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Startup Tips: 5 consigli utili per la leadership di CEO ed Executive

Dan Finnigan è CEO e Presidente di Jobvite, ha oltre vent’anni di esperienza come Executive Leader in svariate aziende technology-based e ha lavorato in posizioni dirigenziali per Yahoo: dalla sua esperienza ha estrapolato alcuni consigli utili sulla leadership e le caratteristiche imprescindibili che devono essere possedute da chi ricopre un ruolo executive in azienda, e in particolare nel settore delle aziende e startup innovative e tecnologiche.

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In un post recentemente pubblicato da Inc.com, Finnigan ha raccolto cinque cose che gli executive di successo non fanno mai: alcuni comportamenti, infatti, non si traducono mai in un successo, a prescindere da quante volte li si ripete. Vediamo quali sono:

Non reagire in maniera impulsiva 

Un buon CEO deve saper affrontare i problemi, senza “mettere la testa sotto la sabbia”: quello che non bisogna mai fare, è avere una reazione impulsiva e aggressiva, perché non si vuole vedere o affrontare un problema.

Se, ad esempio, un amministratore delegato vede che uno dei componenti del team non sta facendo un buon lavoro, la strategia giusta è offrire a quest’ultimo l’opportunità per migliorare. Licenziarlo in tronco è una scelta impulsiva e non costruttiva, che può dipendere da una mancata comunicazione efficace tra il CEO e il team.

Un executive di successo, invece, sa osservare le situazioni da diversi punti di vista e capire che non è il caso di agire in maniera avventata, senza prima sforzarsi di analizzare la situazione e le varie opzioni attuabili.

Non dormire sugli allori

La maggior parte delle startup e aziende innovative di successo sono nate da imprenditori “visionari”, che avevano ben chiaro in mente come risolvere un problema specifico. Ma, una volta avviata l’azienda, lanciato il prodotto, soddisfatti i clienti, non bisogna cullarsi nella convinzione che tutto procederà per il meglio senza fare nient’altro.

Un buon leader sa che non è possibile dare per scontato che “il successo genera successo”: il successo deriva dal fornire al mercato prodotti e servizi in grado di risolvere problemi reali. Per proseguire nel percorso di una startup verso il successo, quindi, occorre continuare a cercare input significativi ascoltando i clienti, per impegnarsi nella creazione di nuovi prodotti e servizi che il mercato accoglierà con favore.

Non credere alle tue stesse sciocchezze

Quando si ricopre un ruolo dirigenziale, le persone si rivolgeranno a voi e ascolteranno le vostre parole: basterà alzare un po’ la voce con chi non è d’accordo con voi, per far sì che tutti rispetteranno il vostro punto di vista. Purtroppo, però, questo non è un atteggiamento che fa crescere.

Un CEO, o qualsiasi altro dirigente, deve invece chiedere al team un feedback onesto: occorre chiedere e raccogliere i pareri dell’intera organizzazione, dei clienti, degli amministratori, etc. Si tratta dell’unico modo per capire se la strada che si è scelto di percorrere per dirigere l’attività è quella giusta.

Naturalmente non è semplice sollecitare le persone a criticarci, ma è decisamente un comportamento utile e costruttivo.

Non lasciare fuori i membri del CdA

I membri del CdA spesso delegano agli amministratori delegati tutto il complesso di responsabilità derivanti dalla gestione di un’azienda. Ma un executive non deve pensare di non poterli coinvolgere, o chiedere il loro aiuto: purtroppo, la tendenza è quella di rivolgersi al CdA quando ormai la situazione è difficile da risolvere.

L’autore utilizza come metafora l’immagine del CdA come coloro che guardano “in piedi sulla banchina”, mentre gli executive e il team è in barca a remare: questa situazione non è utile al business, e il CEO deve sforzarsi di costruire un dialogo continuo con i membri del CdA sulle future strategie da implementare.

Non confondere la propria opinione con quella del mercato

Esiste un filo rosso che collega tutti i punti affrontati fino ad ora: i “cattivi comportamenti” elencati da Finnigan sono accomunati dalla tendenza a non chiedere feedback dall’esterno e a credere troppo nella propria visione del mondo. Un buon CEO dovrebbe sapere che, quando si inizia a confondere la propria prospettiva personale con quella del mercato, occorre invertire subito la tendenza.

