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Consigli per startup B2B: se volete avere successo, scegliete piccole aziende come primi clienti

Thomas Bartman è membro del Forum for Growth and Innovation della Harvard Business School, un think tank che si occupa di studiare le dinamiche dell’innovazione disruptive: il blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo articolo incentrato sui motivi per cui una startup dovrebbe concentrarsi sulla vendita dei propri servizi alle piccole imprese, anziché rivolgersi ai grandi colossi del mercato.

Secondo Bartman è infatti ormai risaputo che le startup B2B rappresentano un segmento fondamentale del panorama imprenditoriale, ma spesso i founder hanno la tendenza, nelle fasi iniziali dell’avvio, a concentrarsi sui clienti sbagliati. L’errore sta nel ritenere che le grandi imprese siano i clienti migliori cui rivolgersi, pensando che inserirle nel proprio portafogli clienti fosse una sorta di “legittimazione” per attirare in futuro nuova clientela.

In realtà questo approccio orientato alle grandi imprese può essere il percorso più difficile per una startup B2B e riduce drasticamente le sue probabilità di successo: Bartman afferma chiaramente che le startup B2B dovrebbero concentrarsi sul segmento di mercato delle piccole imprese.

Il pensiero più diffuso riguardo il target delle piccole imprese è che siano più costose da gestire: questo atteggiamento, secondo l’autore, è miope. Vendere alle piccole imprese è invece un ottimo modo per iniziare un business, che rappresenta una strategia utile per gettare le basi per il futuro di una startup. Una volta acquisite nel portafoglio clienti le imprese di piccole dimensioni, infatti, sarà più facile per la startup proseguire il percorso di crescita e rivolgersi alle imprese più grandi.

Alcuni esempi del successo di questo tipo di strategia sono: Salesforce, che con le sue soluzioni cloud-based è riuscita a ridurre i costi dei database per le imprese; Vistaprint, che ha offerto un servizio disruptive nel mondo delle tipografie, con un servizio web-based di grafica e design caratterizzato da economie di scala e conseguente drastica riduzione dei costi; Stamps.com, che sostituisce costose attrezzature per il mail-processing con applicazioni on-line ad abbonamento mensile.

Un esempio più recente è offerto da HourlyNerd, che si propone di innovare radicalmente il settore delle società di consulenza offrendo agli imprenditori la possibilità di mettersi in contatto con consulenti indipendenti: è proprio analizzando il caso di HourlyNerd che Bartman cerca di spiegare alle startup la migliore strategia per creare aziende B2B disruptive partendo da una clientela di piccole imprese.

Il punto di partenza è che le piccole imprese hanno esigenze simili alle grandi imprese, per cui un modello di business pensato per piccole imprese può essere scalato ed applicato in modo relativamente semplice alle esigenze di medie e grandi imprese.
A ciò si aggiunge il fatto che le piccole imprese hanno un livello di rischio sostanzialmente basso, in quanto sono molto più numerose delle aziende di grandi dimensioni. Per questo motivo, un insuccesso con una piccola impresa non porterebbe a grossi danni reputazionali per una startup.

Inoltre, spesso le piccole imprese non hanno facilmente accesso a prodotti B2B rispetto alle aziende più grandi: per questo motivo, sono alla ricerca di soluzioni offerte da startup anche se con funzionalità ridotte rispetto a quelle pensate per le imprese di maggiori dimensioni. In questo scenario, le startup hanno facile accesso al mercato anche con un minimum viable product, un prototipo da testare e migliorare nel tempo.
Una startup che si rivolge alle piccole imprese può evitare i lunghi cicli di sviluppo pre-lancio per target di mercato più esigenti e iniziare a testare il prodotto con le piccole imprese, anche con disponibilità ridotte di capitale.

Il primo step per questo tipo di strategia aziendale è individuare le opportunità che gli operatori storici del mercato stanno ignorando: bisogna capire quali sono i prodotti troppo costosi o complessi per le piccole imprese, e individuare le possibili soluzioni tecnologiche innovative e a costi relativamente bassi che potrebbero soddisfare il target delle piccole imprese.

Una volta pronto il MVP, la startup può proporla a costi bassi e senza impegno alle piccole imprese: in questa fase è fondamentale lavorare a stretto contatto con i clienti, per accogliere tempestivamente i feedback e capire quali eventuali miglioramenti apportare al prodotto. Uno strumento utile in questa fase sono, ad esempio, le interviste da sottoporre al cliente prima e dopo l’utilizzo del prodotto.

I prodotti offerti devono essere standardizzati in maniera tale da poter incontrare il favore del maggior numero di piccole imprese possibile, lo scopo è quello di avere un offerta che riduca al minimo i costi di modifiche e personalizzazioni. In quest’ottica è utile segmentare la clientela basandosi su criteri relativi alla dimensione, e non alla posizione geografica.
I questo modo sarà possibile studiare soluzioni ad hoc, più semplici o più complesse a seconda delle esigenze dei clienti: la segmentazione va quindi effettuata in termini di benefici offerti, non sulla base di aspetti demografici.

Questo tipo di targeting dei clienti iniziali, inoltre, spesso consente alla startup di non ritrovarsi a competere direttamente con gli operatori che sono già da tempo sul mercato: il segmento di clientela servito, infatti, si discosta da quello di riferimento per i concorrenti “tradizionali”.

Un ultimo aspetto che l’autore considera riguarda infine il continuo miglioramento del prodotto: una startup B2B, attraverso le varie modifiche migliorative apportate al prodotto offerto a imprese di piccole dimensioni, si ritrova ad un certo punto con un prodotto abbastanza evoluto da essere adatto a risolvere le esigenze di grandi aziende. Inoltre, evitando la competizione diretta, i grandi operatori già presenti sul mercato si accorgeranno della nuova startup solo quando quest’ultima sarà abbastanza cresciuta da potersi confrontare con loro.

