio business è fondamentale, ed è quasi impossibile mentire a riguardo.

Gli investitori vogliono ascoltare una vera e propria storia, che racconta come il team ha deciso di lavorare all’idea, come si sono incontrati i co-founder, ecc.: sono aspetti da non tralasciare nel proprio pitch.

Inoltre, gli investitori intelligenti sono alla ricerca di progetti che possano realmente avere successo: occorre quindi concentrarsi sugli aspetti fondamentali che facciano capire che si sta davvero costruendo una grande azienda.

8) Non chiedere delle referenze sugli investitori

I grandi investor possono apportare una quantità enorme di valore aggiunto, nella stessa misura in cui i cattivi investitori possono rendere davvero la vita difficile ai founder di una startup: ecco perché Altman succerisce di chiedere sempre informazioni a chi ha già ottenuto finanziamenti, cercando di ottenere delle vere e proprie referenze sugli investitori con cui ci si prepara a collaborare.

9) Non avere una vision sufficientemente chiara

Se non si è fermamente convinti di ciò che si fa, e si è sempre d’accordo con i suggerimenti dell’investitore, significa che la vision della startup non è sufficientemente chiara. Altman sostiene che, pur dovendo sempre ascoltare ciò che l’investitore ha da dire, si dovrebbe rimanere sempre fermi su ciò in cui si crede davvero.

I founder che hanno una vision aziendale chiara riescono a spiegare ciò che stanno facendo e perché il loro progetto è importante in poche e semplici parole: una vision chiara implica solitamente una grande idea. Fermo restando che esistono sempre delle incognite: anche se non è possibile avere tutte le risposte, prima di iniziare la fase di fundraising è fondamentale avere una vision chiara.

10) Non conoscere le metriche chiave

Le possibili domande degli investitori per una startup in fase di early stage sono essenzialmente due: “Il team sa cosa fare?” e “Il team è in grado di farlo?”.
La risposta alla prima domanda è nel punto 9: occorre avere una vision aziendale chiara e definita.
Per la seconda domanda, invece, occorre essere in grado di dimostrare la qualità operativa attraverso i numeri e le metriche chiave: Altman afferma che è davvero sorprendente come spesso le aziende si rivolgano ai potenziali investitori senza conoscere queste informazioni.

Per leggere il post originale di Sam Altman: http://blog.samaltman.com/fundraising-mistakes-founder-make

Napoli, 17/04/2014

Innovazione di prodotto/servizio e “live prototyping”: consigli utili a startup e imprese per proteggere il brand negli esperimenti di mercato

David Aycan, dopo aver co-fondato e gestito due startup di successo, è attualmente Design Director a IDEO, dove collabora con startup e grandi aziende per le attività di progettazione di nuove offerte e business model.
Paolo Lorenzoni lavora al Product Development di Food Genius, azienda che fornisce big data all’industria alimentare ed esperto nella guida di team multidisciplinari per nuove iniziative e progetti nei settori food, tecnologie e retail.

Insieme hanno pubblicato di recente un contributo per il Blog Network di Harvard Business Review, dedicato al tema “Prototype Your Product, Protect Your Brand”: lo spunto nasce dalla crescente diffusione, tra startup e imprese già consolidate, delle attività di “live prototyping”.
Si tratta di lanciare sul mercato reale prodotti non finiti per testarli in reali situazioni di contatto con i clienti, per evitare di investire ingenti risorse su idee di prodotto sbagliate, o comunque che non incontreranno il favore del mercato. Un concetto molto diffuso nel mondo delle startup, assimilabile al MVP di Steve Blank e della metodologia Lean Startup.

La domanda che si pongono Aycan e Lorenzoni è se un’attività del genere possa avere ripercussioni negative: sull’immagine dell’azienda, sul brand, o in termini di “svelamento” delle strategie alla concorrenza. Si tratta, secondo gli autori, di dubbi sicuramente leciti, ma allo stesso tempo assicurano gli imprenditori e aspiranti tali della possibilità di gestire la live prototyping e gli esperimenti di mercato in modo tale da non mettere a rischio i rapporti con i clienti.

