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VulcanicaMente3 – Verso la finale a SMAU NAPOLI: le nostre startup / 1

MARCHIO VM3 - def

In vista dell’Evento Finale di “VulcanicaMente: dal talento all’impresa 3”, che si svolgerà venerdì 11 dicembre 2015 all’interno di SMAU NAPOLI alla Mostra d’Oltremare, nei nostri post di oggi presentiamo le startup che hanno completato il percorso di accelerazione semestrale al CSI – Incubatore Napoli Est.

Saranno sei i progetti che conosceremo meglio, in vista della pitching session del Gran Finale: si tratta di Brian, Evja, iOsmosi, Listami, Ristogame e TinkiDoo.

BRIAN

brian

Il progetto è stato presentato alle selezioni di #VulcanicaMente3 con il nome provvisorio di Groulies dal team composto da Giorgio Nugnes (architetto e CEO), Daniela Gallo (web designer e CTO), Pasquale Gallo (ingegnere e CFO).

Brian oggi è incentrato sulla tematica dei gruppi di acquisto per PMI: la piattaforma web B2B permette di ottenere prezzi più bassi e risparmiare sulle forniture, aggregando gli ordini delle PMI, combinando le necessità delle singole aziende in un unico ordine. Si tratta, quindi, di applicare alle PMI la pratica consolidata dei gruppi d’acquisto (GDA).

I punti di forza del progetto sono rappresentati dai vantaggi che la piattaforma garantisce alle piccole e medie imprese che parteciperanno ai gruppi d’acquisto:

PREZZO PIU’ BASSO: Brian consente alle PMI di risparmiare, permettendo ad esempio di pagare 100 pezzi al prezzo che avrebbero ottenuto comprandone 10.000;

TAGLIO DELLA FILIERA: la piattaforma B2B consente alle PMI di effettuare i propri acquisti per le forniture direttamente dal produttore, andando a trattare il prezzo alla fonte;

PAGAMENTO AGEVOLATO: sono previste condizioni di pagamento agevolate per le piccole e medie imprese che decideranno di utilizzare Brian per le proprie forniture.

Il target di riferimento di Brian sono tutte le PMI a conduzione familiare, che non hanno nel proprio organico un responsabile acquisti, ordinano attraverso rappresentanti ed utilizzano e-commerce. Riguardo ai settori di riferimento, al momento Brian si concentra particolarmente su: Edilizia, Energia, Elettronica, Benessere e Bellezza, Tessili e Pelletteria, Hotellerie, Food & Beverage, Cancelleria.

Per saperne di più su Brian: http://orderwithbrian.com/

EVJA

EvjaLogo

Il progetto è stato presentato alle selezioni di #VulcanicaMente3 dal team composto da Davide Parisi (co-founder e CEO), Antonio Affinito (co-founder e Hardware Lead) e Luciano Zarulli (co-founder e Software Lead).

Evja realizza sistemi per le smart application e soluzioni per il miglioramento dei processi e della produzione. L’attività della startup si focalizza, inoltre, sulla progettazione di prodotti per il life improving con innovative soluzioni hardware e software nei settori digital e Internet of Things, dal design funzionale ed elegante.

I progetti di Evja si rivolgono sia al segmento business che a quello consumer, con lo scopo di portare la tecnologia in tutti i settori, anche quelli in cui al momento è inaccessibile o poco efficiente.
Ad oggi, il team è impegnato in particolare su due prodotti:

ENVEYE: sistema per il monitoraggio del ciclo di vita delle colture, consente di tenere sotto controllo fattori come la quantità d’acqua impiegata, la temperatura, l’intensità solare, la bagnatura fogliale, l’umidità del terreno e di automatizzare di conseguenza gli approvvigionamenti necessari. Si basa su una piattaforma hardware-software proprietaria, predisposta ad essere connessa ad un’ampia gamma di sensori e personalizzata in base alle esigenze del campo d’applicazione.

SENSO: famiglia di smart device portatili e indossabili, che acquisiscono una miriade di informazioni, quali la qualità dell’aria, le fughe di gas, il consumo energetico e molti altri. Si costituisce di un hardware proprietario (brevetto in corso di registrazione) in grado di comunicare con smartphone e tablet che può essere connesso direttamente ad internet e di un’App con interfaccia di semplice utilizzo, che, oltre a mostrare le informazioni acquisite e di condividerle su social network, permette di impostare soglie d’allarme personalizzate.

Per saperne di più su Evja: http://www.evja.eu/

IOSMOSI

iOsmosiLogo

Il progetto iOsmosi nasce dall’idea della CEO Alessandra Graziosi e consiste in una piattaforma di e-learning che permette scambi linguistici e culturali tra bambini attraverso un software interattivo di videoconferenza.

Il progetto si rivolge a tutti i bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni, grazie alla sua accessibilità che, basandosi su strumentazioni tecnologiche particolarmente semplici e diffuse, offre ai bambini un’opportunità di apprendimento e condivisione esperienziale con video-incontri dal vivo, che possono essere utilizzati a scuola, in casa, in ludoteca, nei parchi, etc.

Con iOsmosi, il team si propone di rivoluzionare la didattica linguistica per bambini attraverso un software interattivo di videoconferenza che propone giochi ed esperienze per la condivisione della lingua e dell’identità culturale tra i bambini di tutto il mondo, e che prevede un’interazione diretta tra bambini nella quale l’intercessione degli adulti (genitori o insegnanti) si riduce al minimo. La piattaforma mette infatti in contatto diretto bambini da ogni parte del mondo, che potranno interagire nella lingua prescelta attraverso un cartone animato particolarmente semplice ed intuitivo.

Altro aspetto fondamentale del progetto iOsmosi è la sua capacità di inclusione: oltre alla diffusione potenzialmente globale della piattaforma, essa si rivolge a tutti i bambini grazie alla collaborazione con professionisti LIS, nella versione “iOsmosi LIS, linguaggio dei segni” e con l’associazione autismo, quali “Not Equal”, nella versione “iOsmosi Equal”: in questo modo, attraverso iOsmosi, tutti i bambini avranno pari opportunità di apprendimento di una lingua straniera, interagendo con un coetaneo madrelingua attraverso uno strumento tecnologico che include due tra le forme di didattica oggi più all’avanguardia: peer education e cross pollination.

Per saperne di più su iOsmosi: http://iosmosi.com/

Napoli, 03/12/2015

Marketing Trends 2016: una guida per startup alle prese con il budget del prossimo anno

Giunti alla fine dell’anno, startup ed aziende iniziano a fare bilanci e previsioni per stabilire le strategie, gli obiettivi ed il budget per l’anno successivo: per quanto riguarda, in particolare, le strategie di marketing, può essere molto utile cercare di comprendere quali saranno i trend del 2016 ed impegnarsi nell’allocare le risorse del budget 2016 di conseguenza.

John All, CEO e co-founder di Influence & Co., ha raccolto quelli che saranno, a suo parere, i sette Marketing Trends che caratterizzeranno l’anno 2016 in un post recentemente pubblicato dal portale INC.COM: essi vanno decisamente oltre le tematiche più gettonate negli anni recenti, come il mobile ed i video, che rappresentano ormai qualcosa di già consolidato in termini di marketing trend per startup ed imprese.

