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Tag: business angel

Presenta la tua idea innovativa a potenziali investitori con Startup Opportunity 2013

Startup Opportunity 2013 è il concorso promosso dal Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriali di Pordenone, il Polo Tecnologico di Pordenone e Pordenone Fiere giunto alla sua seconda edizione.

Scopo del concorso è quello di sostenere la nascita e lo sviluppo di nuove realtà imprenditoriali da parte di giovani talenti italiani che abbiano un progetto innovativo di business ad elevato potenziale di crescita.

La partecipazione a Startup Opportunity 2013 è riservata a:

– persone fisiche di età compresa tra 18 e 40 anni, che vogliano avviare una startup nei settori dell’industria o dei servizi sul territorio italiano;
– startup ad elevato potenziale di crescita già costituite, con un fatturato compreso tra 0 e 2 milioni di euro.

I progetti selezionati per Startup Opportunity 2013 dovranno essere incentrati su iniziative originali e ad alto contenuto innovativo: per partecipare, occorre registrarsi alla piattaforma http://www.startupopportunity.it/ e compilare il form di iscrizione. Inoltre, i team dovranno allegare il proprio progetto ed un pitch di 7 minuti (che sarà disponibile attraverso il canale Youtube dell’iniziativa). La deadline è fissata per le ore 17:00 del 15 ottobre 2013.

Tra i progetti pervenuti tramite la piattaforma on-line, la Commissione di Valutazione selezionerà i migliori 5: i team prescelti saranno invitati a partecipare all’evento dell’8 novembre 2013 durante la manifestazione “Punto d’incontro” dove presenteranno il proprio progetto alla platea appositamente selezionata di rappresentanti del mondo dell’imprenditoria, business angel, venture capitalist, istituti di credito e società finanziarie.

Ciascun team avrà a disposizione 15 minuti per la propria presentazione, più 5 minuti per eventuali domande e chiarimenti. Obiettivo dell’evento dell’8 novembre, trovare finanziamenti per realizzare i progetti presentati: sarà possibile ottenere un finanziamento da 300.000 a 800.000 euro, con disponibilità a partecipare in coinvestimento a round fino a 2 milioni di euro.

  • Per tutte le informazioni, è possibile scrivere all’indirizzo info@startupopportunity.it oppure telefonare ai numeri 0434 232208/232111.
  • Il Bando 2013 di Startup Opportunity è invece scaricabile dal seguente link: http://www.incontropordenone.it/startup-opportunity/bando-2013
  • Per tutte le informazioni sulla manifestazione Punto d’incontro, trovate qui il sito ufficiale dell’iniziativa.

Ricordiamo inoltre che gli aspiranti startuppers hanno a disposizione un’altra importante opportunità per presentare il proprio pitch ad una platea di investitori ed esperti di imprese innovative: sono aperte le iscrizioni per il TechDay, l’evento di scouting per partecipare a VulcanicaMente 2: dal talento all’impresa.

Tutte le informazioni su VulcanicaMente 2, insieme al form di iscrizione per partecipare al TechDay, sono disponibili nella sezione Eventi & Iniziative del sito internet www.incubatorenapoliest.it

Napoli, 12/09/2013

 

La tua startup in Israele con Startup Boot-Camp Tel Aviv Competition

Lo Startup Boot-Camp Tel Aviv è una competition internazionale aperta alle startup di 14 paesi del mondo (Regno Unito, Germania, Danimarca, Francia, Italia, Spagna, Svezia, Irlanda, Lituania, India, Cina – Shangai, Corea, Messico e Colombia) che si contendono la partecipazione al Boot-Camp che si terrà dal 12 al 17 ottobre 2013 a Tel Aviv.

Israele si conferma ancora una volta come uno dei migliori ecosistemi per startup al mondo, con la seconda edizione del boot-camp organizzato anche quest’anno dal Ministero degli Affari Esteri Israeliano, la città di Tel-Aviv e Google Israel: la selezione della startup italiana avverrà a cura dei partner nazionali dell’iniziativa, l’Ambasciata d’Israele in Italia e da LUISS ENLABS – La Fabbrica delle Startup, in collaborazione con ItaliaCamp.

Possono partecipare alle selezioni le startup attive nei settori web, mobile o security, con team di età compresa tra i 25 e i 40 anni che abbiano già ricevuto un finanziamento (seed stage): le candidature possono essere inviate entro il 31 agosto 2013 all’indirizzo startelaviv@roma.mfa.gov.il.

Le startup che desiderano presentare il proprio progetto per concorrere alla Startup Boot-Camp Tel Aviv Competition dovranno allegare alla mail:

– il link ad un video pitch in lingua inglese di presentazione del progetto, della durata massima di 5 minuti
– un executive summary di 500 parole (max 1 pagina), in lingua inglese
– un CV del founder in lingua inglese
– il link ad una demo del prodotto (opzionale)

Il premio in palio per la migliore startup è la partecipazione al boot-camp di Tel Aviv, durante il quale i founder delle 14 startup provenienti dai paesi coinvolti nell’iniziativa avranno la possibilità di prendere parte ad un interessante ed intenso programma. Tra gli appuntamenti previsti: conferenze, workshop, e incontri con imprenditori, professionisti e investitori israeliani leader nel settore: qui, il programma dettagliato delle cinque giornate.

