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Branding Strategy: i consigli alle startup per costruire un brand di successo

Fabian Geyrhalter è founder della branding agency FINIEN e co-autore del libro “How to Launch a Brand”. Proprio sul tema della creazione di un Timeless Brand, un brand “senza tempo”, ha di recente pubblicato su WeWork un post molto interessante dedicato ad una serie di consigli utili in tema di Branding Strategy per startup alle prese con le prime fasi del business.

L’autore parte con un esempio decisamente noto: il brand Coca-Cola. Coca-Cola ha decisamente uno dei brand più famosi ed evocativi al mondo: basta nominarla per immaginare il carattere corsivo, i colori rosso e bianco, le bottiglie curve, gli orsi polari protagonisti dei suoi spot più famosi. Questo risultato è stato possibile solamente grazie a decenni di attività di brand building, con lavoro assiduo e costante sul logo, le immagini, i messaggi inviati al mercato.

Per la maggioranza delle aziende non è facile costruire un brand così forte. Questo accade, secondo Geyrhalter, a causa di un errore parecchio diffuso: gli imprenditori si lasciano troppo spesso trasportare dalle mode del momento.
Ma, anche se cambiano le mode e gli stili, l’azienda deve tenere sempre ben presente che il nome ed il logo non dovrebbero cambiare mai. Bisogna mantenerli fin dall’inizio, dalle fasi di startup, in modo da non confondere il target di riferimento. Creare un marchio, infatti, significa riflettere i valori dell’azienda e la passione condivisa per essi con i clienti: questi dovrebbero essere, per definizione, dei punti fermi.

Il brand che resta più a lungo e fermamente impresso nella mente dei consumatori è quello che è stato costruito con passione, impegno, “anima” e che viene proposto sul mercato in maniera sincera e coerente. Solo in questo modo è possibile ottenere quello che Geyrhalter definisce un “Timeless Brand” come quello di Coca-Cola.

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Vediamo quindi i cinque suggerimenti utili che l’autore fornisce alle startup per costruire fin da subito un Timeless Brand:

1) Lascia perdere le tendenze

Le tendenze (o trend) del momento sono passeggere, è improbabile che resistano nel tempo: le persone, invece, sono alla ricerca di qualcosa di duraturo e distinguibile. Nella creazione del brand bisogna evitare di considerare le mode del momento, e costruire l’identità di marca in maniera creativa e onesta: in questo modo sarà più probabile avere un brand forte e duraturo.

2) Trova un angolatura unica

Non bisogna mai uniformarsi troppo ai concorrenti, anzi: l’obiettivo deve essere quello di definire una propria brand identity unica e distinguibile. Nella costruzione del brand bisogna guardare oltre i competitors e fidarsi ed affidarsi alla proprie convinzioni.
Il marchio va costruito sulla base dei valori più profondi che identificano l’azienda: solo in seguito si potranno scegliere le strategie e gli strumenti migliori per comunicarlo al pubblico.
Una volta che si decide esattamente quale messaggio si vuole comunicare alla clientela, è possibile creare un brand (dal punto di vista visivo e verbale) davvero unico e duraturo.

3) Definisci il tuo brand

Un brand “senza tempo” condivide una passione ben precisa con il suo target di riferimento. Ad esempio, Patagonia produce abbigliamento per chi fa climbing, sci ed altri sport all’aria aperta: il brand si rivolge quindi a tutti coloro che amano il contatto con la natura, ed è stato possibile per l’azienda espandersi con prodotti relativi a vari sport senza perdere l’attenzione dei clienti.

4) Sii coerente

Il nome ed il logo dell’azienda sono le prime due cose a cui la gente pensa quando pensa al brand: è quindi indispensabile fare in modo che questi tre aspetti siano assolutamente coerenti tra loro. Bisogna inoltre assicurarsi che il logo sia distinguibile, facilmente adattabile a diverse tipologie di supporto, che rifletta nel modo migliore il prodotto/servizio dell’azienda.

5) Evita di essere troppo descrittivi

Quando si lancia un brand, è utile non essere troppo descrittivi per evitare costose operazioni di rebranding in futuro. L’incertezza di un’attività di rebranding potrebbe infatti costare molto in termini di tempo, denaro, clienti perduti.

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Per consolidare il brand fin dalle fasi di startup, infine, è possibile concentrare risorse ed investimenti sulla sua stabilizzazione e focalizzazione. Un marchio in sintonia con la sua identità rimane rilevante nel corso del tempo, e le persone sanno quel marchio cosa rappresenta. Basare il proprio brand su un’offerta unica e connettersi attentamente con l’audience di riferimento significa essere sulla buona strada per la creazione di un Timeless Brand.

Per leggere l’articolo originale: https://creator.wework.com/work/5-ways-to-create-a-timeless-brand/

Napoli, 16/04/2015

Consigli per startup: 4 strategie controintuitive per far crescere il business

Jeremy Goldman è founder e CEO per Firebrand Group, società che si occupa di consulenza in tema di brand management per diverse grandi aziende (tra cui figurano, ad esempio, L’Oreal e Unilever). Grande esperto di startup e social media, ha pubblicato di recente un articolo sul portale Inc.com dedicato ad un tema interessante: quattro strategie controintuitive ma utili per costruire e sviluppare il business.