Quando si decide di mettere in pratica un esperimento di mercato che coinvolga i clienti per valutare il prototipo di un nuovo prodotto, è importante valutare una serie di aspetti. Nel loro post, Aycan e Lorenzoni elencano i seguenti:

Valutare la Brand History: l’azienda ha già fatto esperimenti di mercato in passato? Come hanno reagito i clienti? I vostri clienti più affezionati hanno apprezzato la vostra inventiva? Bisogna sempre domandarsi se è il caso o meno di innovare il prodotto: un marchio “storico” come Levi’s, ad esempio, ha dei clienti strettamente legati al “classico” e potrebbero non apprezzare eventuali modifiche.

Valutare i Benchmarks competitivi: bisogna fissare il livello minimo di qualità del prodotto (floor). La domanda da porsi è: la qualità rappresenta un aspetto essenziale e imprescindibile oppure no? Tale valutazione è strettamente connessa al settore di attività: ad esempio, un’azienda automobilistica non può mantenere standard qualitativi bassi.

Valutare i concorrenti: Aycan e Lorenzoni mettono in evidenza un punto fondamentale a riguardo. Guardare esclusivamente i concorrenti diretti potrebbe essere fuorviante, bisogna osservare i settori simili e i prodotti sostitutivi: se si lavora in un settore strettamente regolamentato, ad esempio, occorre guardare anche al settore sanitario o della finanza, dove la prototipazione deve seguire normative ben precise.

“Prototype prototyping”: più semplicemente, gli autori si riferiscono alla possibilità di parlare ai clienti della prototipazione prima di lanciare un prototipo. Anzichè limitarsi a lanciare il prototipo sul mercato, si può chiedere ai clienti di immaginare come reagirebbero di fronte a tali prototipi senza sapere che non si tratta di prodotti finiti. Può essere utile domandare se sarebbero entusiasti di provare cose nuove, ed identificare un gruppo di clienti cui sottoporre il test di prodotto per valutare eventuali modifiche e miglioramenti.

Una volta comprese quali siano le aspettative iniziali del cliente, è possibile passare alla pianificazione dell’esperimento: naturalmente, il modo più efficace per ridurre il rischio è quello di investire soltanto quando si sarà raggiunto un livello di qualità sufficientemente alto. Ma anche in questo caso, è fondamentale investire risorse in ciò che va incontro alle necessità ed aspettative del cliente, per assicurarsi di migliorare il livello di qualità mantenendosi in linea con le richieste e i bisogni della clientela.

Un altro approccio utile per ridurre il rischio è quello di contenere l’esperimento ad alcuni momenti specifici della customer experience: è utile concentrarsi inizialmente solo sugli aspetti che mettono in risalto i rischi aziendali più elevati, riducendo il tempo di interazione dei clienti con il prototipo. Ad esempio, per testare il nuovo packaging non è necessario sottoporre il prodotto al cliente: basta mostrargli la nuova confezione esterna senza offrire la possibilità dell’intera esperienza di acquisto e consumo del prodotto.

Un’ulteriore strategia utile per contenere il rischio dell’esperimento è quella di calibrare l’esposizione del prototipo, sperimentandolo con una piccola fetta di potenziali clienti. In questo modo, è possibile osare un po’ di più nelle proposte innovative, senza rischiare nei confronti dell’intero bacino di clienti e misurando l’impatto del cambiamento su un gruppo limitato.

Infine, se nonostante questi accorgimenti l’esperimento di lancio di un prototipo dovesse incontrare ancora difficoltà, Aycan e Lorenzoni suggeriscono una strategia basata sulla trasparenza: si tratta di far sapere ai clienti coinvolti nel test che stanno sperimentando un prototipo non ancora lanciato sul mercato. Per farlo, è opportuno creare un sub-brand con lo scopo di introdurre nuovi prodotti, idee e prototipi ancora incompiuti per testarli.
Si tratta dell’approccio utilizzato da Google con Google Labs, il sub-brand che il colosso americano dedica alla creazione di nuovi prodotti rivoluzionari tra cui i Google Glass.

In quest’ultimo caso è utile offrire al cliente la possibilità di tornare al prodotto/servizio originale in caso di problemi con il prototipo: in questo modo è possibile ottenere dai clienti informazioni e feedback utili per i miglioramenti da apportare al prototipo.