Growth Graph Year 2016 Concept

Vediamo quindi, in maggior dettaglio, quali sono i sette Marketing Trends da considerare, nella definizione del budget per il 2016:

1) Writing Skills

La crescente importanza dei contenuti per il marketing delle startup farà sì che le skills e le pregresse esperienze lavorative nel campo della scrittura assumano un ruolo sempre più centrale nelle strategie di startup e imprese. In particolare, All afferma che la capacità di creare contenuti di qualità sarà alla base della nuova SEO. Di conseguenza, le startup devono incoraggiare il team a rafforzare le proprie Writing Skills, o pensare alla possibilità di assumere qualcuno che sia esperto in Content Creation.

2) Content Marketing

Nell’immaginario comune, il marketing è visto come un reparto a sè stante, che funziona esclusivamente ai fini della promozione dell’azienda all’esterno. Ma, anche se questa è una delle principali funzioni del marketing, non bisogna cadere nell’inganno che sia l’unica: le attività di Content Marketing diventeranno, nell’imminente futuro, sempre più importanti per tutte le funzioni aziendali. Ad esempio, quando si pubblica un contenuto sul blog/sito/profilo social aziendale, o quando si crea una conversazione con i clienti, tutta l’azienda deve essere informata a riguardo: questo perchè chi si occupa del prodotto possa lavorare al suo miglioramento basandosi sui feedback, chi si occupa delle vendite possa essere in grado di fronteggiare eventuali obiezioni o rispondere alle domande più comuni, il team di HR possa formare le nuove risorse.

3) Personalizzazione

L’autore prende spunto da uno speech dell’esperto di marketing Rohit Bhargava, il quale ha parlato di recente della crescente importanza assunta dalla personalizzazione nel Digital Marketing: esempio lampante di questo trend è rappresentato dalla strategia di Disney, incentrata sul far sentire il cliente un VIP. Disney, infatti, offre ai visitatori dei propri parchi una Disney MagicBand personalizzata, sulla quale costruire l’intera esperienza di vacanza in base alle proprie esigenza.
Un tipo di strategia che le startup possono utilizzare in questo campo è quella di evitare messaggistica generalizzata, personalizzando al massimo i messaggi e le e-mail facendo sentire speciale ogni singolo cliente.

4) Posizionamento ed Authority

Startup ed aziende di successo devono lavorare al proprio posizionamento di mercato costruendo una vera e propria Authority: occorre riuscire a farsi percepire come leader di pensiero, costruire una forte credibilità del brand, per creare una curva crescente di fiducia da parte della clientela.
Il posizionamento sarà una chiave di successo sempre più fondamentale, che passa dalla capacità della startup di imporsi come team unico e competente, in grado di trasmettere messaggi e contenuti di valore, dai quali traspare la propria leadership di pensiero nel settore di riferimento.

5) Creazione di valore

Le startup, ed in generale tutte le aziende, devono iniziare quanto prima a porsi in una nuova ottica: smettere subito di concentrarsi esclusivamente sulle vendite, e focalizzarsi sulla creazione di valore aggiunto per il cliente. Il valore si crea attraverso contenuti ed esperienze di qualità, rendendo ancora una volta l’attività di Content Creation uno dei capisaldi da tenere in considerazione per il budget dei prossimi mesi.

6) SEO e Leadership di pensiero

La tradizionale attività di SEO, basata sul link building e sull’ottimizzazione delle keywords, sono sicuramente un buon metodo per garantirsi un posizionamento efficace su Google. Tuttavia, i continui aggiornamenti dell’algoritmo di Google hanno creato una situazione nuova, nella quale ad essere premiati sono sempre di più i contenuti di valore e qualità.
Ecco perché, tra le priorità del marketing per il 2016, ritroviamo ancora una volta la capacità di offrire ai clienti e al target di riferimento dei contenuti che si differenziano dalla massa.

7) Non esiste il Full Service

Non è possibile costruire la fiducia e la credibilità di una startup affermando di essere “i migliori in tutto”: il full-service è impossibile da realizzare, ci saranno sempre degli aspetti in cui è possibile migliorare.
Il mercato va sempre di più verso la specializzazione, e il servizio completo diventa sempre meno plausibile: il trend dei prossimi mesi sarà, al contrario, quello della concentrazione degli sforzi su singoli aspetti del prodotto/servizio offerto.
La chiave del successo per una startup, di conseguenza, è quella di scoprire in cosa si è veramente bravi, capire come risolvere un problema/bisogno specifico del cliente e lavorare con il massimo impegno per diventare il migliore in assoluto in quello specifico aspetto: questo tipo di impegno garantirà alla startup la possibilità di distinguersi dalla concorrenza.

Questi sono, in definitiva, i sette trend che All si aspetta per il marketing 2016: il consiglio finale dell’autore è quello di prendersi, in queste ultime settimane dell’anno, un tempo ragionevole per rifletterci su e pianificare il budget del prossimo anno.

Il post originale è disponibile qui: http://www.inc.com/john-hall/7-marketing-trends-you-need-to-know-for-2016.html

Napoli, 26/11/2015

Sei utili consigli di business dal CEO di una startup di successo planetario: il talk di Sean Rad (Tinder) al Web Summit

Nel corso dell’ultimo Web Summit, che si è svolto dal 3 al 5 novembre 2015 a Dublino, il CEO e co-founder di Tinder Sean Rad ha tenuto un interessante talk sulla sua esperienza nell’azienda che rappresenta oggi il player più importante a livello mondiale nel settore del dating on-line: nel corso del suo intervento, spiega l’attuale situazione di Tinder, gli obiettivi per il futuro e, soprattutto, come è riuscito a raggiungere con la sua startup il grande successo di cui gode attualmente.

ceo tinder

Sean Rad sta attualmente vivendo il grande sogno di ogni startupper: Tinder registra al momento oltre 1.500.000 appuntamenti a settimana, di cui oltre un milione rappresentano appuntamenti di nuovi iscritti. Tinder è presente in 194 Paesi nel mondo, con un Business Model che prevede una versione free per tutti gli iscritti con la possibilità di scaricare la versione a pagamento dell’applicazione per gli utenti che desiderano usufruire dei servizi aggiuntivi (la stragrande maggioranza delle revenue di Tinder, spiega Rad, deriva proprio dall’app a pagamento).
Tinder si conferma ogni giorno come una startup di enorme successo, che nel giro di tre anni è riuscita a crescere come nessun’altra piattaforma era riuscita a fare prima.

Ma come hanno fatto Sean Rad ed i suoi soci (Justin Mateen e Jonathan Badeen) a raggiungere questi livelli?

Nel corso del suo talk al Web Summit, Rad ha condiviso con i presenti alcuni spunti e consigli per portare al successo la propria startup: vediamo quali sono.

1) Ama quello che fai, e crea un team fantastico!

Fin dall’inizio del suo discorso, ciò che traspare dalle parole di Sean Rad è la grande passione per il lavoro che svolge: “E’ bellissimo. Siamo orgogliosi di ciò che facciamo. Ci piace molto”.

Circa un anno fa, Rad è stato sostituito nel ruolo di CEO da Christopher Payne, ex dirigente di eBay, Amazon e Microsoft: ma la guida del nuovo CEO non ha portato buoni frutti e gli altri membri del CdA di Tinder hanno restituito a Rad la sua posizione da CEO.

Nonostante fosse stato rimosso dal ruolo di CEO, Rad ha sempre continuato a lavorare con impegno e a sostenere e consigliare il nuovo CEO nel suo lavoro e nelle scelte strategiche. Tuttavia, come dicevamo, l’esperienza di Payne come CEO di Tinder non è stata particolarmente brillante.