Business Strategy per startup: consigli anticonvenzionali e controintuitivi
Business Strategy per startup: consigli anticonvenzionali e controintuitivi

Spesso, infatti, uno startupper alle prese con la crescita della sua impresa si imbatte in una serie di consigli e suggerimenti convenzionali, basati sul comune buon senso: molti di questi consigli si rivelano preziosi, ma secondo Goldman in alcuni casi la strategia migliore da adottare per sviluppare il business è pensare “out of the box”, andando contro la logica comune e agendo in maniera anticonvenzionale e controintuitiva.

Pensare “out of the box” è una strategia che molte volte paga, perché porta la startup a distinguersi dalla concorrenza: vediamo quindi quali sono i quattro consigli anticonvenzionali e controintuitivi per startup elencati nel post di Goldman.

1) Promuovere la concorrenza

Di fronte ad aziende con interessi commerciali che si sovrappongono a quelli della nostra startup, un approccio controintuitivo che può rivelarsi vincente è quello di cambiare prospettiva: non considerarli come concorrenti, bensì come potenziali partner. Goldman racconta un esempio personale: la sua azienda, Firebrand, è una società di consulenza specializzata nell’aiutare le imprese a raccontare il proprio brand attraverso i canali digitali. DigitalFlash è una società di grande esperienza con focus sulla Digital Strategy e sul marketing esperienziale: anziché trattare la DigitalFlash come un concorrente, Goldman ha deciso di fare affidamento sui consigli e l’esperienza di DigitalFlash e di pensare alle opportunità di partnership con quest’ultima. Una startup agli inizi della sua crescita, dovrebbe imparare a guardare alle aziende leader nel settore come a degli alleati: condividere i loro contenuti è spesso un’apripista affinchè in futuro ci sia restituito il favore. In sintesi, Goldman sostiene che aiutare gli altri significa aiutare se stessi.

2) Abbassare le aspettative di successo

Avere grandi sogni e obiettivi ed amare ciò che si fa è importante, ma non è abbastanza: per costruire un business di successo è necessario tenere in considerazione tutti gli aspetti. Oltre alla passione, quindi, è di centrale importanza sapere sempre come gestire al meglio il proprio business, mantenersi informati sui trend più importanti del settore e lavorare affinché il team sia sempre coinvolto e informato.

3) Mostrare la propria vulnerabilità

Molte persone, soprattutto nel mondo degli affari, credono che la vulnerabilità sia una debolezza: Goldman la pensa diversamente. Tutti i più grandi leader, secondo l’autore, sanno che la vulnerabilità rappresenta il terreno fertile per la creatività e le idee innovative: riconoscere che le risorse sono limitate, o che si ha bisogno di aiuto, è il primo passo per la crescita sia degli individui che del business.
Mostrare i propri punti di forza è sicuramente fondamentale, ma lo è altrettanto dimostrare la propria umanità e i propri difetti: questo fa infatti capire alle persone che è possibile fidarsi di voi, e accresce lo spirito di gruppo nel team.

4) Pensare per prima cosa al pubblico

Molti founder di startup e piccole imprese hanno un pensiero fisso: l’auto-promozione della propria attività. Ma se si vogliono costruire delle relazioni a lungo termine con il pubblico (e in primis con i clienti) è fondamentale pensare alle loro necessità e ai loro bisogni prima dei vostri.
A nessuno, infatti, piace un promoter egoista, quindi è fondamentale imparare a padroneggiare la promozione del brand in modo tale che i benefici per il pubblico vengano prima di quelli per l’azienda.
Alcuni esempi pratici che Goldman menziona sono i concorsi, i contenuti esclusivi e le campagne a sorpresa: strumenti di questo tipo garantiscono, nel corso del tempo, un’ampia e fedele base di follower del brand.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/jeremy-goldman/4-counterintuitive-strategies-to-build-your-business.html

Napoli, 17/02/2015

Customer e Brand Loyalty: un percorso rapido ed efficace in tre step per startup che vogliono costruire la fedeltà del cliente

Paige O’Neill è CMO (Chief Marketing Officer) per SDL ed ha venti anni di esperienza lavorativa in ruoli dirigenziali nel settore marketing. Di recente, ha pubblicato un interessante post su Lean Back, rubrica di The Economist Group, riguardo uno dei temi centrali per startup: la Brand (o Customer) Loyalty.

Il post della O’Neill si propone di definire un approccio in tre step per accelerare il processo di costruzione del brand commitment e della fedeltà di marca, partendo dai risultati di una ricerca di mercato particolarmente autorevoli effettuate sull’argomento a inizio 2014.
Tale ricerca analizza un panel di clienti globale, che rappresenta quattro generazioni in sei continenti, nove mercati e in cinque lingue: secondo i risultati, un brand oggi deve “corteggiare” i clienti per almeno due anni prima di avere un livello accettabile di brand loyalty.
Ma la curva della brand loyalty non si ferma ai primi due anni: il vero e proprio punto di svolta, che consente all’azienda di ottenere una considerevole crescita dei ricavi, è attualmente fissato dopo cinque anni dall’inizio degli investimenti sul cliente.

Si tratta obiettivamente di un periodo troppo lungo, che nessuna azienda e in particolare nessuna startup può permettersi di attendere: da qui, la necessità di fissare un programma per diminuire i tempi di costruzione della brand loyalty.
Il programma proposto da Paige O’Neill si articola in tre step:

1) Focalizzarsi sui customer mandates più importanti

Secondo la ricerca, esistono 55 fattori critici che dovrebbero guidare la strategia aziendale in termini di customer commitment. Tra questi fattori, esiste un sottogruppo di elementi che risultano essere di particolare rilevanza per il cliente: è proprio su questi che bisogna concentrare gli sforzi e le risorse aziendali. Le domande da porsi, secondo l’autrice del post, devono servire a capire se il marketing dell’azienda riesce a creare una relazione con il cliente che sia basata su un equo scambio di valore, se l’azienda è in linea con l’etica dei clienti, se ha una leadership sul mercato rispetto ai concorrenti e se tale leadership è percepita dai clienti. Si tratta, in ultima analisi, di assicurarsi che il brand sia in grado di soddisfare le esigenze emotive dei clienti: solo in questo caso è possibile costruire la brand loyalty su basi solide.