Il boot-camp in Israele si terrà durante il Festival DLD Tel Aviv (Digital Life Design) e in concomitanza con altri due eventi di rilevanza internazionale: Second Annual Cities Summit (14 ottobre) e Open Startup (16 e 17 ottobre), offrendo così ai partecipanti ulteriori occasioni di incontrare personalità di spicco dell’ecosistema startup israeliano (ricercatori, imprenditori, business angels e venture capital).

La startup italiana vincitrice della Startup Boot-Camp Tel Aviv Competition verrà proclamata durante l’evento di chiusura che LUISS EnLabs ospiterà a Roma il 17 settembre: la scelta sarà effettuata da una giuria composta da importanti nomi del mondo dell’innovazione, giornalisti, imprenditori ed investitori tra cui figurano Gianluca Dettori (DPixel), Emil Abirascid (Startupbusiness.it), Luca De Biase (Il Sole 24 Ore), Stefano Parisi(Presidente Confindustria Digitale).

Per maggiori informazioni:
– il link ufficiale all’evento dal sito di LUISS EnLabs
– la pagina ufficiale internazionale dell’evento

Napoli, 02/08/2013

“Finanziare il tuo progetto con il crowdfunding”: open workshop il 11/09 al CSI – Incubatore Napoli Est

Mercoledì 11 settembre 2013 il CSI – Incubatore Napoli Est ospiterà il workshop “Finanziare il tuo progetto con il crowdfunding”: si tratta di un tema molto interessante, considerando la crescita esponenziale del fenomeno a livello globale (nel 2012 il crowdfunding ha raccolto quasi 3 milioni di dollari) e l’interesse a livello nazionale.

Il nostro Paese, infatti, è il primo al mondo ad aver regolamentato il mercato del crowdfunding: in questo senso, l’Italia ha costruito la possibilità di un vantaggio competitivo importante per tutti coloro che acquisiranno competenze e servizi in questo settore.

Il workshop prevede una sessione mattutina aperta a tutti i startupper, imprenditori, responsabili strategie, amministratori delegati, direttori generali, vice president marketing, marketing manager, direttori marketing, sales manager, vice president sales, direttori vendite.

In particolare, il workshop si focalizzerà sugli aspetti più strettamente pratici riguarderanno l’analisi delle fasi che compongono un progetto di crowdfunding e la struttura di un piano di marketing.

Il workshop è a cura di Alberto Giusti: Managerial engineering, business angel, internet expert, start-up founder (qui il link al suo profilo LinkedIn).

Per partecipare al workshop è necessario registrarsi online compilando il form di iscrizione accessibile da qui, dove troverai anche il programma completo. La partecipazione è gratuita, ma i posti sono limitati.

Inoltre, il CSI, con l’iniziativa VulcanicaMente dal talento all’impresa ti offre un percorso gratuito di assistenza per lo sviluppo della tua idea, con accesso ai ns. spazi, ai workshop riservati e alle sessioni di mentorship, per candidarti qui tutte le info.

Napoli, 31/07/2013

I 10 errori più frequenti per una startup (e i consigli per evitarli) di Laurence McCahill

NetMagazine.com ha pubblicato un interessante decalogo di Laurence McCahill, founder di Spook Studio (una delle più rinomate società inglesi di consulenza e design per startup), dedicato ai 10 errori più frequenti delle startup e ai metodi più opportuni per evitarli.

1) Non avere una vision o un obiettivo chiaro

La vision e gli obiettivi della società dovrebbero essere il punto di partenza dei fondatori di qualsiasi startup, ma spesso questo punto viene trascurato: secondo McCahill, i founders si tuffano nella realizzazione della propria idea senza fermarsi a pensare a come e perchè lo stanno facendo.
In realtà avere un obiettivo prefissato e una visione chiara della propria mission e dei propri valori aziendali è fondamentale, per fare in modo che i potenziali clienti abbiano un motivo per avvicinarsi al prodotto.

McCahill, infatti, evidenzia quanto le decisioni di acquisto siano sempre più influenzate dalle emozioni anzichè dalla logica, e afferma che i clienti che si fidano della mission aziendale sono poi più predisposti a fidarsi dell’azienda e a parlare bene dei prodotti con i propri conoscenti.

Per questo motivo, McCahill conclude la sua analisi di questo primo “mistake” con il consiglio di darsi da fare per definire il DNA della startup.

2) Mancanza di un focus

Secondo McCahill, avere un obiettivo chiaro serve a comunicare in maniera più efficace cos’è il vostro prodotto e a chi è destinato: molte startup, invece, spesso vogliono fare troppe cose, troppo in fretta. Questo atteggiamento porta ad un prodotto troppo complesso e,soprattutto, diluisce il messaggio che si cerca di far passare al cliente.

Il consiglio di McCahill è appunto quello di focalizzare il più possibile l’attenzione sui punti fondamentali cui lavorare, partendo da una lista delle cose che il team NON farà: ciò servirà a fornire delle linee guida su cosa il prodotto non è, consentendo al team di prendere decisioni efficaci senza perdere di vista l’obiettivo principale.

3) Il design, una mancata opportunità

Le startup, di solito, non riescono a vedere l’utilità di investire capitale nel design: questo è, secondo McCahill, un grave errore e un’opportunità mancata.
L’approccio delle startup è troppo focalizzato sulla tecnologia o sul prodotto, e troppo poco sul cliente e sulle sue esigenze: in realtà, invece, il miglior vantaggio competitivo proviene dalla capacità di disegnare un prodotto/servizio che accontenti le esigenze del cliente.