Rad afferma che ci sono un sacco di motivi per cui la scelta di dare a Payne il ruolo di CEO non ha funzionato, ma in ogni caso a lui non importa quale ruolo e quali attività doveva svolgere in azienda: l’importante è continuare a lavorare con il team e fare ciò che serve alla startup, “anche lavare i pavimenti, se necessario”.

Ma in che modo Rad si approccia al suo lavoro di CEO ogni giorno? La sua risposta è interamente centrata sull’apprendimento continuo: si approccia al lavoro come se ogni giorno stesse imparando qualcosa di nuovo. E come a fine giornata sia fondamentale che tutto il team senta di aver imparato qualcosa.

E’ questo tipo di approccio, secondo Rad, che identifica un grande team per una startup: occorre riunire in squadra persone appassionate e pronte ad imparare qualcosa di nuovo ogni giorno.

2) Raccogliere dati e massimizzarne l’utilizzo

Quando una startup riesce ad avere accesso ad un grande quantitativo di dati sarebbe negligente a non utilizzarli per il bene dell’azienda: i dati vanno raccolti nel maggior numero e con la maggior attenzione ed accuratezza possibili, per poi utilizzarli per lo sviluppo del prodotto.

Tinder, ad esempio, ha potuto disporre di una grande moltitudine di dati raccolti sulla “single culture”: di recente hanno condotto un sondaggio su 300.000 utenti, da cui è risultato che oltre l’80% degli utenti di Tinder utilizzavano l’app per cercare una relazione stabile e duratura, e solo il restante 20% era interessato a brevi amicizie.

Ancora, racconta Rad, grazie alle ricerche, alla raccolta e all’utilizzo accurato dei dati Tinder è in procinto di rilasciare un “grande cambiamento” del suo algoritmo, in grado di aumentare il numero di corrispondenze del 30% e, di conseguenza, migliorare l’esperienza dell’utente sulla base dei suoi bisogni.

Lo scopo della raccolta dei dati deve essere, per una startup, quello di utilizzarli nella maniera più efficace allo scopo di migliorare il prodotto e la user experience.

3) Accetta allo stesso modo le buone e cattive recensioni della stampa

Rad si ispira ad un verso di Ruyard Kipling, secondo il quale nella vita si attraversano sia trionfi che disastri, ed entrambi vanno accettati e trattati allo stesso modo: è proprio ispirandosi a questo concetto che Rad si approccia alla “cattiva stampa”. Anche perché è convinto che la stampa sia predisposta a focalizzarsi sempre su ciò che è controverso.

Secondo Rad, la stampa si concentra raramente sui fatti e la sostanza, ed ha la tendenza a cercare le prove a conferma di ciò che sono convinti di voler dimostrare: il team di Tinder cerca quindi di stare il più possibile vicino al proprio audience di riferimento, e ad oggi questo atteggiamento li porta ad avere un feedback positivo dai propri utenti. Questa è l’unica cosa su cui si concentrano Rad ed il suo team, ferma restando l’apertura ad accogliere tutti i punti di vista.

In sostanza, afferma Rad, quando una startup ha impatto sulla società e sulla cultura sarà sempre esposta alle critiche: la cosa migliore è semplicemente accoglierle, esattamente come i pareri positivi.

4) Non fermarsi mai: innovare continuamente e costantemente

Nei prossimi sei mesi, Tinder si aspetta di vedere la propria dating app muoversi più velocemente ed aggressivamente che mai. L’applicazione è stata già aggiornata con nuove funzionalità di recente, maggiormente vicine alle esigenze dei clienti.

Il team di Tinder è sempre e costantemente alla ricerca di nuove modalità per migliorare l’esperienza dell’utente, ed è proprio per questo motivo che è stato modificato l’algoritmo (come accennato, la nuova versione sarà rilasciata a breve).

In sostanza, Rad è convinto che c’è sempre da lavorare per innovare il prodotto.

5) Focus sulle risorse a disposizione

Rad è molto attento a non farsi distrarre dai feedback e suggerimenti che arrivano ogni giorno dall’ampia ed impegnativa base di utenti di Tinder: si tratta infatti di una fonte inesauribile e costante di suggerimenti per nuove funzionalità da implementare.

La parte più difficile è riuscire a stabilire le giuste priorità: occorre infatti lavorare molto per diventare bravi nel bilanciamento di priorità e risorse a disposizione. Di fronte a tanti utenti, la soluzione più semplice ed efficace è quella di riuscire a trovare ciò che avrà impatto sul maggior numero di utenti possibile.

Per Rad e per l’intero team di Tinder, la mission è semplice, chiara e ben definita: “Fin dal primo giorno, il nostro obiettivo è stato quello di scoprire ogni singola relazione possibile”.

Allo stesso modo, la più grande frustrazione è quella di non riuscire a trovare il matching giusto per l’utente. La difficoltà di Tinder è intrinseca al mondo cui si rivolge: le relazioni sono la parte più importante e più difficile nella vita delle persone, e vanno trattate con rispetto ed attenzione.

6) Competere con se stessi, non con i rivali

Come è accaduto per Uber, Facebook, Airbnb ed altre startup di successo planetario, Tinder è diventato il nome utilizzato da migliaia di startup al mondo per descrivere in termini semplici ciò che cercano di fare con il proprio business.

Naturalmente, tra queste startup ci sono quelli che potrebbero rappresentare dei potenziali concorrenti: come si pongono Rad ed il team di Tinder di fronte a tutto questo?

Da quando Tinder ha iniziato a scalare, si trova in una posizione decisamente confortevole: tuttavia, per un imprenditore è fondamentale essere abbastanza realistico da avere ben chiaro quale potrebbe essere “the next big thing” nascosta dietro l’angolo.

Allora qual è l’approccio di Tinder a questo aspetto del business? Semplicemente, afferma Rad, “Siamo in competizione con noi stessi. Tutti cercano di diventare il prossimo Tinder” ma loro non si preoccupano troppo della concorrenza. Sono lusingati di questo successo, stanno attenti ad osservare con attenzione il mercato e le altre applicazioni che vengono rilasciate ogni giorno, ma si impegnano costantemente e quotidianamente allo scopo di migliorarsi.

Quando si ha un successo planetario, non bisogna fermarsi ed adagiarsi: il lavoro di ogni giorno è finalizzato a migliorare continuamente se stessi.

E infine, cosa c’è in serbo per il 2016? Recruiting è la parola chiave con cui Rad conclude il suo talk al Web Summit. Tinder ha bisogno di trovare le persone giuste per arrivare dove si è prefissata, e questa è una delle attività più difficili per una startup che sta scalando.

FONTE: http://startups.co.uk/6-business-insights-from-tinder-ceo-sean-rads-web-summit-talk/

Napoli, 19/11/2015

Startup e tipi di personalità: quali sono i più adatti a lavorare nel team di una nuova impresa?

Martin Zwilling (CEO e founder di Startup Professionals) lavora da molti anni come consulente di startup, oltre ad essere egli stesso nel CdA di svariate imprese innovative. Di recente ha pubblicato un post nel suo blog intitolato “5 Personality Types That Thrive In New Businesses”, nel quale delinea, sulla base della sua esperienza, quelle che a suo avviso sono i cinque tipi di personalità più adatti a far funzionare una startup.