In ogni caso, concludono Aycan e Lorenzoni, anche se le attività di “live prototyping” sembrano difficili da implementare sono sicuramente meno rischiose rispetto a lanciare un prodotto o un servizio difettoso: soprattutto in un mercato come quello attuale, che si muove veloce e in cui tutte le aziende cercano di innovare più rapidamente possibile per non ritrovarsi con un business obsoleto.

Il post originale è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/04/prototype-your-product-protect-your-brand/

Napoli, 16/04/2014

La nuova call di LUISS EnLabs per startup ICT con un’idea disruptive

LUISS EnLabs, l’acceleratore di startup con sede a Roma Termini, apre la nuova call for ideas per il programma di accelerazione della durata di cinque mesi che avrà inizio a giugno 2014: il percorso è aperto a idee disruptive “in grado cambiare il mondo”.

Durante i cinque mesi del percorso di accelerazione, le startup insediate a LUISS EnLabs saranno affiancate da un network di esperti e consulenti e seguiranno un approccio XPM (Agile): a ciascuna startup saranno assegnati due consulenti/mentor, che sosterranno il team cercando di diagnosticare precocemente qualsiasi problema ed ostacolo tipico di un progetto imprenditoriale nella sua fase di avvio.

Le startup selezionate per il percorso di LUISS EnLabs riceveranno un investimento pari a 30K di liquidità, inoltre avranno la possibilità di trascorrere alcune settimane in uno degli acceleratori del network internazionale di partner di LUISS EnLabs: in questo modo, i team avranno la possibilità di confrontarsi con persone, realtà ed approcci differenti accrescendo il valore formativo della loro esperienza.

Inoltre, il programma di accelerazione per startup di LUISS EnLabs prevede un ricco calendario di eventi formativi, in particolare seminari, tenuti da esperti internazionali in particolare sui temi del project management.
Tra gli eventi del programma di accelerazione, è particolarmente importante l’occasione offerta dall’Investor Day: si tratta dell’evento conclusivo dell’intero percorso, in cui ciascuna startup avrà a disposizione 7 minuti per presentare il proprio pitch seguiti da 15 minuti di Q&A di fronte ad una platea costituita da venture capitalist, business angels, grandi aziende, esperti di startup, media e giornalisti.

E’ possibile inviare la propria candidatura entro la deadline fissata per il 15 maggio 2014: LUISS EnLabs è alla ricerca di startup del settore ICT in possesso di un’idea disruptive, con un team fortemente motivato e un prodotto (anche in versione alfa o beta) in grado di stupire gli organizzatori.

Per partecipare, occorre inviare una mail all’indirizzo applications@luissenlabs.com contentente il nome della startup nell’oggetto. La mail dovrà contenere il link ad un video pitch della durata massima di 7 minuti e un executive summary (in formato PDF, di massimo due pagine).

Il video e l’executive summary dovranno contenere innanzitutto una breve descrizione del prodotto e dell’idea (Qual è il problema che la tua startup risolve? Come fa a risolverlo? Perché il vostro prodotto è unico?), inoltre dovrà spiegare il mercato potenziale, il modello di business, i concorrenti e il team.

Per maggiori informazioni, qui le FAQ dal sito ufficiale di LUISS EnLabs: http://www.luissenlabs.com/program/application/application-faq.html

Napoli, 25/03/2014

Consigli alle startup: affrontare i Copy Cat Competitors facendo leva sull’innovazione e il contatto con i clienti

I “Copy Cat Competitors” rappresentano i concorrenti che imitano il prodotto/servizio di un’altra impresa, soprattutto quando si tratta di innovazioni lanciate per la prima volta sul mercato: una tipologia di concorrenti che molto spesso una startup si trova a dover fronteggiare, sia quando il suo business nasce dalla creazione di un prodotto/servizio totalmente innovativo che quando il team si occupa di migliorare un prodotto/servizio già esistente.

Sicuramente si tratta di una forma di competizione ingiusta dal punto di vista della startup “copiata”, che ha investito risorse (soprattutto in termini di tempo e lavoro) e si è assunta il rischio di aprire una nuova strada nel mercato: tuttavia, è importante che le startup siano pronte e consapevoli all’idea di ritrovarsi con dei Copy Cat Competitors da fronteggiare.