2) Soddisfare le esigenze funzionali al miglioramento della customer experience

Come specifica Paige O’Neill, la customer experience deve “incarnare la promessa del marchio”: deve essere rilevante, continua, coerente, significativa e reciprocamente gratificante.
Per ottenere una customer experience con queste caratteristiche, l’azienda deve sviluppare un’esperienza integrata multicanale: ciò implica che i dati dei clienti vengano utilizzati e gestiti dall’azienda in maniera tale da inviare dei messaggi pertinenti e affidabili.
Per questo step è necessario analizzare le preferenze dei clienti per ciascun canale di comunicazione e le eventuali variazioni geografiche di tali preferenze. La brand loyalty, infatti, può essere costruita efficacemente se le attività di marketing si concentrano sui canali più rilevanti per il pubblico chiave dell’azienda.

3) Perfezionare la customer journey eliminando i possibili attriti

La customer journey è il percorso decisionale ed operativo che il cliente attraversa nelle varie fasi che lo portano alla decisione di acquisto. E’ fondamentale, nella costruzione della brand loyalty, che l’esperienza multicanale offerta dall’azienda al cliente sia il più possibile variegata: ad esempio, la O’Neill consiglia di prevedere una varietà di canali (on-line e off-line) per dare al cliente la massima possibilità di scelta.
Inoltre, la direzione più efficace che la comunicazione del brand deve assumere nell’attuale contesto di mercato è quella di creare cosiddetti “content in context”, ossia facendo in modo che i contenuti e i clienti possano incontrarsi davvero.
I clienti devono avere la possibilità di costruire e ritagliare i propri percorsi personalizzati di acquisto: in questo modo è possibile costruire al meglio la brand loyalty, con un percorso breve ed efficace adatto alle esigenze di una startup.

Per leggere il post originale di Paige O’Neill: http://www.economistgroup.com/leanback/consumers/sdl-research-how-to-build-customer-loyalty/

Napoli, 16/12/2014

Corporate Social Responsibility e Startup: in che modo le iniziative a scopo sociale possono guidare una nuova azienda al successo

In un post recentemente pubblicato da Entrepreneur, Alicia Lawrence affronta il tema della Corporate Social Responsibility per le startup: in particolare, l’autrice sostiene che le startup possono trarre grossi vantaggi in termini di crescita e di successo svolgendo la propria attività di business nel rispetto della responsabilità sociale.

Negli ultimi dieci anni, infatti, ci sono molte storie di successo di startup che sono partite con pochi soldi in tasca, un’idea e la volontà di fare del bene: il loro successo, secondo Alicia Lawrence, insegna che una startup dovrebbe seguire una triplice linea di fondo definita “Le 3 P”: persone, pianeta e profitto (people, planet, profits).

La responsabilità sociale, per una startup, è impegnare soldi, tempo e risorse per scopi sociali e per la sostenibilità: anche Michael Porter, docente della Harvard Business School, ha scritto in un suo articolo del 2011 che “le imprese devono saper connettere il successo aziendale al progresso sociale. Ciò che conta non è il margine, ma ciò che le aziende effettivamente fanno“.

Un Business Model che tenga conto di questi aspetti, secondo l’autrice del post, è il futuro delle aziende di successo: ma vediamo in che modo e quali sono le esperienze reali che dimostrano quanto la responsabilità sociale sia strettamente connessa al successo di una startup.

1) La responsabilità sociale permette alle startup di connettersi ai clienti a livello più profondo, e di sviluppare relazioni più salde con i fornitori. Ciò accade quando le iniziative sociali vengono integrate ai valori aziendali: partecipare al benessere sociale nella propria comunità di riferimento può far nascere nuove opportunità di business.

Le iniziative sociali possono avere un impatto significativo sui potenziali guadagni derivanti dalle vendite di un prodotto: secondo uno studio effettuato da Havas, infatti, il 53% dei consumatori intervistati sarebbe disposto a pagare il 10% in più per i prodotti di aziende che utilizzano parte dei profitti per dare un contributo al benessere sociale.

Un esempio di startup di successo impegnata nella Social Responsibility è Meditek, che si occupa di vendita di apparecchiature mediche negli ospedali: grazie alle iniziative sociali e ai programmi di donazione a fondazioni umanitarie internazionali, Meditek è riuscita a legare il suo brand ad un’immagine positiva aumentando così la fedeltà dei clienti al marchio.

2) Coinvolgere la startup in iniziative filantropiche serve ad attrarre e trattenere i dipendenti: questo perché tutti noi vorremmo fare qualcosa di importante nella nostra vita. Questo è il motivo per cui le aziende che applicano la filosofia delle 3P riescono a inorgoglire e motivare i dipendenti, creando coesione tra il team e rendendolo, in ultima analisi, maggiormente produttivo.