Il punto di partenza è capire quali sono le motivazioni e le aspettative di un aspirante imprenditore: sicuramente quelle di lavorare part-time, arricchirsi rapidamente, o non avere nessuno che ci dica cosa fare non sono quelle giuste. Ciò nonostante, racconta Zwilling, gli startupper mossi da aspettative e motivazioni di questo tipo sono numerosi e non sono destinati ad avere successo.

personality

Il successo di una startup arriva infatti con il duro lavoro quotidiano, ed in particolare si presentano sicuramente più adatti alla vita da startupper personalità come quelle delineate nel seguente elenco:

1. Persone a cui piace essere padroni del proprio destino e fare le cose autonomamente

Si tratta di essere una persona orientata all’azione, in grado di gestire una serie di scadenze ravvicinate, che ha obiettivi ambiziosi e a cui piacciono le sfide derivanti dalla leadership. Anche in ambienti tipicamente caotici come quelli di una startup, questo tipo di personalità riesce a svolgere il lavoro richiesto nei tempi prestabiliti e con risultati di alto livello. Queste persone vengono viste dagli altri membri del team come energiche e determinate.

2. Persone spinte da una causa o che hanno l’obiettivo di cambiare il mondo

Che sia per la creazione di nuovi prodotti o per l’implementazione di nuovi servizi alle persone, chi ha una personalità di questo tipo non ha paura di dire la sua su temi rilevanti e sulle sfide a livello globale. Le personalità di questa tipologia sono propense a coltivare amicizie leali, alla crescita personale, a prosperare in ambienti con team molto forti: secondo la loro visione, il successo si misura dalla capacità di fare la differenza nel mondo che ci circonda.

3. Persone emotivamente in sintonia con gli altri che vogliono aiutare la gente

Si tratta dei cosiddetti “caregiver”, coloro che sono in grado di comprendere i problemi degli altri e sono determinati a fornire soluzioni che renderanno la loro vita migliore. Il loro amore per ciò che fanno li porta a divertirsi sul lavoro, e mettono il bilanciamento tra lavoro e famiglia tra le priorità. Le persone vedono in questa tipologia di personalità la più adatta al contatto con i clienti, o a fare da “collante” in team difficili ed esigenti.

4. Persone competitive che abbiano la spinta giusta per vincere sul mercato

Questo tipo di personalità è definito dall’autore “reward-driven”, ossia orientato alla ricompensa. Si tratta delle persone che vogliono guadagnare soldi, clienti, consensi ed ammirazione: una personalità molto determinata, che può aiutare a realizzare grandi cose in una startup all’inizio della sua esistenza. Queste persone sono decisamente orientate all’azione, ma necessitano di riconoscimenti ed incentivi per dare il meglio.

5. Persone alle quali basta che c’è un modo migliore o una soluzione al problema

Si tratta dei pensatori, di coloro a cui piace imparare, usare l’inventiva, godersi la sensazione che dà l’adrenalina di tanto in tanto. Personalità di questo tipo soffrono la frustrazione dei legami della burocrazia, non accettano che le cose debbano rimanere come sono semplicemente perchè sono sempre state fatte nello stesso modo. Per i membri del team, le personalità di questo tipo sono la linfa vitale che porta l’innovazione all’interno della startup.

A queste cinque tipologie di personalità, tratte dal libro “What Motivates Me: Put Your Passions to Work” di Adrian Gostick e Chester Elton, Martin Zwilling nel suo post affianca un ulteriore elenco che raccoglie i cinque livelli di motivazione che hanno impatto nel successo di una startup. Vediamo quali sono:

Livello A – E’ il caso in cui la motivazione primaria è quella di essere in grado di fare la differenza nel mondo, mentre la motivazione secondaria è guadagnarsi da vivere. Queste persone definiscono il proprio ruolo sulla base delle esigenze dei clienti o dei colleghi, mai sulle proprie.

Livello B – Qui la motivazione primaria che spinge la persona è offrire un ritorno consistente agli stakeholders: lo scopo è fornire buoni prodotti o servizi, l’idea di fare la differenza qui passa in secondo piano.

Livello C – La principale motivazione, a questo livello, non è soltanto il denaro: è l’amore per il denaro. Gli imprenditori che hanno questo livello di motivazione cercheranno il costo e la qualità minimi che gli garantiscano di essere più competitivi. In casi del genere, la pubblicità, i prezzi e le attività di supporto possono essere trattate con integrità discutibile.

Livello D – A questo livello l’avidità prende il sopravvento e diventa la motivazione principale. Sono tollerati anche gli atti non propriamente etici, e i clienti possono subire trattamenti ingiusti o addirittura essere danneggiati. Spesso si tratta di grandi aziende che cessano la propria attività in periodi di crisi finanziaria.

Livello F – Il livello più basso è quello delle attività illegali, come ad esempio le truffe su internet. Gli imprenditori a questo livello danneggiano se stessi, i loro dipendenti e clienti, la società in generale.

Sul lungo termine, gli startupper ed imprenditori del livello A sono quelli più felici, più produttivi e più di successo: Zwilling riconosce che a volte anche quelli di livello C e D sembrano aver successo all’inizio, ma si tratta di una prosperità effimera e fugace.

Il consiglio finale? Prima di avventurarsi in un progetto di startup, bisogna assicurarsi che la propria motivazione ad essere imprenditori sia più di un sogno, che sarà messo alla prova del tempo per la startup e per tutti coloro che vi gravitano attorno.

Il post originale è disponibile qui: http://blog.startupprofessionals.com/2015/11/5-personality-types-that-thrive-in-new.html

Napoli, 17/11/2015

Vita da Startup: imparare dagli errori per continuare a crescere

Quando si crea una startup, ci saranno sempre degli errori: questa è una realtà imprescindibile, punto di partenza di Ambareen Musa (founder e CEO di Souqalmal.com) in un suo recente articolo pubblicato dal portale Entrepreneur da cui prende spunto il nostro post di oggi. Ma se gli errori sono inevitabili nelle prime fasi di sviluppo e crescita di una startup, la cosa migliore da fare è capire fin da subito in che modo possiamo ricavare una lezione da tali errori, cosa possiamo imparare una volta che li abbiamo commessi.

Non si tratta di una cosa semplice, né tantomeno scontata: a nessuno piace ammettere di aver sbagliato, ed è davvero difficile riuscire ad accettare e mettere a fuoco il fatto che avremmo potuto fare le cose in maniera differente: ma uno startupper deve riuscire sempre ad imparare dagli errori commessi. Nel suo post, Ambareen Musa racconta alcuni errori fatti nel suo cammino per il lancio di Souqalmal.com, sito finanziario ed aggregatore di prodotti bancari focalizzato sul Medio Oriente.

Vediamo nel dettaglio quali sono i suoi errori da startup, e le lezioni che ha imparato per ciascuno di essi:

1. Non assumere abbastanza presto

Ambareen racconta che all’inizio il team di Souqalmal.com era decisamente piccolo: ha iniziato ad assumere altre persone solamente dopo il secondo round di investimento. Sicuramente bisogna assicurarsi di avere i fondi per allargare il team, ma allo stesso tempo è vero che assumere presto significa accelerare il percorso di crescita della startup.

L’autrice pone inoltre l’accento su un aspetto comune a molte aziende all’inizio del percorso: la difficoltà a fidarsi di persone provenienti dall’esterno, che non siano membri del team fin dall’inizio: anche in questo caso, bisogna che i founder capiscano prima possibile che fare tutto da soli non è possibile e a volte diventa controproducente.