Questo perchè esiste una correlazione molto forte tra l’esperienza positiva del cliente e la sua lealtà verso l’azienda: per questo motivo, è importante che già nella fase di startup ci si impegni a lavorare sulla soddisfazione del cliente come il principale obiettivo dell’azienda.

4) Costruire un prodotto che nessuno vuole

In fase di startup, l’attività dell’azienda si basa sulle ipotesi dei fondatori sulle esigenze e i bisogni dei clienti: è fondamentale agire fin da subito per testare la validità di tali ipotesi, in modo da costruire un prodotto che sia percepito come effettivamente utile dalla clientela.

McCahill cita in proposito Ash Maurya, founder di Spark59 e guru mondiale nel mondo delle startup, secondo cui: “La vita è troppo breve per costruire qualcosa che nessuno vuole”.

5) Inseguire gli investitori, anzichè i clienti

McCahill spiega che spesso gli startuppers, convinti di avere una buona idea, si concentrano molto per migliorare il pitch da presentare ai potenziali investitori non preoccupandosi a sufficienza di acquisire clienti: questo è un errore molto grave, perchè il modo più sicuro per far funzionare un’azienda è quello di avere abbastanza clienti da poter essere auto-sufficienti.

Il suggerimento di McCahill è quello di concentrarsi sulla ricerca di nuovi clienti, perchè il vero imprenditore non spreca tempo e risorse per qualcosa che non può controllare (come, appunto, i VC e i business angels).

6) Parlare troppo, ascoltare poco

Quando l’azienda è in fase di startup, dovrebbe impegnarsi nell’intervistare i potenziali clienti per capire quali siano le loro effettive esigenze e quali caratteristiche deve avere il prodotto.

Il modo migliore per riuscirci, secondo McCahill, è quello di evitare il più possibile di “parlare” durante queste interviste, cercando di concentrarsi sull’ascolto per capire davvero cosa cerca il nostro potenziale cliente.

7) Lanciare il prodotto troppo tardi (o troppo presto)

Alcune startup lasciano trascorrere anni senza lanciare sul mercato il proprio prodotto, per incertezza o per paura della concorrenza.
Altre startup, invece, lanciano sul mercato una prima versione del prodotto troppo “povera e minimale”.

Si tratta di centrare un punto intermedio tra il MVP dell’approccio Lean e il “prodotto perfetto”, di trovare il giusto equilibrio e, soprattutto, il momento giusto per lanciare il proprio prodotto: secondo McCahill è un’impresa non facile, ma potrebbe essere la chiave per iniziare a pagare dividendi.

8) Non riuscire a chiedere aiuto

McCahill scrive che, spesso, gli imprenditori sono molto testardi e per questo restii a chiedere aiuto: in realtà non c’è nulla di male a chiedere aiuto, soprattutto in fase di startup, ma sono davvero pochi i founders che lo fanno.

Ciò che sarebbe opportuno, invece, è trovare un mentor di cui potersi fidare e che abbia davvero un interesse sincero per il successo della startup: il consiglio è quello di costruire una vera e propria “rete di sostegno” che sia in grado di indirizzare il team quando ce n’è bisogno.

9) Non avere un piano di crescita

Un imprenditore seriale sa bene che il 90% dell’imprenditorialità si basa sulle vendite e sul marketing: l’obiettivo di una startup dovrebbe essere quello di accrescere sempre di più il numero di clienti per poter accedere a quote di mercato sempre più ampie (scalabilità).

McCahill cerca di sfatare il mito secondo cui costruire un buon prodotto sia l’unica cosa che conta: l’acquisizione dei clienti è la seconda, fondamentale parte del viaggio di un eo-imprenditore ed è fondamentale per la crescita dell’impresa.

10) Cattive assunzioni

Quando una startup riesce ad ottenere dei finanziamenti, spesso fa un errore comune: assume le persone troppo presto, quando ancora non sa bene effettivamente di che tipologia di risorse avrà bisogno.

La scelta dei collaboratori e dei co-fondatori, invece, va fatta con attenzione: McCahill consiglia di concentrarsi il più possibile sulla definizione della mission e della cultura aziendale.
Questo perchè la scelta dei collaboratori giusti è più facile e sicura, se i candidati sono a conoscenza dei valori alla base dell’azienda.

Da venture capitalist e business angels, un’analisi degli investimenti “early stage” in Italia

Per il secondo anno consecutivo, è stato pubblicato da IBAN (l’associazione dei business angels italiani) e VeM (osservatorio sul venture capital), in collaborazione con l’Università LIUC un report che analizza i dati relativi agli investimenti “early stage” in Italia nell’anno 2012.

Il documento offre una serie di dati e di spunti interessanti: per prima cosa, appare positivo il dato secondo il quale l’ammontare degli investimenti seed e startup è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente, se confrontato al calo registrato un po’ ovunque a livello europeo.
Bisogna però tener conto del fatto che il mercato italiano degli investimenti early stage è sicuramente più recente e immaturo rispetto ad altri paesi europei, e che la mancata flessione potrebbe dipendere proprio da questo fattore.
Nello specifico, l’ammontare registrato nel 2012 si assesta su una cifra di 80 milioni di euro, di cui 50 milioni provenienti dal venture capital e i restanti 30 da business angels.