Vediamo innanzitutto quali possono essere le strategie più utili da adottare in via preliminare, alcune regole di base che i founders devono tener presenti in vista della nascita di concorrenti di questo tipo: una fonte utile di consigli è nel piano elaborato da Paul B. Brown, co-autore di “Just Start” (pubblicato da Harvard Business Review), pubblicato in un recente articolo apparso su Forbes.

Secondo Brown, una startup deve prepararsi all’eventualità di affrontare la concorrenza dei Copy Cat Competitors basandosi sui seguenti punti:

1) Accettare il fatto che qualcuno imiterà il vostro prodotto/servizio innovativo: anche se siamo protetti da strumenti come i brevetti, la posizione di default dovrebbe essere comunque quella di prepararsi ad affrontare gli imitatori. Questo perchè è possibile che qualcuno riesca a trovare un modo per aggirarli, o semplicemente li ignoreranno costringendoci ad intentare una costosa causa legale. La strategia migliore per una startup è quella di accettare l’esistenza dei Copy Cat Competitors tra i concorrenti che dovrà affrontare.

2) Mai sottovalutare la concorrenza: i concorrenti sono implacabili, e agiscono sempre in maniera più veloce di quanto si pensi. Ignorarli o sperare che il mercato ricompensi la nostra azienda non sono scelte sicure: Brown utilizza il detto secondo il quale “I pionieri vengono sempre colpiti da frecce alla schiena”.

3) Non pensare mai di competere sul prezzo: è un loser’s game. Ci sarà sempre qualcuno che potrà proporre un prezzo inferiore al vostro, pur di acquistare una quota di mercato. O semplicemente perchè non hanno idea di quali siano i reali costi di produzione del prodotto/servizio.

4) Continuare ad innovare, il più velocemente possibile: anziché competere sul prezzo, la strategia migliore che una startup deve seguire è continuare a migliorare il proprio prodotto/servizio innovativo, proseguendo il percorso di crescita basato sull’innovazione del prodotto esistente e provando a crearne di nuovi.

5) Mantenersi in costante contatto con i clienti più importanti: saranno proprio loro a dirvi di cosa hanno bisogno, aiutandovi ad identificare sempre meglio il problema da risolvere. Si tratta di un aspetto fondamentale, soprattutto per un business innovativo, inoltre sarà probabile ottenere informazioni utili per un nuovo prodotto/servizio da creare e lanciare sul mercato.

6) Una volta individuato il problema-chiave, adoperarsi per riuscire a risolverlo il più velocemente possibile: in questo modo, la startup può avere ottime chances di essere la prima a lanciare il prodotto/servizio sul mercato.

Questi consigli offrono sicuramente una vision generale utile a qualsiasi startup, soprattutto nelle fasi iniziali del business: ma cosa fare quando i Copy Cat Competitors si presentano sul mercato con un prodotto/servizio che imita palesemente il nostro?
Per avere dei suggerimenti utili è possibile affidarsi al post pubblicato sul tema da EnMast, portale specializzato in coaching per piccole imprese, con la firma di Kaleigh Moore (qui, il link di riferimento).
Kaleigh Moore è founder di Lumen (azienda specializzata in copywriting, social media services e graphic design) e nel suo post parla dell’esperienza di Valerie Beck, imprenditrice di Chicago che si è trovata a dover affrontare dei Copy Cat Competitors per il suo business innovativo “Chicago Chocolate Tours”.

La presenza di un Copy Cat Competitors è diventata un problema per “Chicago Chocolate Tours”, dal momento che un’azienda ha iniziato ad offrire un prodotto molto simile (si tratta di tour a piedi tra le botteghe artigiane del cioccolato in città) offrendo però un servizio di scarsa qualità: i clienti, confusi, hanno iniziato a pubblicare cattive recensioni su “Chicago Chocolate Tours” creando un impatto decisamente negativo sul brand.

Valerie e il suo team si sono trovati quindi a dover affrontare la situazione, e i loro consigli sono essenzialmente cinque:

1) Inviare una comunicazione in cui si chiede la cessazione delle attività, coinvolgendo eventualmente un avvocato (particolarmente utile se si tratta di violazione della proprietà intellettuale);

2) Assumere un “secret shopper” che provi il prodotto/servizio del Copy Cat Competitor e scopra quali sono le differenze tra le offerte.