Un esempio è Salesforce, startup di successo e leader mondiale nel CRM e nel cloud computing, con il suo modello filantropico 1-1-1: la Salesforce Foundation dedica l’1% del tempo, l’1% dei prodotti e l’1% del capitale per migliorare la comunità all’interno della quale i suoi dipendenti vivono e lavorano. I lavoratori di Salesforce hanno anche disposizione 6 giorni liberi ogni anno per svolgere attività di volontariato a loro scelta.

3) La responsabilità sociale migliora la reputazione di una startup. Spesso, una startup agli inizi della propria attività deve investire tempo e risorse per costruire la fiducia nel brand e ottenere i primi clienti: da questo punto di vista, la responsabilità sociale aiuta ad ottenere un vantaggio competitivo.

In quest’ambito è d’esempio l’esperienza di WebpageFX, una startup di successo nel campo dell’Internet marketing, che ha utilizzato le iniziative sociali come base per costruire la fiducia dei potenziali clienti. La startup ha infatti attuato il programma #FXBuilds, che prevede una donazione di denaro per costruire una scuola in un paese in via di sviluppo ogni volta che i dipendenti raggiungono un obiettivo.

Come afferma Trevin Shirey (WebpageFX), “Restituire ed essere generosi è un ottimo modo per costruire la fiducia”: ai clienti, infatti, piace vedere che dietro al brand di una startup ci sono persone reali che lavorano e che si preoccupano anche degli altri. In questo senso, la Social Responsibility è un potente strumento per costruire relazioni durature con i clienti.

Il post originale è disponibile a questo link: http://www.entrepreneur.com/article/235294

Napoli, 05/08/2014

Value Creation e Value Capture: come cambia il Business Model di una startup con la diffusione dell’Internet of Things?

In un interessante post pubblicato dal Network Blog della Harvard Business Review, Gordon Hui (leader della Business Design & Strategy per la società di consulenza americana SmartDesign) ha approfondito un tema interessante per startup e imprese innovative: le implicazioni sul Business Model causate della crescente diffusione dell’Internet of Things.

Le implicazioni e le nuove opportunità offerte dall’IoT e dalle soluzioni cloud-based ad esso correlate sono infatti di rilevanza fondamentale per le nuove imprese, in particolare in tema di value creation (creazione del valore) e value capture (monetizzazione del valore): è risaputo, infatti, che la creazione di valore rappresenta il cuore di qualsiasi Business Model, in quanto coinvolge tutte le attività fondamentali di un’azienda ed è la motivazione alla base delle decisioni di acquisto del cliente.

Nelle aziende tradizionali, creare valore significava individuare le esigenze durature del cliente e produrre sulla base di queste delle soluzioni di prodotto altamente progettate e, nella maggior parte dei casi, standardizzate.
Le aziende moderne, invece, devono fare i conti con l’innovazione continua ed incrementale e con le sue conseguenze: cambiano infatti gli aspetti relativi alla concorrenza (che cambia e cresce in maniera più rapida rispetto al passato) e si accorcia la vita dei prodotti, che diventano più rapidamente obsoleti.

In un mondo connesso e internet-based, i prodotti non sono più fatti per durare nel tempo: grazie agli aggiornamenti on-line, è possibile inviare al cliente con regolarità nuovi aggiornamenti e nuove funzioni/caratteristiche, è possibile rispondere al comportamento dei clienti in tempo reale grazie alla tracciabilità dei prodotti e, soprattutto, i prodotti possono essere connessi tra loro portando a nuove analisi previsionali più efficienti, ad un’ottimizzazione dei prodotti più efficace, a nuove user experience personalizzate.

Albert Shun, Partner Direct di UX Design per Microsoft, osserva: “I business model riguardano la creazione di esperienze di valore. E con l’Internet of Things, si può davvero capire come un cliente vive un’esperienza, che sia entrare in un negozio, acquistare un prodotto o usarlo, e infine capire cos’altro è possibile fare con quel prodotto/servizio. E’ possibile rinnovare l’esperienza, dargli nuova vita”.

Così come per la creazione di valore, il cloud impone un nuovo modo di approcciarsi anche alla monetizzazione del valore per il cliente.
Nella maggior parte delle aziende tradizionali, la monetizzazione del valore richiedeva semplicemente di fissare il prezzo giusto per ottenere il massimo dei profitti dalla vendita di un determinato prodotto. I margini vengono massimizzati in base alle principali leve dell’azienda, che stabiliscono il controllo su alcuni punti chiave della catena del valore (costi delle materie prime, brevetti, brand).

Vediamo quindi, in maniera schematica, come cambia la concezione del Business Model nelle attività di value creation e value capture con l’avvento dell’Internet of Things:

VALUE CREATION

Bisogni del cliente: nelle aziende tradizionali, si risolvono i problemi del cliente in maniera reattiva. Con l’IoT le esigenze e i bisogni vengono rilevati in tempo reale o ancora in fase emergente, con un approccio predittivo.

Offerta: per le aziende tradizionali, l’offerta consiste in un prodotto che viene immesso sul mercato e resta uguale finché il tempo lo renderà obsoleto e sarà necessario costruire un nuovo prodotto. L’avvento dell’Internet of Things permette di aggiornare continuamente il prodotto e di creare delle sinergie di valore attraverso la connessione ad altri prodotti.

Ruolo dei dati: nelle aziende tradizionali i dati venivano raccolti ed utilizzati per i futuri prodotti, mentre oggi le informazioni provengono da più fonti e convergono creando esperienze utili per aggiornare i prodotti attualmente sul mercato o aggiungere ad essi funzionalità e servizi.