Per il venture capital cresce il numero delle operazioni, ma diminuisce quello dell’importo investito: per i business angels, invece, si assiste al fenomeno opposto, tanto che l’importo medio investito in ciascuna operazione è praticamente raddoppiato dai 180.000 euro registrati nel 2011 ai 360.000 euro dei dati relativi al 2012.
Aspetto interessante e inaspettato, l’aumento del numero di operazioni in cui figurano sia venture capitalist che business angels.

Riguardo invece alla tipologia di investimento, il mercato dell’early stage si suddivide essenzialmente in investimenti seed e startup: dal report relativo all’anno 2012 emerge una sostanziale preferenza per gli investimenti del primo tipo, sia da parte di fondi di venture capital che da business angels.

Il report analizza poi la distribuzione geografica degli investimenti early stage in Italia: rispetto all’anno precedente non si rilevano grosse novità. La Lombardia è ancora la Regione che attira la maggior parte degli investimenti (33%), ma appare interessante il dato secondo cui sono i business angels a preferire le regioni più a Nord (in particolare Lombardia, Piemonte e Toscana), mentre i venture capitalist investono molto di più a Sud, concentrando in queste Regioni il 35% dei propri investimenti early stage.

Dal punto di vista della distribuzione settoriale non ci sono sorprese: è ancora una volta l’ICT il settore trainante, in particolare nel mobile e nelle web app.
Sorprende invece un dato relativo alle forme societarie preferite dagli investitori: il 20% delle operazioni è infatti in startup innovative, dato che assume molta importanza per il fatto che questo tipo di società è stato introdotto nell’ordinamento italiano molto di recente.

In conclusione, l’analisi complessiva del report sul settore degli investimenti early stage evidenzia alcuni segnali positivi e altri negativi: tra i primi è sicuramente da annoverare la vivacità del comparto, che ha mantenuto invariato il livello di investimenti rispetto al resto d’Europa.
Da guardare in maniera positiva anche la crescente collaborazione tra venture capitalist e business angels, mentre l’ammontare totale degli investimenti early stage sul territorio nazionale (pari ad 80 milioni di euro) non è ancora in grado di competere con mercati più sviluppati in Europa come la Germania, la Francia e il Regno Unito.

L’intero report è scaricabile a questo link.

Napoli, 10 luglio 2013

Steve Blank: le sei tipologie di startup

In un articolo comparso recentemente su The Accelerators, il blog sulle startup del Wall Street JournalSteve Blank spiega come non tutte le startup sono uguali: esistono almeno sei tipologie differenti di startup, e per ciascuna di esse ci sono caratteristiche peculiari di cui tener conto.

Secondo Blank, infatti, le tipologie di startup sono: lifestyle, di piccole dimensioni, scalabile, acquisibile, sociale e all’interno di una grande azienda. I fondatori di queste aziende sono tutti imprenditori, ma ci sono differenze significative tra le persone da coinvolgere, gli strumenti di finanziamento e le strategie da mettere in pratica. Se non si tengono presenti queste differenze, scrive Blank, è probabile che si vadano ad abbassare le probabilità di successo della startup.

Nel suo articolo, Blank analizza uno alla volta le sei tipologie, partendo con quella che definisce Lifestyle Startups: Work to Live Their Passion. Gli imprenditori lifestyle sono paragonati ai surfisti californiani, che danno lezioni di surf per pagare le bollette in modo da poter stare un po’ di più in acqua. queste persone vivono la vita che amano, non lavorano per nessuno, ma per se stessi per perseguire la loro passione personale. Quello che Blank indica come “l’equivalente in Silicon Valley” è il programmatore o web designer dipendente, che ama la tecnologia e accetta lavori di coding e U/I, per poter perseguire con tali incarichi la sua passione.

La seconda “categoria” è quella che Blank definisce “Small-Business Startups: Work to Feed the Family”. Si tratta della maggioranza delle startup presenti attualmente negli Stati Uniti, nelle quali l’imprenditore è colui che gestisce direttamente l’attività. Si tratta di persone che investono il proprio capitale nel business (o quello preso in prestito da familiari e amici, o dalle banche), assumendo spesso familiari o persone del luogo come dipendenti. Spesso queste attività sono a malapena redditizie, ma nella maggior parte dei casi questi imprenditori sono quelli che Blank definisce più rappresentativi del concetto di “imprenditorialità”, in quanto lavorano con passione e dedizione creando nuovi posti di lavoro a livello locale.

Blank prosegue con le Scalable Startups: Born to Be Big: è questo terzo tipo di startup quello che tutti gli imprenditori e venture capitalist della Silicon Valley sognano. Esempi di questo tipo di startup sono nomi come Google, Twitter, Skype e Facebook: startup in cui i founders lavorano fin dal primo giorno con il desiderio di cambiare il mondo. Il loro scopo finale non è quello di guadagnarsi da vivere, bensì quello di scalare il proprio business e costruire un’azienda che verrà quotata in Borsa o acquisita con profitti di svariati milioni di dollari. Per funzionare davvero, le startup scalabili necessitano secondo Blank di venture capitalist che siano folli almeno quanto i founders: questi ultimi hanno infatti bisogno di ingenti quantità di capitale di rischio per costruire il proprio modello di business ripetibile e scalabile.

Dopo le startup scalabili, Blank esamina quelle che definisce “Buyable Startups: Acquisition Targets”. Blank spiega come negli ultimi anni i costi e i tempi per avviare una produzione nel settore delle applicazioni web e mobile sono diminuiti vertiginosamente. Ciò significa per le startup la possibilità di bypassare i VC tradizionali e rivolgersi a business angels o al crowdfunding per finanziare il proprio avvio. Il rischio per questo tipo di startup è quello di vendere per cifre tra i 5 e i 50 milioni di dollari delle imprese che in realtà potrebbero fruttare miliardi di dollari di profitti.