Basarsi unicamente sul proprio punto di vista personale non dà mai la risposta giusta: bisogna invece andare a vedere cosa pensa la clientela, il mercato, andando fuori dall’azienda per raccogliere feedback e input utili. Si tratta di un’attività impegnativa, che richiede un lavoro lungo e continuo: ma senza cercare il feedback dei clienti non si avranno mai le intuizioni giuste per prendere decisioni strategiche destinate al successo.

Il post originale è disponibile qui: http://www.inc.com/dan-finnigan/the-best-execs-never-do-these-5-things.html

Napoli, 04/08/2015

Startup e aziende consolidate: perché sono diverse e come gestire l’avvio di una nuova impresa

Il portale Inc.com ha appena pubblicato un interessante post firmato da Neil Patel, co-founder della startup Crazy Egg, che approfondisce il tema delle differenze tra startup e aziende tradizionali (in particolare quelle di grandi dimensioni) elencando una serie di pratiche che funzionano bene per le grandi aziende, ma sono dannose se replicate all’interno di una startup.

Spesso, invece, le startup pensano che imitare le pratiche e i comportamenti più diffusi nelle aziende possa essere un modo per crescere e arrivare al successo: in realtà, questo tipo di comportamento è molto dannoso perché la startup è totalmente diversa dalla grande azienda.

Vediamo, quindi, quali sono le pratiche aziendali per le quali una startup non è ancora pronta:

1) Le riunioni sono buchi neri che risucchiano tempo

Una startup, come afferma Patel, non ha tempo da perdere: deve agire, e non parlare su ciò che bisogna fare. All’interno di una startup, le riunioni dovrebbero essere molto diverse da quelle che avvengono nelle grandi aziende.

La riunione del team di una startup dovrebbe avere un obiettivo e un’agenda ben definiti, che occorre impegnarsi a mantenere. Inoltre, gli incontri dovrebbero essere limitati nella durata: 30 minuti possono bastare, a prescindere dall’importanza dei temi in calendario. Un consiglio è quello di tenere le riunioni in piedi, e di farle terminare sempre e comunque con un passaggio all’azione: “aggiornarsi alla prossima riunione” non equivale a passare all’azione.

2) Creare un protocollo inviolabile anche per i dettagli più minuziosi

Creare dei protocolli è sicuramente una buona idea, se servono a snellire le operazioni, eliminare la confusione e migliorare il funzionamento dell’azienda. Ma questo discorso vale per le grandi aziende: le startup non hanno tempo per queste cose.

Una startup è una macchina lean, agile, veloce: l’unica buona regola è quella di rompere le regole. Non è possibile dover seguire un protocollo obbligatorio di numerosi passaggi per qualsiasi tipologia di attività.

Il protocollo è fondamentale più avanti nel tempo, sicuramente non nei primi passi di attività di una startup.

3) Imparare tutto ciò che si può prima di iniziare a fare

Su questo punto, l’autore cita una frase di Richard Branson: se qualcuno ti offre un’opportunità straordinaria di fare qualcosa, ma non sei sicuro di poterlo fare, accetta comunque e poi imparerai come fare!

La ricerca e l’apprendimento sono fondamentali, ma in una startup è altrettanto fondamentale passare all’azione: soprattutto per una nuova azienda che deve essere rapida nello sviluppo.

4) Ritardare tutte le decisioni importanti

In una grande azienda, le decisioni importanti attraversano un percorso lungo fatto di riunioni, e-mail, ripensamenti che si susseguono finchè qualcuno non prende la decisione finale. Sicuramente si tratta di un percorso indispensabile, in un contesto in cui c’è molto in gioco e ci sono tante parti interessate con la propria voce in capitolo.

Una startup, invece, fa progressi soltanto se riesce ad eseguire i piani rapidamente: qualsiasi ritardo nelle decisioni strategiche rischia di bloccare lo sviluppo del business.