3) Tenere un registro dei casi di clienti confusi, per documentare l’intera situazione e tenere i dati a portata di mano;

4) Portare a conoscenza della clientela la questione, in particolare attraverso i social media, in modo tale da favorire la diffusione della notizia;

5) Rafforzare l’immagine e il marchio, utilizzando ad esempio termini come “Originale” e rimanendo legati ai propri valori di qualità e di eccellenza.

In ogni caso, i Copy Cat Competitors non devono essere visti come il peggior incubo di una startup: come spiega in un post sull’argomento Marianne Cantwell, autrice di “Be a Free Range Human”, essi rappresentano in ultima analisi una semplice “versione in 2D” di voi e del vostro business, paragonabili alla differenza che c’è tra la realtà e una fotografia.

Occorre quindi fare attenzione a questo tipo di concorrenti, ma continuare a lavorare per far crescere la propria startup restando legati alla propria vision aziendale e facendo leva su aspetti fondamentali come l’innovazione, la comunicazione del brand e il continuo contatto con i clienti.

Napoli, 12/03/2014

Consigli alle startup: il passaggio fondamentale da founder a CEO

Uno degli ultimi articoli pubblicati da Entrepreuner porta la firma di Darrel Kopke, co-founder dell’acceleratore di impresa canadese InstituteB (caratterizzato da una vision che mette sullo stesso piano il profitto e il valore sociale del business). Tema dell’articolo è il passaggio fondamentale che il founder di una startup deve affrontare: quello che lo porta a diventare CEO della sua impresa.

Spesso infatti, quando una startup raggiunge una fase di stallo nella sua crescita o compie un passo falso, il founder dà la colpa agli altri quando, in realtà, alla base del problema potrebbe esserci proprio lui: Kopke fa l’esempio di una recente esperienza vissuta con una società di software che aveva avuto una crescita esponenziale delle vendite per i suoi primi 5 anni di attività, salvo poi assistere per 2 anni consecutivi ad una fase di stagnazione e infine di calo delle vendite.

In questa società il founder gestisce un team di 80 persone, è oberato di lavoro, ma cerca in tutti i modi di ritrovare lo slancio che aveva caratterizzato i primi anni di vita dell’azienda: ciò che appare evidente a Kopke è che il founder si occupa ancora di lavorare a troppe attività come quelle di marketing, o la correzione degli errori nel codice, e ancora la partecipazione a tutte le fiere e gli eventi di networking del settore. Nonostante abbia un team di senior leadership, interferisce nel loro lavoro e nelle loro scelte.

Dal punto di vista del founder, il motivo alla base della crisi che l’azienda attraversa è la combinazione di un team debole al marketing, un mercato del lavoro competitivo per gli sviluppatori e una serie di mosse intelligenti messe a segno dai concorrenti. In realtà, secondo Kopke, il problema è nel mancato passaggio da founder a CEO.

Kopke sostiene infatti che la crescita e la traction dei primi anni era il risultato dell’intelligenza, la passione, la vision e l’etica del founder e, allo stesso modo, costui dovrebbe assumersi la responsabilità anche della crisi attuale che il business sta attraversando.

Secondo l’autore, il passaggio dalla mentalità da founder a quella da CEO non è una progressione naturale: il founder, che ha costruito fin dagli inizi la propria startup seguendo e controllando tutti gli aspetti del business, ha difficoltà a delegare ad altri il controllo di alcune attività, temendo di perdere il controllo dell’azienda. Ma i founders che non delegano diventano essi stessi un ostacolo alla crescita del proprio business.

Vediamo, quindi, alcuni consigli che Kopke elenca nel suo articolo e che sono utili al passaggio dalla mentalità di founder a quella di CEO:

1) Stabilisci il valore del tuo tempo a 1.000$ a ora.

E’ fondamentale che un CEO dia il massimo valore al proprio tempo. Bisogna sempre domandarsi “Qual è il miglior utilizzo che posso fare del mio tempo in questo momento?”. Ad esempio, non è proficuo lavorare sulle attività che dovrebbe chiudere un copywriter, mentre è necessario impiegare il proprio tempo sulla creazione di entrate e profitti.

2) Non svolgere nessuna attività, ma gestirle tutte.