Blank dedica a questo punto la propria attenzione alle “Social Startups: Driven to Make a Difference”. Le startup sociali sono guidate da imprenditori che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi di altri settori, in termini di ambizione, passione e voglia di raggiungere gli obiettivi prefissati. La differenza rispetto alle startup scalabili sta nel fatto che il loro obiettivo è quello di rendere il mondo un posto migliore, non gli interessa prendere quote di mercato o creare ricchezza per i fondatori. Queste startup possono essere senza scopo di lucro, a scopo di lucro o ibride.

Infine, Blank spiega quali sono le caratteristiche delle “Large-Company Startups: Innovate or Evaporate”: esse nascono dalla constatazione che il ciclo di vita di una grande azienda è finito e, negli ultimi anni, si è fatto decisamente sempre più breve. Ormai è chiaro che l’approccio “Lean” non è più da riservare esclusivamente alle startup: si tratta di regole e politiche che sono molto utili anche per le grandi aziende già consolidate. Non è più sufficiente, infatti, concentrarsi sull’esecuzione e il miglioramento del modello di business esistente: per sopravvivere nel nuovo contesto economico, le grandi aziende devono puntare ad un approccio innovativo, che riesca a dar vita a nuovi modelli di business attraverso il ricorso a nuovi modelli organizzativi e nuove competenze (trovate qui un altro articolo del nostro blog su questo argomento).

In conclusione, Blank afferma che tra tutte queste tipologie di startup, differenti in termini di obiettivi di mercato, team di lavoro e strumenti di finanziamento, c’è un punto in comune: bisogna cambiare il punto di vista “classico” secondo cui le startup vanno trattate come versioni “in piccolo” delle aziende consolidate e prevedere approcci e strategie innovative che si adattino al nuovo contesto economico e siano il più possibile ripetibili e scalabili.

Napoli, 03/07/2013

 

 

Bootstrapping: quando la start up si auto-finanzia

La tendenza di molte start up oggi è quella di cercare il modo migliore di attrarre investitori per finanziare il business: spesso, invece, la scelta migliore è quella di auto-finanziare la propria attività. Anzichè ricorrere al Venture Capital o ai Business Angels, infatti, molte start up otterrebbero risultati migliori e duraturi affidandosi al Bootstrapping, cioè al finanziamento con mezzi propri.

Il termine Bootstrapping significa infatti “tirarsi fuori dalle difficoltà senza ricorrere all’aiuto altrui” e, secondo Andrew Gazdecki (founder e CEO di Bizness Apps, piattaforma web per app mobile destinata alle piccole imprese), presenta alcuni vantaggi rispetto al ricorso al VC: vediamo quali sono, prendendo spunto dal suo post pubblicato recentemente su Gigaom.

Per prima cosa, una start up che si auto-finanzia può concentrare la propria attenzione sui bisogni dei clienti, anzichè sugli investitori.
Spesso, infatti, una start up in cerca di finanziamenti si impegna a trovare il modo per attrarre gli investitori, perdendo di vista il modello di Customer Development fondamentale per il successo di un’azienda in fase di avvio.
Prendendo la decisione di “bootstrappare”, il team può dedicarsi senza distrazioni allo sviluppo del minimal viable product da proporre ai potenziali clienti, creando così una base più affidabile di successo per il proprio business.
Gazdecki afferma che, naturalmente, è possibile concentrarsi contemporaneamente sia sui clienti che sugli investitori: ciò che conta è non focalizzarsi totalmente su questi ultimi, trascurando i primi.

Un altro aspetto fondamentale secondo Gazdecki è che la scarsità di capitale disponibile costringe il team a stabilire dei limiti e confini utili per risolvere i problemi. Avere pochi soldi a disposizione porta il team a pensare in maniera creativa, a scegliere le opzioni più vantaggiose e a prendere le decisioni in tempi più brevi.
In questo modo viene a crearsi all’interno dell’azienda una cultura orientata al problem solving, che sarà utile anche in futuro, una volta superata la fase di start up.

Inoltre, l’urgenza di “fare cassa” aumenta l’efficienza dell’intera azienda: Gazdecki spiega che in una situazione di bootstrapping il team non spenderà giornate preziose in decisioni e discorsi che è possibile rimandare (nel post troviamo ad esempio la scelta dei colori del logo): ciò che conta è lavorare al prodotto, concentrarsi affinchè quest’ultimo risponda ai bisogni del cliente. In una situazione del genere, quindi, ci si focalizza sulle decisioni veramente urgenti, si impara a definire in maniera corretta le priorità.

Secondo Gazdecki, infine, il lavoro di una start up che opta per l’auto-finanziamento vedrà nascere spontaneamente il senso di disciplina e responsabilità tra i componenti de team: come in una famiglia di acrobati, ciascuno ha un compito da svolgere, un bersaglio da raggiungere, e un tempo ed un luogo prefissati per farlo.

In conclusione, le difficoltà incontrate nella fase di start up saranno poi ripagate da una cultura aziendale basata su sane fondamenta: orientamento al cliente, creatività, definizione delle priorità, efficienza, disciplina e responsabilità.