5) Tenere dei segreti

Mentre nelle grandi aziende possono esserci molte informazioni “Top Secret”, per una startup il discorso è diverso: come insegna anche l’esempio di Buffer, la trasparenza e la condivisione sono la chiave giusta cui affidare la cultura aziendale (ne abbiamo parlato in questo recente post del nostro blog).

Mantenere delle informazioni riservate e segrete non è utile per una startup, in quanto favorisce un’esclusività sterile, una cultura aziendale stratificata e una concorrenza interna spietata.

6) Affitare un grande e costoso ufficio

Alcune startup affrontano spese molto ingenti per affittare uno spazio costoso in cui stabilire il proprio quartier generale: questo, nella speranza che la posizione geografica possa servire a cementare la reputazione dell’azienda.

Questo non è utile: se una startup non può permettersi un ufficio costoso, non dovrebbe affittarne uno ma concentrarsi su altri aspetti senza sprecare capitali.

7) Provare qualcosa di costoso

E’ sicuramente giusto provare, testare, lanciarsi in una serie di ipotesi ed attività differenti: ma queste scelte devono essere accuratamente selezionate.

Una startup ha sempre pochi capitali da spendere, e deve stare attenta a come li investe: ecco perché i tentativi vanno ben ponderati, assumendosi solo i rischi per cui vale la pena investire e lasciando perdere il resto.

8) Creare etichette “C-Level” per qualsiasi posizione

Le grandi aziende assumono amministratori per qualsiasi attività e gli affidano un’etichette “C-Level”: CEO, CMO, CIO, CFO sono solo alcuni esempi delle posizioni che si possono creare.

In una startup questo tipo di titolo, che assegna ruoli di tipo dirigenziale o comunque va a disegnare un capo, sono assolutamente da evitare: si rischia di danneggiare la cultura aziendale, il team e le prestazioni.

Ciò che conta per una startup è il team, i titoli sono inutili.

In conclusione, Patel afferma ancora una volta che l’ambiente di una startup è completamente antitetico rispetto a quello di una grande azienda: ne consegue che i comportamenti, le attività, le pratiche devono svolgersi in maniera totalmente differente e che le startup devono evitare di seguire l’esempio di aziende consolidate quando sono all’inizio della propria attività.

Il post originale è disponibile qui: http://www.inc.com/neil-patel/8-things-corporations-do-that-your-startup-shouldn-t.html

Napoli, 16/01/2015

Il CFO – Chief Financial Officer: chi è, di cosa si occupa e quando diventa necessario assumerlo in una startup

Jeff Thomson ha recentemente intervistato per Forbes Tridivesh Kidambi, CFO della startup tecnologica CallFire: il tema centrale dell’intervista è capire quando un’azienda necessita di un CFO e cosa significa essere CFO in una startup.

Il CFO (Chief Financial Officer) è il manager responsabile della gestione delle attività finanziarie di un’azienda. Negli ultimi anni la figura del CFO ha assunto un ruolo sempre più rilevante per una startup: il compito centrale del CFO è infatti quello di guidare le decisioni aziendali in maniera efficace, stabilendo su quali opportunità puntare e, di conseguenza, come impiegare il capitale e le risorse per massimizzare le probabilità di successo della startup. Uno dei compiti principali del CFO, quindi, sta nel guidare il focus dell’azienda e della strategia di business.

Interessante è anche la differenza tra il ruolo del CFO in una startup e in un’azienda già consolidata: basandosi sua esperienza, infatti, Kidambi afferma che il ruolo chiave di un CFO all’interno di una startup è quello di costruire l’infrastruttura organizzativa da zero. In un’azienda già consolidata, invece, si presuppone che tale infrastruttura sia già pronta e in grado di fornire le risorse necessarie in termini, ad esempio, di risorse umane, IT, sistemi e processi, etc.
Quando si è CFO di una startup, invece, occorre rimboccarsi le maniche e dare la migliore direzione possibile alla strategia aziendale, in modo tale da rendere il business scalabile e costruire sistemi e processi in grado di supportare la crescita futura.