Occorre cambiare completamente la mentalità: il CEO deve lavorare sulla propria attività, non lavorare nel proprio settore. Un leader efficace è colui che riesce ad allineare il proprio team su risultati specifici e definiti, per poi gestire tali risultati una volta che sono stati raggiunti. Occorre gestire il chi, il cosa e il quando: non il come.

3) Diventare il “Chief Why Officer”.

Vuol dire costruire un contesto della propria leadership, ricordando sempre al team perchè la società sta facendo ciò che sta facendo, qual è il ruolo di ciascuno all’interno dell’azienda, compreso il ruolo del CEO. Si tratta di un passaggio fondamentale per costruire la vision aziendale, per farla comprendere al team: è il modo migliore affinché tutti comprendano i valori aziendali e lavorino secondo tali valori, basando su essi tutti i processi decisionali.

In conclusione, secondo Kopke, i founders che riescono a spostare la propria mentalità su quella da CEO non devono aver timore che la situazione sfugga loro di mano: al contrario, sono proprio i founders che riescono a fare questo passaggio quelli che non perdono contatto con il proprio business, garantendosi la possibilità di guidare la propria azienda verso un futuro prospero e di crescita.

Per leggere l’articolo originale su Entrepreuner: http://www.entrepreneur.com/article/231825

Napoli, 28/02/2014

Consigli alle startup – Smart scaling: qual è il momento giusto per un pivot?

Il “pivot” rappresenta una decisione aziendale di effettuare un cambio di direzione, una modifica nella sua attività principale o nel suo modello di business per ottimizzare le proprie possibilità di successo e di crescita: si tratta di un concetto centrale nel modello Lean Startup elaborato da Eric Reis, del quale hanno discusso anche altri esperti di startup tra cui Steve Blank (qui, il più recente dei nostri post sull’argomento).

Qualche tempo fa, su VentureBeat.com, è stato pubblicato un post scritto in collaborazione con gli esperti di TriNet (società californiana leader nella consulenza aziendale) che spiega come capire qual è il momento giusto per un pivot, e come fare a non prendere troppo di sorpresa i propri utenti/clienti. Secondo gli autori del post, il pivot è necessario nelle seguenti situazioni:

1) Le persone non vogliono il vostro prodotto. E’ possibile che ciò accada sia ad un business maturo, sia in fase midstage che a un piccolo business agli inizi. In alcuni casi, infatti, un’azienda arriva a detenere una certa nicchia di mercato, con alcuni clienti che capiscono e apprezzano il core business. Ma per crescere davvero, e svilupparsi ad un livello successivo, occorre assicurarsi che il vostro prodotto/servizio abbia la possibilità di diventare popolare, su un mercato più ampio. Ciò può essere difficile, soprattutto per aziende del settore Saas (software-as-a-service).

Quando ci si rende conto che il prodotto non è appetibile per un’ampia fascia di potenziali clienti, diventa necessario riflettere su cosa realmente fa l’azienda e su perchè il prodotto/servizio che offre è importante per la gente, su quale problema risolve: potrebbe essere il caso di adoperarsi per un pivot, concentrando il proprio business sui prodotti/servizi che possono essere maggiormente appetibili sul mercato.

2) Il team è scoraggiato. Se i dipendenti attraversano una fase in cui sono scoraggiati e poco coinvolti con gli obiettivi dell’azienda, è probabile che anche i clienti smetteranno di seguire il business. Questo è, probabilmente, uno dei motivi principali del successo globale delle startup: attraggono attenzione ed interesse perchè sono piene di energia, motivate e impegnate nell’innovazione.
Se il team perde interesse e non crea nulla di innovativo, è probabile che anche i clienti perdano interesse per il prodotto/servizio che offrite e che si spostino verso marchi concorrenti.

Esistono degli indicatori-chiave per questa situazione: il tasso di abbandono dei dipendenti aumenta e i fornitori dimostrano meno interesse a lavorare con voi. Inoltre, quante più persone lasciano l’azienda, tante più persone che restano si demotivano, e di conseguenza lasceranno. Ecco che si innesca un vero e proprio circolo vizioso, che porta l’azienda in una situazione di crisi. La soluzione a questo tipo di problema è anche questa volta un pivot: occorre offrire al team la possibilità di lavorare ad un progetto innovativo, lasciare spazio alla creatività dei dipendenti e lavorare tutti insieme in vista di un’idea per costruire il futuro dell’azienda.