2. Non licenziare abbastanza presto

Una volta che il team ha raggiunto le dimensioni e la composizione ottimale, è fondamentale che all’interno della startup si mantengano una cultura ed un ambiente positivi, ottimisti, motivanti. Avere la persona sbagliata all’interno del team può rovinare questi aspetti, che sono invece fondamentali per il business. Anzi, sono probabilmente la più grande risorsa che una startup ha a disposizione!

Tuttavia, riconosce Ambareen Musa, quando ci si rende conto che le cose non funzionano con un dipendente può essere molto difficile procedere al licenziamento: si inizia a pensare a come sostituire le sue competenze, a chi prenderà il suo posto, ai rapporti che ha costruito. Per esperienza, però, l’autrice afferma che c’è sempre un modo per risolvere la questione e, soprattutto, che una volta allontanata la “persona sbagliata” l’ambiente della startup si trasforma rapidamente e ci si ritrova a pensare “Avrei dovuto farlo prima!”

3. Crescere senza un co-founder

Essere un imprenditore, a volte, può significare essere soli: spesso ci si ritrova a discutere i pro e i contro di una situazione nella propria testa, in quanto si cerca di evitare di coinvolgere nei propri dubbi gli altri membri del team che hanno già il proprio lavoro da fare. Avere un co-founder permette di vedere le cose da una prospettiva differente, di avere qualcuno pronto ad offrire sostegno in caso di difficoltà, di costruire un team migliore (in quanto si è in due a cercare le persone da coinvolgere).

Costruire una startup da zero è un viaggio difficile da intraprendere ed affrontare, ed è decisamente meglio avere qualcuno con cui condividerlo: essere in due permette di prendersi una pausa di tanto in tanto e tornare al lavoro con la mente fresca, senza il problema di non aver nessuno che si prenda cura degli affari mentre si è lontani.

4. Non ascoltare il proprio istinto

Questo potrebbe sembrare un aspetto secondario, ma l’esperienza dell’autrice conferma che, quando l’istinto dice di no, sarebbe meglio ascoltarlo. Il founder di una startup dovrebbe sempre ricordarsi che è egli stesso, probabilmente, la persona con la miglior comprensione in assoluto del business, dei clienti, del mercato e di tutto ciò che ruota attorno alla startup.

Spesso prendere decisioni contrarie all’istinto significa perdere risorse in termini di tempo e denaro: in particolare, Ambareen Musa si riferisce alle decisioni riguardanti le partnership da implementare. Un founder dovrebbe fidarsi del suo istinto, quando si tratta di “far salire qualcuno a bordo”.

5. Sottovalutare i tempi ed il processo di funding

Il funding rappresenta una delle attività principali per una startup: è ciò che consente di pagare gli stipendi e coprire le spese, mentre si lavora per costruire un’azienda che in futuro sarà incredibilmente redditizia.
All’inizio della sua esperienza di startupper, l’autrice non conosceva molto bene il processo, le tempistiche ed i meccanismi del funding. Tra pitch e due diligence la raccolta di fondi ha richiesto molto più tempo di quanto lei avesse immaginato.

Uno startupper deve invece avere ben chiari i tempi e le modalità del processo di funding, che può essere influenzato da una molteplicità di fattori: la due diligence, il periodo dell’anno in cui ci si trova, il numero di investitori con cui si sta contrattando, etc.

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In conclusione, la vita di Ambareen Musa negli ultimi tre anni (dal lancio di Souqalmal.com ad oggi) è stata un’incredibile giostra: ci sono stati alti e bassi, una serie di errori più e meno grandi, un sacco di cose che oggi l’autrice farebbe diversamente. Ma ciò nonostante, ha imparato un sacco di cose dalle esperienze e dagli errori commessi e rifarebbe tutto da capo.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/251437

Napoli, 06/11/2015

The Startup Framework: sei passi per convalidare il prodotto senza investire capitale

Mitchell Harper è CEO di Capital H Labs, startup studio che si occupa di prodotti e strumenti utili alle nuove aziende nel loro percorso di crescita, ed è co-founder di Bigcommerce, startup fondata nel 2009 che conta oggi oltre 100.000 clienti e 500 dipendenti. Sul portale Medium ha recentemente pubblicato i suoi consigli per le startup, con particolare riferimento ad un framework in 6 fasi da utilizzare allo scopo di convalidare l’idea prima di iniziare ad investire denaro nel progetto.

Secondo Harper, sono essenzialmente due le attività da svolgere in una startup prima di lanciare il prodotto:

1) validare il bisogno del prodotto,
2) creare un prodotto che risponda al bisogno riscontrato.

La validazione del prodotto è essenziale per una startup: senza un’adeguata validazione del prodotto rispetto al mercato di riferimento, infatti, si rischia di ritrovarsi tra le mani un prodotto per il quale nessuno sarà disposto a pagare. Ciò significa bruciare un sacco di risorse in termini di tempo, lavoro e denaro, per non parlare degli strascichi che il team porta addosso dopo un fallimento.

Ecco perchè il team di Harper ha realizzato un vero e proprio framework, un canovaccio di attività da seguire ed implementare prima di investire anche un solo euro in una startup: vediamo quali sono le fasi che lo compongono.

FASE 1 – Identificare il problema, non la soluzione

Lo scopo è quello di riuscire a spiegare in maniera chiara ed articolata un problema che si verifica regolarmente per voi e/o per gli altri. Attenzione: in questa fase occorre concentrarsi esclusivamente sul problema, la soluzione sarà in un secondo momento.
Bisogna riuscire a descrivere il problema in una frase, più semplice possibile, ad esempio:

– Non è possibile continuare a mantenere un contatto con la clientela una volta che lasciano il ristorante;
– La progettazione grafica di qualità professionale per i social media è troppo difficile.

In conclusione, si avrà l’idea solo quando si sarà in grado di articolare il problema in una frase unica, semplice ed efficace.

FASE 2 – Determinare se si tratta o meno di un problema di primo livello

Identificare i problemi è piuttosto semplice, ce ne sono ovunque: ciò che davvero una startup deve riuscire a fare è identificare un problema “di primo livello”. Per problema di primo livello si intende che quello che si sta cercando di risolvere rappresenta uno dei tre problemi più importanti che i potenziali clienti stanno vivendo.

Prendiamo, ad esempio, il caso in cui il nostro cliente target sia il CEO di una piccola impresa. I primi cinque problemi del target di riferimento potrebbero essere i seguenti:

1. Generare più vendite
2. Far funzionare in maniera efficiente il marketing (assumere un responsabile marketing)
3. Esternalizzare (outsurcing) il payroll ed i benefit
4. Migliorare la product selection
5. Avviare una campagna social efficiente, investendo in Facebook Ads

Se la nostra startup sta cercando di lanciare sul mercato un social media tool, è evidente che il CEO di una piccola impresa non dovrebbe essere il suo target di riferimento: il problema dei social media, infatti, non è tra i primi tre della sua lista, bensì si trova al quinto posto. I CEO di una piccola impresa saranno, quindi, troppo impegnati a risolvere i primi tre problemi per interessarsi sufficientemente al prodotto della startup in questione.

Questo ragionamento è spesso difficile da accettare per i founder di una startup, che sono convinti di avere il miglior prodotto possibile da offrire: la verità è che bisogna identificare il proprio target in maniera più efficace, costruendo un vero e proprio profilo/base di chi è interessato ad acquistare il prodotto. Ad esempio, identificando le dimensioni dell’azienda, il ruolo, la localizzazione ed il settore di riferimento.