Riguardo alle competenze necessarie ad un buon CFO per una startup, Kidambi afferma che sono fondamentali la capacità di comunicare in maniera efficace e la logica decisionale. Questo perchè, quando ci si occupa di aspetti finanziari, non basta costruire un modello finanziario integrato o prendere decisioni stratgiche in materia: occorre saper spiegare quali sono le motivazioni alla base di ciascuna decisione, e quali sono le implicazioni per ciascuno degli stakeholders coinvolti. Per guadagnare e mantenere la fiducia dell’organizzazione per cui lavora, infatti, il CFO deve saper essere onesto e trasparente sul come e sul perchè delle decisioni prese, e concentrarsi sull’approccio collaborativo che permetta a tutti gli stakeholders di raggiungere gli obiettivi alla luce del modello finanziario costruito per l’azienda.

Entrando più nello specifico della sua esperienza a CallFire, Kidambi spiega il rapporto con i founder della startup e cerca di aiutare i lettori a capire come individuare il momento giusto per assumere un CFO. Prima di tutto, nel rapporto tra CFO e founder risultano fondamentali la comunicazione e la trasparenza: bisogna sempre essere aperti al confronto con i founder, che conoscono la startup meglio di chiunque altro. Il ruolo del CFO è quindi quello di collaborare allo sviluppo di un progetto cercando di razionalizzare gli aspetti finanziari di un percorso che i founder hanno già in mente.

Riguardo invece al momento giusto per una startup di assumere un CFO, Kidambi afferma che all’inizio le responsabilità inerenti gli aspetti di gestione finanziaria sono condivise tra il team executive e quello finance. Quando, però, la startup inizia a crescere e raggiunge la scalabilità, anche le funzioni relative alla finanza, alla tesoreria, alla contabilità devono essere messe a fuoco in maniera più specifica e precisa. In questo caso diventa importante avere in squadra un CFO, che riesca a gestire gli aspetti finanziari di una startup preoccupandosi del successo futuro dell’azienda.

Il ruolo del CFO è ancora più importante in una situazione economica come quella attuale, caratterizzata da continui e repentini cambiamenti: chi si occupa degli aspetti finanziari dell’azienda deve infatti avere una visione a 360° su tutto ciò che accade nell’organizzazione, occupandosi inoltre di costruire connessioni tra le varie parti di cui l’azienda si compone, offrendo idee e soluzioni creative a sfide che a volte la startup non sa nemmeno di dover affrontare.

A differenza di quanto accadeva in passato, quando gli aspetti finanziari venivano presi in considerazione solo dopo aver preso le decisioni, la gestione finanziaria oggi è vista come parte integrante dell’azienda e del team, che tiene sempre in considerazione il punto di vista finanziario di qualsiasi questione. Il ruolo del CFO non è più quello di dire sì o no ad una decisione già ampiamente discussa, oggi il CFO viene interpellato fin dall’inizio.

Per essere un buon CFO per una startup, Kidambi consiglia di impiegare tempo e buona volontà ad imparare più possibile sul settore di riferimento dell’azienda. Bisogna imparare a capire il punto di vista degli operatori del settore e, solo a questo punto, si può dimostrare loro quanto gli aspetti finanziari possano avere un impatto positivo sulla loro attività. La fiducia e il rispetto dei founder sono assolutamente imprescindibili per il CFO.

Infine, Kidambi dà un consiglio ai giovani che vorrebbero diventare CFO in una startup: dire sempre di sì. Anche se la richiesta è totalmente estranea ai propri compiti, o in generale non rientra negli aspetti strettamente finanziari, potrebbe trasformarsi in un’opportunità per costruire la fiducia con qualcuno all’interno del team, o potrebbe essere la base per creare una connessione significativa. Occorre imparare il business, non fermarsi ai numeri: il contributo di un buon CFO va infatti al di là del bilancio, ma può essere un modo per costruire l’azienda e plasmare il business.

Il post originale è disponibile qui: http://www.forbes.com/sites/jeffthomson/2014/07/15/why-a-startup-cfo-is-like-a-personal-trainer/

Napoli, 15/07/2014

Consigli alle startup: il passaggio fondamentale da founder a CEO

Uno degli ultimi articoli pubblicati da Entrepreuner porta la firma di Darrel Kopke, co-founder dell’acceleratore di impresa canadese InstituteB (caratterizzato da una vision che mette sullo stesso piano il profitto e il valore sociale del business). Tema dell’articolo è il passaggio fondamentale che il founder di una startup deve affrontare: quello che lo porta a diventare CEO della sua impresa.