Ma come bisogna gestire più in concreto una start up affidandosi al bootstrapping? Proponiamo alcuni consigli utili di due protagonisti del mondo delle start up: Rosemary Peavler, con 25 anni di esperienza nell’insegnamento di Business Finance nel mondo accademico americano (qui il suo decalogo “How to Bootstrap Your Startup or New Business“) e Guy Kawasaky, manager ed imprenditore americano CEO di garage.com, che finanzia iniziative hi-tech in Silicon Valley (qui il suo post “The Art of Bootstrapping“).

Innazitutto troviamo alcuni suggerimenti di base, come fare attenzione ai costi, evitare il più possibile gli sprechi, fare attenzione ai costi per la gestione del magazzino, affidarsi al co-working e allo scambio alla pari come mezzo di pagamento.

E’ importante inoltre costruire un team e assumere personale giovane: sia perchè ciò implica costi inferiori, sia perchè i giovani sono più creativi e motivati.

Kawasaki pone inoltre l’accento sull’importanza del minimal viable product: non bisogna aspettare che il prodotto sia perfetto, è importante entrare nel mercato e proporre una “versione base” al pubblico.

Un altro suggerimento utile è quello di concentrarsi all’inizio sulla vendita di servizi anzichè di prodotti, che presenta costi inferiori.

Ancora, è importante concentrare i propri sforzi su pochi obiettivi fondamentali e non sprecare risorse: bisogna avere cura delle funzionalità e non della forma.

Inoltre, Kawasaki suggerisce di evitare complicate strategie di posizionamento e focalizzarsi sulla scelta più semplice: posizionarsi contro il leader di mercato.

Ma l’aspetto più importante secondo Kawasaki è quello della conoscenza, ossia tenere gli occhi bene aperti sulla realtà affidandosi ad un semplice calcolo: attenzione al rapporto tra denaro disponibile e denaro speso, perchè solo quello può dire qualcosa su “how much longer you can live“.

Napoli, 29/05/2013

StartUp Visa: un modo per attrarre talenti innovativi e creare startup globali

L’evoluzione economica mondiale degli ultimi anni ha dimostrato una crescente tendenza alla globalizzazione: il mondo delle start up segue in pieno questo trend, tanto da iniziare a parlare di mobilità delle imprese e di start up globali.
Diventa così fondamentale la creazione degli StartUp Visa, dei visti speciali concessi agli stranieri che creano impresa nel Paese che li rilascia.

Alcuni Governi si stanno adoperando in tal senso, adattando le proprie politiche in materia di immigrazione, visti e permessi per accogliere i talenti creativi stranieri che vogliano portare le proprie idee innovative all’estero e trasformarle in imprese. La nascita di startup è infatti un grande vantaggio per il tessuto sociale ed imprenditoriale, in quanto offre la possibilità di creare occupazione aumentando il numero di nuovi posti di lavoro.

Il Paese attualmente più all’avanguardia in materia è il Canada, che ha varato il suo StartUp Visa Program il 1° aprile di quest’anno.

Lo StartUp Visa Program canadese nasce da un percorso durato due anni, in cui hanno lavorato attivamente e in maniera congiunta tutti gli stakeholders coinvolti: Governo, imprenditori ed investitori. Il programma è stato inoltre accolto con grande interesse dall’opinione pubblica, altro fattore da tenere in grande considerazione per raggiungere obbiettivi comuni di sviluppo imprenditoriale e crescita occupazionale, economica e sociale.

Tra le condizioni di accesso allo Start Up Visa Program, il Governo canadese ha indicato innanzitutto il possesso di una “lettera di supporto“, che dimostra l’impegno di un business angel o di un venture capitalist canadese a finanziare l’idea: è possibile contattare uno degli investitori designati cui sottoporre la propria business idea, attraverso il sito internet dedicato all’iniziativa.
Per accedere al Programma è necessario ottenere un investimento minimo pari a 200.000 dollari canadesi, se ci si rivolge ad un Fondo di Venture Capital, o a 75.000 dollari canadesi, se l’investimento proviene da un Angel Investor (l’elenco degli investitori è disponibili a questo link).

Altri requisti di eleggibilità sono:
– conoscenza della lingua inglese e/o francese;
– aver proseguito per almeno un anno gli studi dopo il diploma di istruzione secondaria;
– avere una copertura economica adeguata.

Il visto ottenuto grazie allo StartUp Visa Program Canada è concesso non solo all’aspirante imprenditore, ma anche alla sua famiglia.

Tutte le informazioni e la modulistica necessaria per candidarsi sono disponibili a questo link.

Mentre il Canada, grazie agli StartUp Visa, apre le frontiere agli innovatori e startupper stranieri, gli U.S.A. sono attualmente in una situazione di stallo: la cultura e la legislazione impongono infatti regole troppo severe all’immigrazione, arenando i progetti per la diffusione dei visti.

Questa situazione fa fatica a sbloccarsi, nonostante le grandi potenzialità che lo strumento StartUp Visa può avere, soprattutto in termini occupazionali: in un rapporto dello scorso febbraio, infatti, la Kauffman Foundation ha stimato che lo StartUp Visa potrebbe portare alla creazione di un numero compreso tra 500.000 e 1.600.000 nuovi posti di lavoro in America nei prossimi 10 anni.