Una volta costruito il profilo-base del potenziale cliente target, è utile costruire una lista di almeno 20 persone che soddisfano i requisiti (ad esempio, basandosi sui profili LinkedIn). A questo punto, occorre inviare un messaggio ad ognuno dei nomi presenti nella lista per proporre una breve chiamata conoscitiva, allo scopo di effettuare una ricerca di mercato.

Quando si scrive il messaggio occorre tenere ben presenti alcuni brevi ed efficaci consigli offerti da Harper: essere brevi e andare dritti al punto, specificare il giorno e l’ora in cui si vuole effettuare la chiamata, costruire una lista di almeno 3 volte il numero di persone che si desidera effettivamente intervistare.

Una volta giunti a questo punto, si avrà a disposizione una lista di potenziali clienti che realmente vivono il problema identificato: si può dunque procedere con le interviste, che dovranno essere costruite in modo tale da convalidare alcuni elementi.

Al termine delle interviste dovranno essere ben chiari i seguenti punti:

1. Il modo in cui si sperimenta il problema
2. Quanto è effettivamente sentito il problema (è un problema di livello 1?)
3. Come cercano di risolvere il problema attualmente
4. Sarebbero disposti a pagare per una soluzione?

FASE 3 – Identificare correttamente le soluzioni attualmente esistenti

Tra le informazioni di cui si dispone dopo aver effettuato le interviste, ci sarà un’idea ben chiara del modo in cui attualmente è possibile risolvere il problema. Ad esempio, gli intervistati potrebbero nominare specifici prodotti o aziende a cui fanno riferimento. A tal proposito, l’autore mette in guardia da un possibile e diffuso errore in fase di intervista: non bisogna chiedere nello specifico “quale prodotto utilizza al momento per affrontare il problema?”, ma mantenersi su un generico “in che modo affronta il problema attualmente?”.

Solitamente, una startup cercherà di risolvere un problema che già altre aziende provano a risolvere: ciò può accadere in un mercato abbastanza grande, con un problema di livello 1 che almeno un concorrente attualmente risolve in maniera efficace (ciò può significare che esiste traction, che ha raccolto fondi, che è in attività da alcuni anni, che è in fase di crescita, etc).

Se non esiste nessuno che sta cercano di risolvere quello specifico problema, invece, bisogna fare attenzione: nella maggior parte dei casi significa che non esiste un mercato di riferimento, o che non è abbastanza grande da giustificare un investimento.

FASE 4 – Cercare i difetti delle soluzioni esistenti

Che ci siano o meno dei prodotti che attualmente risolvano in qualche modo il problema, lo step successivo consiste nel capire quali sono i difetti dell’attuale processo di soluzione del problema.

Se c’è già un prodotto concorrente, lo scopo deve essere quello di capire in che modo la nostra startup può riuscire ad offrire qualcosa di diverso e maggiormente efficace: non basta una semplice differenza, occorre che sia una differenza che rende la nostra soluzione migliore di quella dei concorrenti.

Se non c’è un prodotto concorrente vero e proprio, ma un processo composto da una serie di prodotti, servizi, modalità che gli intervistati utilizzano, è utile capire bene di cosa si tratta per capire quali siano i difetti di questo processo (tempi, complessità, costi, frustrazione).

Lo scopo finale della fase 4 è quello di riuscire ad articolare chiaramente in che modo la nostra soluzione è migliore rispetto agli attuali prodotti/processi utilizzati.

FASE 5 – Verificare se esiste un budget per la soluzione

Se esistono già dei prodotti concorrenti, è possibile osservare e studiare i loro dati in termini di traction: stanno crescendo rapidamente? Hanno un sufficiente volume di clienti? Hanno chiuso con successo operazioni di fund raising? Stanno assumendo personale?

Se ci sono dei segnali di crescita per i concorrenti, significa che questi ultimi hanno un buon prodotto, che sta generando entrate e per cui ci sono dei clienti disposti a pagare. Il che significa che qualcuno ha un budget assegnato per prodotti di questo tipo.

A questo punto può essere utile effettuare alcune interviste di follow-up (possono bastarne 10) per chiedere un parere sul prezzo che sarebbero disposti a pagare per una soluzione al problema che hanno dichiarato di vivere. Questa seconda tornata di chiamate potrebbe essere strutturata nel modo seguente:

ricapitolare il problema,
spiegare la nostra soluzione, focalizzandosi sul perché è migliore di quelle attuali,
chiedere quanto sarebbero orientativamente disposti a pagare per la nostra soluzione.

FASE 6 – Utilizzare le informazioni ottenute per stabilire una roadmap

Una volta identificato il problema, la soluzione, il potenziale mercato di riferimento, la concorrenza, il vantaggio competitivo e il prezzo è possibile prendere una decisione definitiva: avviare o meno una startup?

Se si decide di avviare una nuova impresa, è possibile compiere i successivi passi come la pianificazione del prodotto e la costruzione del MVP. Ma, nella definizione della sua roadmap con tutte le attività e gli obiettivi, la startup prenderà il via con il vantaggio essere riusciti a validare il prodotto senza aver investito capitale, grazie al framework proposto da Harper.

Per leggere il post originale: https://medium.com/swlh/the-startup-framework-to-validate-your-idea-before-you-spend-1-5c475a3bbd6f

Napoli, 09/10/2015

Startup e grandi aziende a confronto: puntando a soddisfare il cliente, Davide riesce a vincere contro Golia

Darren Guarnaccia è Chief Strategy Officer per Sitecore, azienda leader globale nel settore del Customer Experience Management: il suo compito è quello di guidare la strategia dell’azienda, plasmare i prodotti in maniera tale da semplificarne la complessità ed offrire al cliente la miglior esperienza possibile.

Alcune settimane fa, il portale Mashable ha pubblicato un articolo di Guarnaccia dal titolo “Size matters: Why it’s better for startups to be David than Goliath”.
Si tratta di un interessante punto di vista che accomuna le startup al piccolo Davide e i grandi colossi dell’industria al gigante Golia: nella leggenda, Davide riesce a vincere la battaglia grazie alle sue tattiche intelligenti fino ad abbattere Golia con una semplice fionda.

Secondo Guarnaccia, le startup devono essere come Davide: con le loro piccole dimensioni e la loro struttura lean e flessibile, devono riuscire a vincere la loro “battaglia” contro la concorrenza grazie ad una buona strategia. Non si tratta, infatti, di dimensioni dell’azienda o di voci di bilancio: ciò che conta davvero è ciò che si fa e come lo si fa.

Da un punto di vista strategico, invece, spesso le startup puntano erroneamente a voler sopraffare i grandi colossi del mercato cercando di imitarli, ricadendo in una vera e propria trappola che li distrae dal vero obiettivo: capire cosa i clienti vogliono, di cosa hanno davvero bisogno.

Una grande azienda, spesso, man mano che cresce su larga scala perde di vista il focus sul cliente: una startup invece, potendo contare su una struttura più piccola e flessibile, dovrebbe concentrarsi proprio sul cliente e sulla sua soddisfazione, anziché sul cercare di imitare i concorrenti di grandi dimensioni.

Vediamo, quindi, i tre consigli che Guarnaccia offre alle startup per abbracciare e far fruttare il vantaggio competitivo derivante dall’essere dei “piccoli Davide”:

1) Rimanere concentrati sulla maniera distintiva in cui possiamo soddisfare il cliente 

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Quando le preferenze del cliente cambiano, una piccola azienda nata da poco riesce a cambiare rotta molto più facilmente di un grande colosso consolidato: la struttura è più snella, l’organigramma e la burocrazia sono meno pesanti. Una startup riesce a cambiare e ad innovare più facilmente ed è per questo che non deve mai perdere di vista le peculiarità che le permettono di soddisfare al massimo i bisogni della sua clientela.