VALUE CAPTURE

Path of Profit: nelle aziende tradizionali, il profitto cambia quando si vende sul mercato un nuovo prodotto o servizio. Gli aggiornamenti possibili grazie all’IoT offrono la possibilità di generare profitto attraverso entrate ricorrenti, che non dipendono necessariamente da nuove vendite.

Punti di Controllo: nelle aziende tradizionali è possibile controllare vari punti/livelli della catena del valore, mentre grazie all’Internet of Things si creano prodotti personalizzati e basati sul contesto (effetti del network sui prodotti).

Sviluppo delle Competenze: le aziende tradizionali utilizzano come leva per il profitto le core competences, le risorse e i processi già esistenti. Grazie all’avvento dell’IoT è possibile capire quali sono eventuali partner presenti nell’ecosistema di riferimento per aumentare i profitti dell’azienda.

In conclusione, con l’avvento dell’Internet of Things si ribalta la visione tradizionale delle aziende product-based: mentre per queste ultime le fonti di reddito possibili sono incentrate sulle vendite di nuovi prodotti, l’attuale situazione permette di aumentare le fonti di reddito, allargandole ad eventuali aggiornamenti, up-dates e personalizzazioni.

Il Business Model deve tenere in considerazione questa situazione, mettendo al centro ciò che consente di generare ricavi correnti: in caso contrario, come afferma Renee DiResta (O’Reilly AlphaTech Ventures), la startup baserebbe il proprio sviluppo sulla speranza che i clienti sviluppino una tale fedeltà al brand da acquistare anche un secondo prodotto presso l’azienda.

Altro aspetto fondamentale di cui tener conto nel Business Model è quello delle opportunità di partnership offerte dallo sviluppo dell’IoT: oggi, come afferma Zach Supalla (CEO della piattaforma open source Spark), non è più possibile pensare ad un’azienda “solitaria”, che agisce in un mercato “vuoto”. Una startup deve pensare non soltanto a come monetizzerà i propri profitti, ma anche a come il prodotto permetterà ad altri di generare e monetizzare valore.

Infine, l’autore evidenzia come la scelta tra una delle strategie competitive “tradizionali” identificate da Michael Porter (differenziazione, leadership di costo, focus) non sia più un approccio adatto alle startup e alle imprese che si muovono in settori in cui si fa strada l’Internet of Things: oggi, le tre strategie non si escludono automaticamente l’una con l’altra, ma possono essere utilizzate in maniera congiunta, rafforzandosi reciprocamente e migliorando i risultati in termini di value creation e value capture.

Per saperne di più, il post originale di Gordon Hui è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/07/how-the-internet-of-things-changes-business-models/

Napoli, 05/08/2014

Consigli alle startup: come implementare un’efficace strategia di PR fin dalle prime fasi di attività

Shana Starr è Managing Partner presso la LFPR, società di comunicazione globale che si occupa di consulenza in materia di public relations nel settore sanitario, tecnologico e finanziario. Di recente, Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato al tema delle public relations per le startup, nel quale l’autrice offre alcuni consigli ai founder per gestire al meglio questa delicata attività del business.

Le public relations sono infatti un’attività centrale per qualsiasi azienda, ma diventano a maggior ragione di fondamentale importanza in una startup che, all’inizio del suo percorso, deve impegnarsi a fondo per far conoscere il brand, ottenere l’attenzione dei media e guadagnare punti in termini di riconoscibilità e diffusione.

Esistono però delle strategie utili che una startup può adoperare nelle public relations, che Shana Starr elenca nel modo seguente:

1) Be Ready (State pronti)

Il primo passo è essere pronti: se il prodotto non è ancora nella sua versione migliore, non sarà possibile ricevere buone recensioni e difficilmente la stampa parlerà bene di voi. Non c’è niente di peggio, secondo l’autrice, che una cattiva pubblicità da parte dei media: occorre quindi assicurarsi di essere davvero pronti prima di implementare una strategia di public relations.

2) Stabilite la vostra identità

Prima di dire al mondo chi sei, occorre assicurarsi di saper rispondere a questa domanda. Per stabilire l’identità della propria startup, occorre porsi alcune domande: Quali sono i vostri valori? In cosa consiste esattamente la vostra cultura aziendale? Cosa vi differenzia dai concorrenti? State facendo qualcosa che nessun altro ancora fa? Cosa vi rende unici?
Le risposte a queste domande forniscono la precisa identità di una startup: se non siete sicuri delle risposte, è possibile chiedere agli altri come vi vedono. Anzi, può essere molto utile porre queste domande a più persone e prendere nota delle risposte. Se ci sono troppe risposte diverse, vuol dire che la startup ha qualche problema: bisogna risolvere il problema di identità prima di passare allo step successivo, ossia prima di poter raccontare la vostra storia.

3) Condividete la vostra storia

Imparare a comunicare al meglio la storia della propria startup è parte integrante dell’attività di public relations. Dopo aver stabilito la propria identità, è necessario iniziare a lavorare sulla storia, sul racconto della propria startup. Avere una storia da condividere consente alla startup di distinguersi agli occhi dei media, di potenziali investitori e del target di riferimento: diventa quindi fondamentale raccontare chi siete e come avete iniziato.
Lo storytelling consente non soltanto di arrivare più facilmente ai potenziali clienti, ma renderà molto più difficile che le persone si dimentichino di voi.
La storia della startup andrà diffusa sui social, nelle newsletter, durante le interviste, in tutte le opportunità che i founder avranno di parlare in pubblico.