Attualmente, per ottenere uno StartUp Visa di un anno per gli Stati Uniti, è necessario ottenere un finanziamento da parte di un investitore U.S.A. per una cifra pari ad almeno 100.000 dollari. Per ottenere un visto di due anni, la legge impone un ostacolo ancora più grande: il finanziamento deve essere di almeno 250.000 dollari. Si attende lo sblocco della legislazione in materia, che dovrebbe sbloccarsi con la definitiva approvazione dello Startup 2.0 Act, destinato non soltanto agli imprenditori che vogliano creare una start up negli Stati Uniti, ma anche a ricercatori e studenti particolarmente meritevoli.

Nel frattempo, due imprenditori californiani hanno proposto un progetto per aggirare gli ostacoli burocratici delle politiche statunitensi, allo scopo di attrarre e trattenere in America i talenti stranieri: si tratta di Max Marty e Dario Mutabdzija, che hanno ideato il progetto Blueseed: si tratta di utilizzare una nave da crociera come base per imprenditori e ricercatori, una sorta di città galleggiante situata a 12 miglia dalla costa, in acque internazionali. Nell’idea di Marty e Mutabdzija, gli imprenditori e ricercatori che aderiranno a Blueseed potranno creare la propria Startup vicino alla Silicon Valley, senza dover ottenere il visto di lavoro U.S.A.: il progetto prevede spazi di co-working, accesso Internet e collegamenti continui con la terraferma tramite traghetto.
Il progetto dovrebbe partire nella primavera del 2014, e attualmente ha ricevuto richieste da oltre 1.300 imprenditori di 67 Paesi nel mondo.

Tra i Paesi che hanno previsto una procedura agevolata per l’ottenimento degli StartUp Visa abbiamo anche il Cile: grazie al lancio del programma StartUp Chile, infatti, lo stato sudamericano ha aperto le proprie frontiere ai talenti, agli innovatori e agli startupper di tutto il mondo.
Per gli aspiranti imprenditori stranieri che decidono di fondare la propria start up in Cile è prevista la possibilità di uno StartUp Visa temporaneo della durata di un anno, senza obbligo di permanenza continua nel territorio cileno. Ai partecipanti a StartUp Chile, inoltre, sarà garantito un finanziamento di 40.000 dollari (equity-free) di seed capital, oltre all’accesso alla rete sociale e finanziaria cilena, che negli ultimi anni ha dimostrato di costituire terreno fertile per le start up.

Ultimo in ordine di tempo tra i Paesi che prevedono lo StartUp Visa è l’Irlanda: si tratta di uno degli Stati Europei che negli ultimi tempi ha sviluppato un ecosistema ideale per le Start up.
Allo scopo di attrarre le migliori idee innovative da trasformare in imprese, il Governo irlandese ha ideato lo StartUp Entrepreuner Programme. Grazie alla partecipazione a questo programma, gli aspiranti startupper stranieri possono ottenere uno StartUp Visa per due anni, con estensione ad altri tre. Il visto sarà concesso anche alla famiglia dell’aspirante imprenditore. Chi accede allo Start Up Entrepreuner Programme irlandese ha inoltre diritto ad un finanziamento di 75.000 euro per avviare la propria attività.

L’auspicio è che anche l’Italia si adoperi presto a creare e regolamentare gli StartUp Visa: come abbiamo visto, infatti, si tratta di uno strumento fondamentale per attirare i talenti sul territorio, creando nuove imprese e soprattutto posti di lavoro in un Paese come il nostro dove, al momento, il problema della disoccupazione rappresenta una priorità.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Napoli, 17 maggio 2013

Berlino, Londra, Dublino: Le migliori startup d’Europa per Tech All Stars

Tech All Stars è una delle iniziative dedicate alle Startup a livello comunitario nell’ambito della Digital Agenda. Si tratta di un progetto della Commissione Europea consistente in una serie di eventi che si terranno quest’estate a Berlino, Londra e Dublino per offrire alle migliori startup europee la possibilità di incontrare i migliori imprenditori, mentor, venture capitalist e business angels.

Per poter partecipare, le startup devono possedere tre requisiti: essere registrate in uno degli Stati Membri, essere in attività da meno di tre anni e aver raccolto meno di 1 milione di euro di capitali esterni.
La deadline per candidare il proprio progetto è fissata per il 15 maggio 2013, è possibile iscriversi a questo link: http://www.f6s.com/techallstarsapply#programs/ajax-application

Le tappe previste per Tech All Stars sono:

  • 7 e 8 giugno a Berlino: in collaborazione con Angels Bootcamp, vi parteciperanno le 12 migliori startup selezionate tra tutte quelle che avranno presentato la propria candidatura. I partecipanti visiteranno la città e avranno l’oppostunità di incontrare i migliori mentor, imprenditori ed investitori. Con i loro consigli, impareranno a implementare e migliorare il proprio pitch e riceveranno preziosi feedback dagli esperti del settore. A Berlino la giuria sceglierà le migliori tre startup che proseguiranno l’avventura di Tech All Stars.
  • 13 giugno a Londra: Tech All Stars partecipa con le tre startup finaliste al Founders Forum, durante il quale potranno presentare il proprio pitch ad una platea composta dai migliori imprenditori ed investitori della scena internazionale, tra cui spiccano i nomi di Mark Zuckerberg (Facebook) e Richard Branson (Virgin). Si tratta di un evento molto esclusivo cui difficilmente le startup hanno accesso, è pertanto un’occasione unica per i tre progetti finalisti.
  • 19 e 20 giugno a Dublino: il vincitore potrà visitare la città e soprattutto presentare il proprio progetto agli esperti della Commissione Europea della Digital Agenda, da cui riceverà un riconoscimento e un premio speciale.