Spesso infatti, quando una startup raggiunge una fase di stallo nella sua crescita o compie un passo falso, il founder dà la colpa agli altri quando, in realtà, alla base del problema potrebbe esserci proprio lui: Kopke fa l’esempio di una recente esperienza vissuta con una società di software che aveva avuto una crescita esponenziale delle vendite per i suoi primi 5 anni di attività, salvo poi assistere per 2 anni consecutivi ad una fase di stagnazione e infine di calo delle vendite.

In questa società il founder gestisce un team di 80 persone, è oberato di lavoro, ma cerca in tutti i modi di ritrovare lo slancio che aveva caratterizzato i primi anni di vita dell’azienda: ciò che appare evidente a Kopke è che il founder si occupa ancora di lavorare a troppe attività come quelle di marketing, o la correzione degli errori nel codice, e ancora la partecipazione a tutte le fiere e gli eventi di networking del settore. Nonostante abbia un team di senior leadership, interferisce nel loro lavoro e nelle loro scelte.

Dal punto di vista del founder, il motivo alla base della crisi che l’azienda attraversa è la combinazione di un team debole al marketing, un mercato del lavoro competitivo per gli sviluppatori e una serie di mosse intelligenti messe a segno dai concorrenti. In realtà, secondo Kopke, il problema è nel mancato passaggio da founder a CEO.

Kopke sostiene infatti che la crescita e la traction dei primi anni era il risultato dell’intelligenza, la passione, la vision e l’etica del founder e, allo stesso modo, costui dovrebbe assumersi la responsabilità anche della crisi attuale che il business sta attraversando.

Secondo l’autore, il passaggio dalla mentalità da founder a quella da CEO non è una progressione naturale: il founder, che ha costruito fin dagli inizi la propria startup seguendo e controllando tutti gli aspetti del business, ha difficoltà a delegare ad altri il controllo di alcune attività, temendo di perdere il controllo dell’azienda. Ma i founders che non delegano diventano essi stessi un ostacolo alla crescita del proprio business.

Vediamo, quindi, alcuni consigli che Kopke elenca nel suo articolo e che sono utili al passaggio dalla mentalità di founder a quella di CEO:

1) Stabilisci il valore del tuo tempo a 1.000$ a ora.

E’ fondamentale che un CEO dia il massimo valore al proprio tempo. Bisogna sempre domandarsi “Qual è il miglior utilizzo che posso fare del mio tempo in questo momento?”. Ad esempio, non è proficuo lavorare sulle attività che dovrebbe chiudere un copywriter, mentre è necessario impiegare il proprio tempo sulla creazione di entrate e profitti.

2) Non svolgere nessuna attività, ma gestirle tutte.

Occorre cambiare completamente la mentalità: il CEO deve lavorare sulla propria attività, non lavorare nel proprio settore. Un leader efficace è colui che riesce ad allineare il proprio team su risultati specifici e definiti, per poi gestire tali risultati una volta che sono stati raggiunti. Occorre gestire il chi, il cosa e il quando: non il come.

3) Diventare il “Chief Why Officer”.

Vuol dire costruire un contesto della propria leadership, ricordando sempre al team perchè la società sta facendo ciò che sta facendo, qual è il ruolo di ciascuno all’interno dell’azienda, compreso il ruolo del CEO. Si tratta di un passaggio fondamentale per costruire la vision aziendale, per farla comprendere al team: è il modo migliore affinché tutti comprendano i valori aziendali e lavorino secondo tali valori, basando su essi tutti i processi decisionali.

In conclusione, secondo Kopke, i founders che riescono a spostare la propria mentalità su quella da CEO non devono aver timore che la situazione sfugga loro di mano: al contrario, sono proprio i founders che riescono a fare questo passaggio quelli che non perdono contatto con il proprio business, garantendosi la possibilità di guidare la propria azienda verso un futuro prospero e di crescita.

Per leggere l’articolo originale su Entrepreuner: http://www.entrepreneur.com/article/231825

Napoli, 28/02/2014