3) C’è un concorrente che non è possibile battere. Nel post su VentureBeat, gli autori si servono a questo punto dell’esempio di Instagram: i founders avevano iniziato con un social network location-based chiamato Burbn, che in fase early stage iniziava a crescere. Tuttavia, in quel periodo, c’era un grosso concorrente sul mercato: Foursquare. Ben presto i founders di Burbn si resero conto che, per avere successo, avrebbero dovuto fare qualcosa per differenziarsi dal concorrente: il loro pivot è stato l’inserimento delle fotografie e dei filtri, grazie al quale è stato possibile ritagliarsi un mercato completamente differente che li ha portati ad una delle acquisizioni di più alto profilo degli ultimi anni.

Una volta esaminate le situazioni nelle quali è consigliabile effettuare un pivot, il post prosegue con una serie di consigli su come affrontare questo delicato momento della vita di un’azienda senza rischiare di perdere tutto ciò che si era già acquisito. Si tratta di consigli fondamentali per qualsiasi azienda, ma particolarmente utili per una startup: occorre fare molta attenzione, perché le persone (che siano clienti, fornitori o clienti) sono sempre particolarmente restie di fronte ai cambiamenti. Vediamo quali sono i tre consigli pratici per un pivot di successo:

1) Mantenere il focus sulla user experience. Che si tratti di un’azienda consolidata o di una startup agli inizi, spesso la tendenza è quella di concentrarsi esclusivamente sui prodotti/servizi offerti. In realtà, è fondamentale sforzarsi di tenere in considerazione i pareri dei clienti: cosa pensano del prodotto? Di cosa hanno bisogno? Cosa si aspettano? Acquistano il vostro prodotto con una certa regolarità? E’ fondamentale porsi queste domande, e l’unico modo per avere delle risposte è parlare ai clienti per ottenere i loro feedback.

2) Mettere in pratica un progetto collaborativo. Occorre coinvolgere il team, i colleghi e i dipendenti nel pivot: tutti devono sentirsi coinvolti e devono poter collaborare al cambiamento del modello di business. Un suggerimento è quello di creare gruppi di lavoro dedicati al pivot all’interno dell’azienda. Inoltre è fondamentale capire chi sono le persone maggiormente scontente e demotivate e chi, invece, è più incline e propenso al cambiamento e all’innovazione: entrambi vanno attivamente coinvolti. Fondamentale, infine, dare a tutti i componenti dell’azienda la possibilità di fornire i propri feedback, creando dei canali riservati ad hoc.

3) Trovare un altro “big problem” da risolvere. La principale critica che viene mossa oggi alle startup è che molte aziende lavorano per risolvere problemi di scarsa rilevanza. Se le persone credono che il problema risolto dal prodotto/servizio offerto dall’azienda sia poco importante, è il momento di un pivot. Diventa quindi indispensabile trovare un problema interessante, un gap da colmare, che sia utile ai clienti nella vita di tutti i giorni. Quando si trova il problema da risolvere, occorre tenerlo presente come un faro verso il quale dirigere il pivot e l’intera mission aziendale: la chiave per trovare un problema di questo tipo è quella di affidarsi alla creatività e all’innovazione.

Per leggere il post originale: http://venturebeat.com/2013/09/19/smart-scaling-3-signs-you-need-to-pivot-and-how-to-pull-it-off-2/

Napoli, 24/02/2014

Consigli per startup: le sfide da affrontare quando si lancia sul mercato un prodotto innovativo

Scott Finfer è dal 2011 CEO della startup Emerge Clinical Solutions, ed è un esperto imprenditore ed investitore, che ha lavorato con questa startup riuscendo a trasformarla da un’azienda innovativa alle prime armi a leader consolidato nel settore medico e sanitario. Di recente ha firmato un articolo per Entrepreuner sulle sfide più difficili per una startup che, con un prodotto/servizio innovativo, crea un mercato del tutto nuovo.