4) Assicuratevi di che il CEO abbia visibilità

Il CEO o il founder di una startup è il portavoce dell’azienda, e svolge pertanto un ruolo fondamentale nel plasmare l’immagine della società, del brand, della cultura. Per questo motivo, lui (o lei) devono essere accessibili, visibili al pubblico: ciò si traduce in una presenza attiva sui social, un rapporto positivo con i media e la capacità di condividere al meglio la storia della startup. La visibilità del CEO consente di accrescere la credibilità e la leadership nel settore, e aiuta anche in termini di networking, rendendo più facile avvicinare le persone giuste per espandere il business.

5) Non sottovalutate l’importanza dei social media

Posizionare il brand in modo che sia al di sopra dei concorrenti è un lavoro impegnativo, lungo e che comprende molte attività differenti. Tra queste, non bisogna mai sottovalutare l’importanza di una strategia social, per rappresentare al meglio il brand, la cultura e i valori della vostra startup.
Secondo Shana Starr la strategia social è fondamentale fin dalle primissime fasi di attività dell’azienda: implementarla in fase early stage significa costruire la propria identità e credibilità nel settore di riferimento, avere la possibilità di raccontare la propria storia e identificare il CEO come opinion leader.
Bisogna quindi dedicare il tempo necessario ai social, impegnarsi direttamente nelle relazioni con fans e followers, rispondere alle domande, condividere informazioni e coinvolgere la community nelle conversazioni.

6) Assumete qualcuno se avete bisogno di aiuto

Nelle fasi iniziali di startup può essere difficile attuare delle forti strategie di public relations: il consiglio dell’autrice è quello di assumere, se necessario, un professionista del settore. La persona scelta per ricoprire il ruolo deve essere entusiasta del progetto, del prodotto o servizio offerto, della vision aziendale: in questo modo, sarà in grado di comunicare in maniera davvero efficace la startup all’esterno. Un professionista del settore PR, quindi, sarà in grado di mettere in atto in maniera ottimale tutti gli step elencati, assicurando una strategia di PR che sia veramente utile alla startup.

Per leggere il post originale di Shana Starr: http://www.entrepreneur.com/article/235339

Napoli, 24/07/2014

Eccellenze produttive della Campania: la nuova iniziativa di UnionCamere per rafforzare il Brand regionale

“Eccellenze produttive della Campania, ovvero tutto il meglio del fare impresa in Campania” è un’iniziativa organizzata da UnionCamere Campania con la collaborazione delle Camere di Commercio di Napoli, Avellino, Benevento, Salerno e Caserta insieme alla associazioni territoriali di categoria, nata allo scopo di rilanciare il Brand Campania attraverso la valorizzazione e il sostegno delle eccellenze locali.

Si tratta di un’iniziativa dedicata alle migliori imprese campane nei seguenti settori produttivi:

– Agricoltura e agroalimentare industriale
– Agricoltura e agroalimentare artigianale
– Manifatturiero non alimentare industriale
– Manifatturiero non alimentare artigianale
– Commercio, turismo e servizi

Entro il 30 settembre 2014 è possibile partecipare alle selezioni compilando il form disponibile al seguente link: http://www.serviziunioncamere.campania.it/2014/eccellenzeproduttivedellacampania/index.php?reg=1

Un’apposita Commissione di Valutazione di UnionCamere sceglierà tra tutte le proposte inviate le imprese “leader”, che saranno riconosciute “Ambasciatore delle Eccellenze Produttive della Campania”. La selezione sarà effettuata sulla base di un modello di rating che individuerà il posizionamento e le performance delle imprese partecipanti al progetto.

Le imprese che riceveranno il titolo di Ambasciatori avranno diritto ad un “kit dei vantaggi” che gli permetterà di:

– partecipare a momenti di promozione e visibilità;
– accedere ai “Circoli delle Eccellenze Produttive della Campania”, luoghi di ascolto e confronto tra le imprese che andranno a costituire un esclusivo sistema di relazioni;
– divenire opinion leader del proprio settore di riferimento ed essere ascoltato in alcuni momenti decisionali per le politiche di sviluppo locale;
– partecipare gratuitamente a workshop di alta formazione manageriale e/o a momenti di confronto sul marketing e strategie di business per rafforzare la cultura di impresa.

Inoltre, tutte le imprese partecipanti, durante l’evento di premiazione di “Eccellenze produttive della Campania, ovvero tutto il meglio del fare impresa in Campania”, riceveranno il proprio Report di posizionamento, corredato da un raffronto con i dati medi delle altre imprese partecipanti.

Per maggiori informazioni: http://www.unioncamere.campania.it/index.phtml?Id_VMenu=1&daabstract=1398

Napoli, 21/07/2014

Social media, brand, influencer e metriche: alcuni consigli per startup e imprese alle prese con le campagne di marketing

Il marketing delle startup e delle nuove imprese si basa in larga parte su campagne social: a differenza di quanto accadeva in passato, quando le campagne di marketing erano incentrate su media “tradizionali” come la stampa, la TV, la radio, i volantini, i manifesti e i cartelloni pubblicitari, le campagne di social media marketing danno la possibilità alle aziende di misurare i risultati ottenuti, a patto di saper utilizzare correttamente i dati e le metriche.

Sull’argomento delle metriche per la misurazione dei risultati di una campagna di social media marketing, Danny Brown (autore di interessanti testi tra cui “Influence Marketing: How to Create, Manage and Measure Brand Influencers in Social Media Marketing” e “The Parables of Business“) ha pubblicato di recente un interessante post sul suo blog dal titolo “Six Easy Metrics to Measure an Influence Marketing Campaign”.