Naturalmente, conclude Bartman, una strategia di questo tipo non è priva di problematiche e difficoltà (tra cui, ad esempio, la percezione del marchio): ma i risultati ottenuti da startup di successo globale come Salesforce sono la prova che può essere davvero la più consigliata per una startup.

Per leggere l’articolo originale dal sito di HBR: https://hbr.org/2015/01/start-ups-should-sell-to-small-businesses-not-big-enterprises

Napoli, 29/01/2015

Consigli per startup e imprese: l’importanza del pensiero strategico nel processo decisionale aziendale

Nick Tasler è CEO di Decision Pulse e creatore del sistema di apprendimento integrato “Think Strategically & Act Decisively”, utilizzato, tra gli altri, da aziende del calibro di Microsoft e dalla Royal Bank of Canada. Di recente il Blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo post dedicato al tema della Pianificazione Strategica e ad alcuni “falsi miti” che ostacolano tale attività fondamentale per startup e imprese di ogni settore.

Tasler parte da quella che definisce la forma più semplice di pensiero strategico: decidere su quali opportunità concentrare il proprio tempo, risorse e denaro e quali opportunità lasciar perdere. Per spiegare meglio ciò che si intende per pensiero strategico, cita Napoleone Bonaparte (che definisce uno dei più grandi pensatori strategici della storia), secondo il quale “Per concentrare al massimo le forze in un luogo, bisogna economizzare le forze negli altri“. Per descrivere lo stesso concetto, Michael Porter afferma invece che “L’essenza della strategia è decidere cosa non fare“.

Passando ad un livello successivo, più vicino alla pianificazione strategica aziendale, il pensiero strategico può riguardare varie tipologie di scelte: Tasler elenca, a titolo di esempio, la possibilità di liquidare una società per acquistarne un’altra, o la decisione di concentrare la maggior parte delle risorse in un unico settore chiave. In ogni caso, esistono tre falsi miti che possono incidere negativamente sulla pianificazione strategica, che l’autore mette in evidenza nel suo post:

1) La produttività è l’obiettivo

La produttività riguarda il “fare” qualcosa. Il pensiero strategico riguarda il fare “la cosa giusta nel modo giusto“. Corollario di queste affermazioni è che la strategia richiede di lasciar perdere alcune cose, suscitando delle emozioni e reazioni spiacevoli. Quando si lasciano dei progetti a metà o si decide di non iniziarli affatto viene a mancare quella sensazione di fiducia e di controllo che deriva dal perseguire un obiettivo concreto: ma nel gestire un’azienda occorre combattere questo fenomeno psicologico universale di “avversione al lasciar perdere” che deriva dal dover abbandonare un progetto nel quale si è investito tempo e denaro. Tasler mette in guardia gli imprenditori: è possibile che ci si trovi a dover affrontare la reazione negativa del team, nel momento in cui gli si comunica che uno dei loro progetti o l’intero reparto è stato “retrocesso” in favore di altri progetti più “preziosi”.

Di fronte a tali difficoltà, si può essere tentati di perseguire l’obiettivo della produttività: ma concentrarsi sul volume di produzione non è la stessa cosa di concentrarsi sul perseguimento dell’eccellenza. Secondo Tasler, infatti, “senza una strategia, la produttività è priva di significato“. Il passo fondamentale da cui partire è capire quali siano le “cose giuste” su cui concentrarsi.

2) Il lavoro del leader è identificare “che cosa è importante”

L’autore propone un semplice e rapido esercizio: stilare una lista di tutti i progetti, le attività e le iniziative cui il team sta lavorando e tracciare una linea su tutte le voci che non sono importanti.
Il 99% dei team non barrerà nessuna voce in elenco: ogni progetto cui il team sta lavorando è importante per qualcuno dei componenti, ogni voce elencata ha il proprio “valore aggiunto” per l’azienda. Questo dimostra che discutere su ciò che è importante è un’attività futile: i pensatori strategici devono decidere su quali progetti e attività focalizzarsi, non semplicemente quali sono le cose importanti. Anzi, Tasler afferma che il vero leader strategico è colui che, tra una serie di opportunità importanti, sceglie su quali focalizzarsi e quali, invece, lasciar perdere.

Mentre i team con focus sulla produttività spendono ore e ore, anche di straordinario, per portare a compimento un progetto importante dopo l’altro, i team strategici scelgono quali sono i progetti che maggiormente contribuiscono a realizzare la strategia aziendale, mettendo in attesa gli altri progetti importanti.

3) Il pensiero strategico è semplicemente “pensare”

La leadership strategica non è un problema matematico né un esperimento di pensiero. In ultima analisi, il pensiero strategico deve portare all’azione strategica. Un’accurata analisi costi/benefici, le previsioni, i fogli di calcolo, lo studio dei trend sono del tutto inutili se non sfociano in una decisione attuabile. Nonostante le incertezze, le complessità, i rischi, la possibilità di fallimento un vero leader strategico deve intensificare e far lavorare il team e le risorse comunicando chiaramente su cosa concentrarsi e su cosa no.

L’autore chiude il suo post riprendendo nuovamente il pensiero di Napoleone: “Non c’è nulla di più difficile, e quindi di più importante, dell’essere capaci di decidere“. Probabilmente è questa la caratteristica più importante che un imprenditore deve possedere per detenere posizioni di leadership.

Il post originale è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/05/3-myths-that-kill-strategic-planning/

Napoli, 22/05/2014