Esempio: Zipcar – Il mercato è pieno di aziende che offrono macchine a noleggio su base giornaliera, ma Zipcar ha capito che molti clienti avevano bisogno di noleggiare un’auto ad ore. Offrendo questo servizio si è differenziata dai concorrenti, basandosi sulla maniera distintiva con cui poter soddisfare i clienti.

2) Domandarsi perché e come 

whyhow

Una startup (e, in generale, una piccola azienda) deve affrontare una sfida ben precisa: risolvere in maniera unica ed univoca il più grande problema del cliente. Ecco perché il primo passo è quello di capire qual è il problema da risolvere. Le domande da porsi a riguardo sono essenzialmente due: perché sto creando questo particolare prodotto/servizio? Come questo risolve il problema del mio cliente?

Queste due domande devono guidare l’intera attività di business: ciò significa allineare il team e condurlo il più possibile a contatto con il cliente. Dipendenti e clienti si allineeranno intorno al perché, rafforzando la capacità dell’azienda a trovare il come per raggiungere gli obiettivi di business.

Esempio: Zappos – L’azienda per la vendita on-line di scarpe è nota per la sua cultura aziendale e per la sua struttura piatta, in cui lo scopo è allineare le persone sul come e sul perché.

Rispetto al concorrente Amazon, Zappos rappresenta Davide: ma ciò che la contraddistingue e le consente di avere successo è il suo mettere il cliente al primo posto, concentrandosi sulla sperimentazione di nuovi approcci per soddisfare il cliente. I clienti di Zappos, ad esempio, non erano soddisfatti dalla politica di reso entro 30 giorni: per questo motivo, Zappos li ha accontentati offrendo una politica di reso a 365 giorni.

3) Creare una cultura di empowerment 

Businessman holding lightning in fist. Power and control

La creazione di una cultura aziendale forte è fondamentale e deve partire dai vertici aziendali: ne è un esempio lampante Bradley Tilden, CEO di Alaska Airlines. Nella sua compagnia aerea, Tilden ha creato una cultura aziendale in cui i dipendenti sono liberi di agire come ritengono più opportuno, senza dover sottostare al permesso di chi è più in alto in gerarchia.

Nelle grandi aziende Golia, i dipendenti diventano dei meri esecutori delle linee guida e delle politiche decise dall’alto. Una piccola startup Davide, invece, è in grado di non sottomettersi a questo tipo di cultura: questo rappresenta un grande vantaggio nella soluzione dei piccoli e grandi “intoppi” quotidiani.

Nel caso di Alaska Airlines, Guarnaccia racconta una sua esperienza diretta come cliente: per un errore della compagnia gli era stato prenotato il volo sbagliato e l’agente al banco check-in non gli ha fatto pagare la tassa per la nuova prenotazione. Molte compagnie aeree, in una situazione del genere, avrebbero fatto pagare al cliente un errore non suo a causa della politica aziendale.

Con la sua politica basata sull empowerment, invece, Tilden dimostra fiducia nei propri dipendenti consentendogli di lavorare in autonomia.

In conclusione, molte startup aspirano a diventare dei Golia: la realtà è che dovrebbero abbracciare i vantaggi derivanti dall’essere un piccolo Davide, potendosi permettere di costruire un prodotto/servizio che soddisfa realmente il cliente ed ispira i dipendenti a lavorare nella maniera migliore.

Per leggere il post originale: http://mashable.com/2015/07/01/startups-david-versus-goliath/#fWqaQpUifOqZ

Napoli, 07/10/2015

iOsmosi, startup vincitrice di #VulcanicaMente3, a Todi Appy Days 2015: appuntamento il 27 settembre!

Ci sarà anche iOsmosi, startup vincitrice del TechGarage di VulcanicaMente: dal talento all’impresa 3 attualmente insediata al CSI – Incubatore Napoli Est, tra i progetti che parteciperanno a Todi Appy Days 2015!

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Todi Appy Days è l’International App Festival, un appuntamento annuale che quest’anno si svolgerà dal 24 al 27 settembre nel centro di Todi (qui, la mappa delle location dell’evento): le giornate del festival sono rivolte a startup, aziende, professionisti, scuole, famiglie e a tutti coloro che vivono il digitale come un aspetto naturale nella loro vita di tutti i giorni.

Il Programma di Tody Appy Days 2015 prevede una serie di workshop, talk e convegni su una serie di tematiche fondamentali nel digitale: dal coding, alla gamification, agli open data fino ad arrivare all’utilizzo del digitale nell’apprendimento e nell’education.

Ed è proprio riguardo a quest’ultima tematica che rientra la presentazione del prototipo di iOsmosi, piattaforma di e-learning che si propone la mission di rivoluzionare la didattica linguistica per bambini attraverso gli scambi linguistici e culturali tra i più piccoli, resi possibili grazie ad un software interattivo di videoconferenza che riduce l’intermediazione degli adulti.

iOsmosiLogo

Inoltre, Alessandra Graziosi, CEO e founder di iOsmosi, sarà tra gli speaker del workshop dedicato al tema “Tecnologie e contenuti per favorire l’apprendimento attraverso il digitale”.
Il workshop è previsto nella mattinata di domenica 27 settembre (ore 10:45 – 11:45) e prevede la partecipazione, oltre ad Alessandra Graziosi, anche di Alessia Riccardi, Giovanni Vannini, Marco Iannacone, Marco Santini e Paola Mattioli.

L’incontro “Tecnologie e contenuti per favorire l’apprendimento attraverso il digitale” vedrà la presentazione di 5 testimonianze attraverso le esperienze nate allo scopo di accrescere la cultura e le capacità di bambini e ragazzi attraverso gli strumenti digitali.

Per maggiori informazioni su Todi Appy Days 2015: http://www.appydays.it/

Napoli, 25/09/2015

Startup Tips – Tre decisioni difficili in tema finanziario che un CEO deve saper affrontare

Il portale Inc. ha recentemente pubblicato un post firmato da Aj Agrawal (co-founder e CEO di Alumnify) focalizzato su tre decisioni fondamentali e difficili che il CEO di una startup deve assolutamente prendere in materia finanziaria.

In generale, un CEO si ritrova spesso a dover prendere decisioni difficili, in particolare in fase early stage: nella maggior parte dei casi, si tratta di problemi che non hanno una risposta o una soluzione giusta in assoluto. Di solito, infatti, in una startup è necessario risolvere i problemi prendendo la miglior decisione possibile, per andare avanti con lo sviluppo e la crescita del business in maniera rapida ed efficace: non ci sono risposte preconfezionate, né tantomeno soluzioni perfette.

L’area finanziaria, con tutte le decisioni su come spendere il denaro dell’azienda, è di solito quella in cui si concentrano le problematiche più difficili: in particolare, Agrawal ne sceglie tre da descrivere e discutere nel suo post, con lo scopo di aiutare i CEO in difficoltà a trovare una soluzione utile.

Vediamo quindi quali sono le tre decisioni difficili in materia finanziaria selezionate da Agrawal.

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1) Quanto pagare i componenti del team

Agli inizi della vita di una startup, è altamente improbabile riuscire ad offrire ai componenti del team degli stipendi competitivi: anzi, spesso non è nemmeno possibile pagare dei veri e propri stipendi in denaro!
Il compito del CEO è quello di trovare il giusto equilibrio tra quanto è giusto pagare qualcuno e quanto, invece, ci si può permettere sulla base della cassa dell’azienda.
In alcuni casi può essere utile il pagamento in Equity, ma a volte questo non basta a garantire il massimo committment dei collaboratori.