I social media hanno cambiato totalmente le attività di misurazione degli effetti di una campagna di marketing: hanno reso infatti possibile ottenere campagne estremamente mirate, e le piattaforme consentono di misurare i contenuti e le connessioni garantendo un elevato ROI. Per questi motivi, afferma Brown, i social media sono diventati uno strumento imprescindibile per qualsiasi imprenditore “smart”.

I due parametri fondamentali che Brown utilizza per misurare l’influenza di una campagna di marketing sono: Brand Metric e Influence Metric. Per ciascun parametro occorre misurare e analizzare elementi differenti.

BRAND METRIC

Innanzitutto occorre misurare la metrica “Investment”, ossia il costo pre-campagna per la ricerca degli influencer da raggiungere. Il primo passaggio fondamentale è quello di identificazione di Micro e Macro Influencer, poi bisogna stabilire quanto costa portare a compimento l’intera campagna e utilizzare tali valori come un vero e proprio “barometro” per capire il ritorno (in termini finanziari e di consapevolezza del brand) che la campagna ha ottenuto.

La seconda metrica è quella definita dall’autore come “Resources”, che si differenzia dalla precedente perchè non è finalizzata su aspetti essenzialmente monetari bensì sui costi in termini di lavoro e formazione (quanti dipendenti sono necessari e per quante ore, quanto tempo occorre per raggiungere ed informare ciascun influencer riguardo al brand, al prodotto e alla mission aziendale).

Terza e ultima metrica da considerare per la Brand Metric è il costo definito da Brown “Product”: per una campagna di brand marketing efficace, occorre infatti offrire al pubblico e agli influencer la possibilità di testare il prodotto. L’azienda deve quindi predisporre dei campioni gratuiti di prodotto, o delle demo (in caso di software). L’azienda deve quindi tenere in considerazione i costi di questi prodotti “di prova”, compresi eventuali costi sostenuti per inviare i campioni agli influencer.

INFLUENCER METRIC

Anche in questo caso, possiamo suddividere la metrica in tre aree chiave: la prima di queste è definita dall’autore “Ratio”, e riguarda la misurazione delle reazioni degli influencer alla campagna in termini qualitativi. Porre l’accento sull’aspetto qualitativo è fondamentale per ottenere informazioni utili all’azienda, soprattutto quando la community di riferimento è molto numerosa e si rischia di disperdere i risultati in un database tanto ampio quanto sterile.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello chiamato da Brown “Sentiment”, che riguarda la percezione della campagna da parte del pubblico. Le metriche relative alla percezione consentono all’azienda di capire come il target percepisce il messaggio della campagna, il prodotto, il brand nel suo complesso. Inoltre, può essere di grande aiuto per identificare quali parti del messaggio modificare e a quali target rivolgersi in futuro.

Infine, Brown analizza la metrica “Effect”: ciò che definisce il barometro più prezioso per indicare se la campagna ha funzionato o meno, rappresentato dagli effetti che il messaggio ha comportato negli influencer.
Per misurare gli effetti è possibile lavorare innanzitutto in termini di consapevolezza del brand: tra gli aspetti da monitorare, ritroviamo il traffico generato dalla pagina web, quante volte il marchio o il prodotto è stato menzionato, quanti nuovi fan o seguaci la nostra pagina ha raggiunto sui social network, quanti nuovi iscritti alla newsletter o al blog.

L’articolo di Brown si conclude con alcune linee guida su come utilizzare le metriche una volta raccolti i dati: le informazioni ottenute vanno infatti analizzate e monitorate per essere davvero utili al business. Secondo l’autore, a questo punto tutto dipende dagli aspetti che interessano all’azienda.

E’ possibile che l’azienda sia maggiormente interessata alla consapevolezza del brand: in tal caso investirà maggiormente nelle piattaforme da cui è stato ottenuto il maggior ritorno, e nel frattempo si impegnerà a capire quali sono le nuove piattaforme in cui è possibile investire in futuro.

Ancora, è possibile che l’azienda sia interessata soprattutto ad incrementare le vendite: in tal caso i dati risultanti dalla campagna di social marketing saranno utilizzati per la costituzione di partnership strategiche sulla base degli interessi, delle esigenze e delle connessioni degli influencer.

In ogni caso, il consiglio è quello di determinare accuratamente l’obiettivo finale per tracciare un percorso che identifichi le tappe e le relative metriche da utilizzare, in modo tale da ottenere i migliori risultati da ciascuna campagna di social media marketing.

Per leggere il post originale: http://dannybrown.me/2014/06/03/six-easy-metrics-to-measure-an-influence-marketing-campaign/

Napoli, 16/07/2014

Consigli alle startup: i passi per raggiungere la leadership nel mercato di riferimento

Per una startup di successo è fondamentale riuscire a raggiungere una buona posizione nel proprio mercato di riferimento: lo scopo finale dovrebbe essere quello di ricoprire la posizione da leader di mercato, riuscendo ad ottenere risultati migliori di quelli dei concorrenti.

Naturalmente il primo passo è che la startup riesca ad avere un buon prodotto da proporre: questo, però, rappresenta solo il “biglietto da visita” di una startup. Possono essere decine i concorrenti in grado di fare un buon prodotto, ecco perchè può essere utile individuare alcune caratteristiche e alcuni punti fondamentali per una startup che voglia conquistare la leadership sul mercato di riferimento.