Mentre un’azienda che offre un prodotto/servizio già esistente sul mercato deve fare i conti con i competitors per guadagnare quote di mercato, un’idea innovativa si trova ad affrontare spesso problemi molto più grandi: bisogna far comprendere il proprio prodotto ai potenziali clienti, far nascere in questi ultimi la consapevolezza di averne bisogno e convincerli ad assumersi il rischio di acquistarlo. Tutto ciò, riuscendo a mantenere l’azienda a galla da un punto di vista finanziario.

Finfer parte proprio dalla sua esperienza presso la startup Emerge Clinical Solutions, che commercializza un software nel settore medico (il cosiddetto EMR): si trattava di un prodotto totalmente nuovo, che aveva necessità di un forte sostegno finanziario e di una buona attività di marketing. Vediamo quali sono le sfide che una startup con un prodotto innovativo, che ha creato un nuovo mercato, ha dovuto affrontare.

1. Sopravvivere al passaggio da “unproven” a “proven”.

Durante le prime fasi di sviluppo, gli investitori originari di Emerge avevano finito i capitali a propria disposizione e si sono rivolti ad investitori esterni. Ma con un’idea “unproven”, non ancora testata, non è facile convincere degli investitori a rischiare i propri capitali per finanziare il progetto: è stato quindi fondamentale prestare la massima attenzione alla gestione finanziaria nelle fasi iniziali, cercando allo stesso tempo di guardare al futuro e di stringere relazioni efficaci con partner strategici.

2. Come si fa a vendere un prodotto che ancora non esiste, e del quale non si sa quali potrebbero essere le caratteristiche e i problemi?

Come accennato, Emerge commercializza cartelle cliniche elettroniche (EMR), ma durante le prime fasi di vita della startup solo il 25% dei medici utilizzavano questa tecnologia: una situazione difficile, che Finfer paragona a quello che poteva essere vendere la tecnologia e-mail prima che esistesse internet. Il mercato era molto limitato, ma Emerge aveva una vision ben precisa, e presto i medici hanno iniziato a comprendere l’utilità e l’efficienza della tecnologia EMR. Il prodotto di Emerge consentiva di migliorare qualcosa che i medici stavano già utilizzando, e questo ha aiutato la diffusione del prodotto.

3. Come si fa a dimostrare che un prodotto è valido, quando non c’è nulla con cui paragonarlo?

Proprio come nel caso di Emerge, è difficile ottenere dei confronti e dei dati specifici riguardanti l’impatto positivo di un prodotto quando non c’è nulla di simile cui paragonarlo: senza statistiche precedenti, è difficile dimostrare che le performance del nostro prodotto sono migliori. Una possibile soluzione è quella di costruire una statistica di dati con i primi clienti, che possono condividere i risultati, i benefici ed i pareri con gli altri potenziali clienti interessati al prodotto. I primi clienti diventano// dei “tester” che partecipano al work in progress della startup e suggeriscono modifiche e miglioramenti.

4. Individuare un valore di mercato equo è essenziale.

Un’altra questione che si pone quando una startup lancia un prodotto innovativo è capire come decidere quanto vale tale prodotto. Se il prodotto è troppo costoso, infatti, diventa molto difficile venderlo e, viceversa, se il prezzo fissato è troppo basso, si corre il rischio di svalutarlo agli occhi dei potenziali clienti. Anche in questo caso, diventa fondamentale trovare dei clienti che facciano da “tester”, che siano disponibili a rischiare acquistando un prodotto che si affaccia per la prima volta sul mercato: anche questa può essere una sfida davvero impegnativa per una startup.

5. Il vostro successo è la nascita di un concorrente prima che il vostro business abbia iniziato a scalare.

Quando la startup ha superato le prime quattro sfide, solitamente si ritrova a dover affrontare un ulteriore problema: nascono i primi concorrenti, che cercano di copiare il prodotto. Ecco che un prodotto di nicchia, improvvisamente, si avvia a diventare mainstream. Spesso saranno proprio le grandi aziende a cercare di capire cosa rende così speciale il vostro prodotto, a provare a duplicarlo e scalarlo più velocemente di voi. Un’azienda pionieristica, secondo Finfer, può sopravvivere a quest’ultima sfida soltanto se riesce a mantenere stretta la propria posizione e la propria nicchia di mercato, lottando per la crescita del proprio business.

Il post originale di Scott Finfer è disponibile a questo link: http://www.entrepreneur.com/article/231570

Napoli, 19/02/2014

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