Il problema principale in questa fase iniziale è quello di trovare la via di mezzo tra il mantenersi prudenti nelle spese per preservare cassa, e le esigenze del team che chiede più soldi.
In entrambi i casi, far pendere l’ago della bilancia in una delle due direzioni può essere controproducente: da un lato, si rischia di lasciare la startup senza denaro disponibile, dall’altro si rischia che i membri del team lascino l’azienda.

Il modo più semplice per affrontare questa situazione, secondo l’autore, è che il CEO si accontenti di prendere lo stipendio più basso tra tutti i componenti del team. Questo può servire sia a preservare denaro che a dare un esempio a tutti gli altri collaboratori della startup.

2) Dopo quanto tempo assumersi rischi

Questa è, in assoluto, la decisione più difficile da prendere per il CEO di una startup in fase early stage: bisogna decidere se mantenere la prudenza per preservare la cassa, o assumersi dei rischi ed investire.
Arriva infatti un momento in cui la startup dovrà decidere se aumentare la velocità e provare a far crescere davvero il business.

In questo caso non ci sono consigli e soluzioni predefinite: il CEO dovrà sapere quando dire di no, quando è possibile rischiare, quando la startup è pronta a fare il salto di qualità.

3) Quanto pagare se stessi in quanto CEO

Naturalmente, ogni situazione è diversa dalle altre: se il CEO ha una famiglia composta da cinque persone e tutti gli altri collaboratori sono single, bisognerà tener conto delle diverse necessità. Ma, in generale, la scelta migliore è quella per cui il CEO tiene per sé solo la quantità di denaro strettamente necessaria per vivere.

Sembra una soluzione controintuitiva e difficile, visto che il CEO è solitamente colui che si assume maggiori responsabilità e lavora a ritmi più serrati di tutti. Ma prendersi dei premi e dei benefit per sé è davvero controproducente per un CEO, che rischia di creare malcontento all’interno del team.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/aj-agrawal/3-of-the-hardest-financial-decisions-startup-ceos-must-make.html

Napoli, 04/09/2015

Startup Tips – Believers: il successo dipende dalle persone che credono nell’idea

Joseph Walla è CEO e co-founder della startup statunitense HelloSign, lanciata nel 2012 a San Francisco, che conta ad oggi oltre un milione di utenti: HelloSign consente di ottenere firme elettroniche legalmente valide, che eliminano i problemi di stampa, scansione, fax di documenti, offrendo un servizio utile anche e soprattutto alle aziende che ottengono un impatto sulle entrate e sulla customer experience.

Prima di lanciare HelloSign, Walla racconta di averla mostrata ad alcuni familiari: alcuni di loro erano colpiti favorevolmente, altri perdevano attenzione dopo un primo sguardo interessato, altri ancora non hanno mostrato alcun tipo di interesse ed entusiasmo. L’unico a credere, ad avere davvero fiducia nelle potenzialità di HelloSign era proprio Walla.

La fiducia è fondamentale per le grandi aziende: in un post pubblicato su LinkedIn, Joseph Walla scrive che i “believers”, coloro che credono nel business, sono indispensabili per il successo di un’azienda. Dropbox ne ha 100 milioni, Google addirittura un miliardo.

Quando una startup è agli inizi del suo sviluppo, ha un unico believer: il fondatore. Ecco perché, afferma Walla, il primo lavoro di un founder è creare i believersPer creare una community di persone che credono nella startup è necessario credere nel proprio prodotto, avere fiducia nelle sue potenzialità: questo è il primo passo per convicere altre persone a diventare believers. Una startup, per crescere, ha bisogno di differenti tipologie di believers. Vediamo quali sono quelli che Joseph Walla elenca nel suo post.

1) You have to believe

Come accennato, il founder deve essere il primo a credere nella startup. La domanda fondamentale da porsi, quando si ha un’idea di business, è “Voglio davvero lavorare a questa cosa?”. Bisogna capire se si tratta di un’idea per cui valga la pena investire tempo, impegno, risorse.

Un esempio di founders che hanno creduto nella propria idea fino a portarla al successo è Airbnb: hanno investito tutti i risparmi, hanno venduto cereali per restare a galla. Hanno atteso 999 giorni senza vedere un minimo di traction: ma non hanno mai smesso di credere nella propria idea, fino a raggiungere il successo a livello globale.

2) You need customers that believe.

I clienti sono coloro che investono risorse preziose, in termini di tempo e denaro, nel prodotto di una startup: è fondamentale, per invogliarli a farlo, che essi credano nel valore che il prodotto può portare nelle proprie vite.

Un esempio illustre citato da Walla è quello di Evernote, che si è trovato sulla soglia del fallimento: i suoi clienti ci credevano così tanto da investire nell’azienda e salvarla dalla bancarotta.

3) The press has to believe.

Cosa distingue le startup che ottengono spazi sulla stampa da quelle che non ne ottengono? Secondo Walla la risposta è molto semplice: la stampa crede più nelle prime che nelle seconde.

La stampa, ad esempio, ha sempre amato molto Twitter: ci hanno creduto prima della maggior parte delle persone che sono poi diventate suoi utenti. La stampa ci ha creduto, e ha convinto anche altre persone a crederci.

4) Investors have to believe.

Per far sì che gli investitori credano nella startup, bisogna dimostrare che riusciranno a compensare il finanziamento con un ritorno elevato. Bisogna che gli investitori credano nella startup, devono convincersi che abbia il potenziale per diventare un’azienda miliardaria.

Ad esempio, Dropbox ha faticato parecchio a trovare degli investitori, ma è riuscita comunque a raggiungere il successo grazie ad alcuni finanziatori che credevano davvero nel prodotto.

5) The team has to believe.

Il team deve credere davvero nel progetto per lavorare al massimo: in particolare, i migliori sviluppatori, venditori, marketers sono coloro che scelgono di investire il proprio talento in qualcosa per cui valga davvero la pena.

Pandora, ad esempio, ha rischiato la bancarotta nel 2001. Aveva un team di oltre 50 persone che hanno investito nella società oltre 1,5 milioni di dollari, che hanno rinunciato al proprio stipendio per 2 anni: lo hanno fatto perché credevano nell’azienda.

6) Your partners have to believe.

Le giuste partnership sono fondamentali per un business development che faccia crescere l’azienda su larga scala. Per ottenere questi risultati è necessario dimostrare ai potenziali partner di essere in grado di aggiungere valore per i loro utenti: nessuno è disposto ad inviare migliaia o milioni di clienti ad una startup in cui non crede.

Bill Gates, ad esempio, ha concesso i suoi software in licenza a IBM, costruendo un partenariato di successo: IBM, infatti, ha creduto che Microsoft avrebbe apportato valore aggiunto per i suoi clienti.

In conclusione, afferma Walla, tutto ciò ci riporta all’inizio della storia, quando il founder è l’unico believer della startup: il primo lavoro da svolgere è quello di creare nuovi believers, perché la startup ha bisogno di clienti, dell’appoggio della stampa, di investitori, di un team e di partner che credano davvero nelle sue potenzialità.

 

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L’articolo originale è disponibile qui: https://www.linkedin.com/pulse/your-job-founder-create-believers-joseph-walla

Napoli, 28/08/2015

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