I primi consigli utili sono tratti da un recente post pubblicato da StartupSmart con la firma di Amanda Jesnoewski (esperta di comunicazione e copywriting a VelocityMedia), che focalizza l’attenzione su tre aspetti essenziali per una startup che voglia essere leader di mercato, e non limitarsi semplicemente seguire i concorrenti: questi consigli possono aiutare i founder ad iniziare a costruire l’approccio giusto per raggiungere il successo con la propria startup.

1) Rimanere concentrati sui clienti, non sui concorrenti

Si tratta del modo migliore per far crescere il business ed espandere la quota di mercato di una startup: bisogna sempre preoccuparsi dei clienti, imparare a conoscerli meglio in modo da poter lavorare in maniera pertinente e mirata sul prodotto/servizio e sulle attività di marketing.

Ciò che consente ad una startup di raggiungere la leadership di mercato anziché continuare ad inseguire la concorrenza è scoprire le opportunità per differenziarsi, capire cosa vuole davvero il cliente e lavorare continuamente sull’innovazione e sul valore aggiunto da offrire.

Seguendo questo approccio, afferma Amanda Jesnoewski, saranno i concorrenti a doversi preoccupare di seguirvi.

2) Anticipare le esigenze e le tendenze

Secondo l’autrice un vero leader di mercato è colui che non si accontenta di soddisfare le esigenze attuali dei clienti, bensì è colui che lavora per scoprire ed anticipare le esigenze future.

Ciò si traduce nell’impegno a costruire modelli previsionali, ad analizzare eventuali trend e tendenze che si stanno formando, ad essere sempre aggiornati sulle nuove tecnologie che potranno avere un impatto nel proprio settore di riferimento. Ma soprattutto, significa rimanere in costante ascolto della clientela.

L’impegno a monitorare, scoprire e anticipare le tendenze future aumenta la possibilità della startup di raggiungere la leadership di mercato perché la mette in condizione di arrivare in anticipo rispetto ai concorrenti, che si troveranno invece costretti ad “inseguire”.

3) Giocare sui propri punti di forza

Ogni azienda ha i propri punti di forza: può trattarsi del know-how, del personale specializzato, dell’alta qualità di prodotti e servizi, della creatività e delle idee, del livello di servizi al cliente, del busget, etc.

Qualsiasi sia il punto di forza, la startup deve assicurarsi sempre di utilizzarlo adeguatamente per trarne il massimo vantaggio possibile: come spiegato dall’autrice del post, invece, spesso la tendenza dei team è quella di concentrarsi sui propri punti di debolezza o sui punti di forza dei concorrenti. Questo atteggiamento, però, non aiuta a costruire il vantaggio competitivo.

Oltre ai consigli appena elencati di Amanda Jesnoewski, il tema della leadership di mercato per le startup è stato affrontato anche da Ilya Pozin, startupper seriale che ha fondato la sua prima società a 17 anni, in un post pubblicato da Inc.com qualche tempo fa. Pozin propone una vera e propria scaletta composta da 9 step, destinata a startup che cercano di raggiungere la leadership nel proprio mercato di riferimento. I 9 step rappresentano altrettante domande cui la startup deve rispondere e riguardano fondamentalmente tre grandi aree di riferimento, corrispondenti a tre fasi del processo di crescita di una startup: Health (step 1 – 3), Growth (step 4 – 6) e Leadership (step 7 – 9).

1) L’azienda è redditizia?

Sembra una domanda scontata, ma è comunque un fattore critico: il team può avere passione e unità di intenti, ma se non ci sono profitti la startup non va da nessuna parte.

2) Siete in grado di generare vendite?

Le vendite, oltre ai profitti, rappresentano la colonna portante dell’azienda. Bisogna assicurarsi di generare un adeguato volume di vendite nel futuro.

3) Siete in grado di generare contatti?

Non importa se al momento non ne avete bisogno. Qualora si rivelasse necessario in futuro, sareste in grado di farlo?

4) I clienti sono soddisfatti?

Cosa direbbero i vostri clienti se qualcuno li intervistasse in questo momento? I clienti soddisfatti sono la base della solvibilità di un’impresa.

5) Avete formalizzato una strategia di vendita?

Occorre avere ben chiaro come si pensa di raggiungere ed acquisire nuovi clienti per il futuro: non è possibile pensare di attrarre la clientela senza un piano formale e preordinato.

6) In che modo vi differenziate?

La startup deve cercare, identificare e focalizzarsi sui propri fattori distintivi, sugli elementi che la differenziano dalla concorrenza.

7) La startup è innovativa?

Le aziende leader di mercato sono quelle che si impegnano per un’evoluzione costante, che abbracciano ogni giorno il cambiamento e non temono l’innovazione.

8) Avete una “sales culture”?

Si tratta dello “stile” con cui la startup affronta le vendite, il modo in cui si differenzia nel rapporto con la clientela rispetto ai concorrenti. Stabilire una vera e propria “cultura” in fatto di vendite significa garantire alla startup di differenziarsi rispetto alla concorrenza.

9) Sei un brand leader?

Una volta attraversati nel migliore dei modi gli 8 step precedenti, la startup dovrebbe essere sulla buona strada per realizzare la propria leadership di mercato. A questo punto i clienti dovrebbero conoscere ed apprezzare il marchio, e acquistare il prodotto anche se i prezzi sono superiori a quelli dei concorrenti. A questo punto l’azienda è brand leader, e le entrate sono tali da garantire la crescita del business anche per gli anni successivi.

FONTI:

Napoli, 23/06/2014

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