Per saperne di più: http://techallstars.eu/

Napoli, 24/04/2013

Come convincere gli investitori a finanziare la tua startup? I consigli di Richard Branson

Uno dei momenti più importanti per la crescita di una startup innovativa è sicuramente l’incontro con gli investitori: diventa fondamentale cercare di capire cosa venture capitalist e business angels cercano in un’azienda e su quali aspetti basano le proprie scelte di investimento.
Prendendo spunto dal suo ultimo post nel blog della rivista Entrepreuner, vediamo quali sono i consigli di Richard Branson per convincere gli investitori a finanziare una startup del settore tech, cercando gli spunti di riflessione per le startup in cerca di finanziamenti.

Richard Branson è il fondatore del Gruppo Virgin e di aziende tra cui Virgin Atlantic, Virgin America, Virgin Mobile e Virgin Active. E’ anche l’autore del libro “Business Stripped Bare: Adventures of a Global Entrepreneur“, in cui racconta aneddoti ed esperienze della sua intensa vita da imprenditore con un’alta propensione al rischio.
Nel suo post spiega che negli ultimi anni il Gruppo Virgin, grazie al lavoro di due team di investimento con base a Londra e New York, ha investito in alcune startup del settore web basandosi su alcune caratteristiche che riassume in cinque punti: si tratta sostanzialmente di cinque domande, cui secondo Branson i founder di una startup in cerca di investitori devono essere in grado di rispondere “Sì!”. Per ogni aspetto individuato, Branson cita inoltre esempi di startup in cui il Gruppo Virgin ha investito negli ultimi anni.

1. La vostra azienda offre una soluzione semplice ed intelligente in grado di migliorare la vita dei clienti?

Secondo Branson, questa è la chiave per capire se un prodotto o servizio avrà potenzialmente dei clienti interessati ad acquistarlo. L’esempio che riporta è quello di Square, che ha risolto il problema dei pagamenti con carta di credito rendendoli possibili attraverso lo smartphone. L’azienda oggi dichiara di effettuare transazioni per 12 miliardi di dollari all’anno.
Vediamo che ancora una volta l’attenzione alle esigenze del cliente rappresenta il focus fondamentale per qualsiasi startup, proprio come nel Customer Development Model di Steve Blank di cui abbiamo parlato in un recente articolo del blog.

2. La tecnologia offerta dalla vostra azienda è “disruptive“?

Disruptivesignifica letteralmente “dirompente“. Con questo termine si identifica un’innovazione tecnologica in grado di surclassare la tecnologia presente sul mercato, e di creare un nuovo mercato e una nuova catena del valore. Un esempio storico e rivoluzionario di innovazione “disruptive” è l’invenzione dell’automobile.
Una startup che offre prodotto basato su una tecnologia “disruptive”, secondo Branson, ha la capacità di offrire una soluzione che faccia veramente la differenza nella vita quotidiana dei propri clienti, così che questi ultimi siano propensi ad acquistare il prodotto una seconda volta.
L’esempio citato è Hailo, la taxi app che consente ai passeggeri di trovare gratuitamente il taxi più vicino e allo stesso tempo offre un servizio ai tassisti, che trascorrono il 40% del loro tempo in strada a cercare clienti.

3. La vostra azienda è in grado di offrire ai clienti scelte più ampie e migliori possibilità di accesso?

Qui l’attenzione è incentrata sul concetto di accessibilità, anch’esso fondamentale quando si parla di startup e non solo: si tratta di un aspetto che a parere di Branson è importantissimo per tutte le aziende, in qualsiasi momento della propria vita imprenditoriale. La startup che porta ad esempio è Codecademy, che consente a chiunque abbia una connessione internet la possibilità di accedere gratuitamente alle competenze di programmazione di base servendosi di un’interfaccia semplice che ha sbaragliato i possibili concorrenti.

4. Il vostro prodotto/servizio incoraggia i clienti a condividere il proprio lavoro e le proprie esperienze?

A questo punto Branson introduce un altro argomento molto importante per la tecnologia e l’innovazione: la condivisione è un aspetto cruciale nel mondo delle tecnologie web e digitali. Ne è esempio lampante Pinterest, famosissima piattaforma di condivisione per le fotografie, che ha fatto della condivisione divertente la propria marcia in più.

5. La vostra azienda si prende cura delle persone e del pianeta, lavorando in maniera sostenibile?

Lo sviluppo sostenibile è un ulteriore punto cruciale per lo sviluppo economico globale ai giorni nostri. Nella visione del Gruppo Virgin, ogni azienda può fare la differenza: le imprese più giovani possono affrontare i problemi locali, le aziende in crescita possono affrontare i problemi nazionali, le grandi imprese possono affrontare problemi globali. Basti pensare a esempi come Twitter e Tumblr, che hanno aperto nuove frontiere per la comunicazione e la condivisione a livello globale.

Ricapitolando, anche nella visione del Gruppo Virgin ritroviamo concetti come l’attenzione al cliente, l’innovazione tecnologica, l’accessibilità, la condivisione e la sostenibilità: la conclusione di Branson è che le startup in grado di fornire prodotti e servizi con tali caratteristiche avranno più probabilità di costruire imprese di lunga durata e saranno influenti sui mercati in futuro.

La domanda che Branson pone ai lettori è: la vostra impresa è tra queste?

Napoli, 23 aprile 2013

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